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Stop ai concerti in tutta Italia: la parola a chi li organizza

Gli effetti a breve e lungo termine, l'assenza di tutele per le realtà più piccole, continuità, riflessioni e prospettive possibili

Geschrieben von Chiara Colli il 5 März 2020
Aggiornato il 17 März 2020

Bello recuperare i dischi e i libri che c’eravamo persi, belle le serie tv, bella pure l’opportunità di vedersi un concerto in streaming quando per qualsiasi motivo non puoi uscire di casa. E però l’esperienza dal vivo, la fruizione in diretta e condivisa di musica o altre forme d’arte ha tutto un altro senso, valore e impatto sul singolo individuo. E ancora di più sulla collettività. Non è solo cultura, non è solo economia, non è solo socialità. È tutte e tre le cose messe assieme. Mentre in Italia prende forma uno scenario che avrebbe fatto gongolare Philip K. Dick e, prima nel nord Italia, adesso anche in tutto il resto dello Stivale (fino al 3 aprile), l’astinenza da concerti (e da quasi tutto il resto) probabilmente non verrà placata neanche dalla visione dell’intero archivio di URSSS, è soprattutto su questa importante bellezza e imprescindibile forma di resistenza di civiltà, anche e in special modo nell’era dei social e dell’isolamento digitale, che vogliamo provare a mettere l’attenzione. Per quanto possibile sul presente, ma soprattutto in prospettiva.

Le grandi testate generaliste ne parlano poco o niente, i titoli in grassetto spettano sempre agli sport maggiori e tutt’al più ai cinema e ai teatri, ma chi passa su queste pagine avrà già acquisito una certa consapevolezza di quanto anche il settore della musica live, e in particolare le realtà medio-piccole, stiano pagando – e si troveranno a pagare nel futuro prossimo – un conto salato e su più livelli rispetto alla situazione di emergenza sanitaria in corso in Italia per il Covid-19. Al pari di tantissimi altri settori, alcuni dei quali di primaria importanza, certo, ma con variabili ancora più precarie e ineffabili rispetto a molti di questi: non solo per questioni strutturali pregresse, ma anche per la difficoltà di ricevere attenzioni (simboliche e concrete) dalle istituzioni in quanto poco impattanti sul PIL e le grandi economie (ma con un valore inestimabile per quelle piccole e per il lavoro sul territorio) e, soprattutto, per il potenziale backlash sul pubblico. Una serie di misure che al momento sono totalmente in contrasto, ad esempio, con quello che sosteneva il governo inglese fino a qualche giorno fa. Consapevole, o forse totalmente ignaro, che gli effetti della Brexit saranno decisamente peggiori su tutto il circuito musicale più o meno underground.

CRITICITÀ, MA ANCHE CONTINUITÀ E BUON SENSO

Liberato l’orizzonte da inutili boomerang come l’allarmismo mediatico, il pessimismo cosmico e la polemica della domenica, abbiamo provato ad armarci di buon senso, spirito critico e una dose ragionevole di propositività per mettere in fila quello che sta accadendo sul territorio nazionale alle realtà “di mezzo” che tutto l’anno portano concerti nelle nostre città: talvolta facendo bei numeri, altrove andandoci sotto, quasi sempre dando vita a contesti speciali (da cui non sono esclusi i festival) che sono poi la normalità, l’obiettivo finale, a cui certamente torneremo. Magari con qualche consapevolezza in più. Una situazione inedita, complessa, di cui le agenzie di booking sono solo la punta dell’iceberg sotto cui c’è un mondo di lavoratori autonomi, partite iva, operatori di piccoli circoli e club, impossibile da affrontare con critiche sterili ma che mette tutti di fronte alla necessità di far scendere in campo lucidità, lungimiranza e costruttività (che spesso manca alla politica, e fin qui siamo tutti d’accordo).

In questa direzione vanno scelte come quella di Comcerto, che la mattina del 4 marzo – in pieno annullamento di concerti e con all’orizzonte un clima da post apocalisse – annuncia la data unica italiana di King Krule a Milano a giugno. Partiamo da questo dato, come anche dallo spostamento da parte di DNA concerti del tour a novembre (e non dell’annullamento totale) del Damo Suzuki’s Network o dell’annuncio della data dei Belle & Sebastian a Napoli, sempre a giugno, da parte di Radar. Perché nel ciclone di incertezze, cancellazioni e paranoie virali, il mantenimento di una certa continuità, di un orizzonte temporale che non si lasci andare all’immobilismo, è a dir poco fondamentale. Anche perché i danni e le ripercussioni negative nel breve termine sono tangibili e reali, condivise in varia maniera da tutti gli interpellati. Proviamo a metterle in fila andando per gradi dalle realtà più emerse a quelle più “underground”, anche differenziando quelle che sono le diverse situazioni e i possibili margini di ripresa.

Nel ciclone di incertezze, cancellazioni e paranoie virali, il mantenimento di una certa continuità, di un orizzonte temporale che non si lasci andare all’immobilismo, è a dir poco fondamentale

«Il problema principale non sono soltanto gli annullamenti di queste settimane, ma il fatto che c’è stato un calo di circa l’80% sulle vendite dei biglietti per i concerti già annunciati, anche per quelli in programma nei mesi estivi: l’allarmismo e la fobia attuale hanno ribaltato le priorità del pubblico e pensare di comprare un biglietto per un concerto è una delle ultime cose», racconta Eric Bagnarelli di Comcerto – che tra l’altro è stato il primissimo a dover affrontare il discorso con la cancellazione della data dei Big Thief a Milano (sold out da mesi). «Altro aspetto a cui fare attenzione è la percezione degli artisti internazionali verso l’Italia, che in questo momento è anche peggiore rispetto all’effettiva realtà, pertanto alcuni di loro al momento non vogliono includere il nostro paese nei tour, personalmente ho diverse trattative saltate per questo motivo che si aggiungono al fatto che qui, già in situazioni normali, non siamo considerati come una prima meta per molte band. Ma non ci si deve piangere addosso, sono molti i settori con gravi problemi. Di certo il nostro ne sta risentendo tantissimo, la speranza è che le persone reagiscano con una maggior voglia di partecipazione, una volta finito tutto». Piedi per terra e volontà di tenere il passo (senza farlo più lungo della gamba), anche per DNA concerti. «Quello che ci auguriamo è che la situazione rientri presto, anche pensando alla velocità che sotto tanti aspetti caratterizza i nostri tempi che delle volte passano da crisi che sembrano ci cancellino dalla faccia della Terra a fare feste sulla spiaggia, ci auguriamo che questa velocità dei nostri giorni di adattarci ai cambiamenti ammortizzi la botta sul lungo periodo e che quindi, passata l’emergenza, ad aprile o a maggio si torni progressivamente alla normalità. Il punto è che si tratta di una situazione talmente inedita e complessa che ci sembrerebbe fuori luogo dire “Qualcuno pensi ai concerti!”, nel senso che sono tantissime le realtà, le persone e le categorie interessate da questa emergenza, coinvolte da un crollo del genere. Ci metteremo alle spalle questa emergenza, succederà che bisognerà ricostruire la fiducia del pubblico per venire ai concerti, bisognerà probabilmente iniziare a pensare a delle forme di tutela per questi casi, succederà che cercheremo di fare più assicurazioni per la cancellazione degli eventi e quindi… Ci guadagneranno le compagnie assicurative? Probabilmente. Da parte nostra, il segnale che abbiamo dato è stato quello di impegnarci a non fermarci un attimo, abbiamo continuato ad annunciare date più avanti verso l’estate e stiamo cercando di non annullare i concerti ma di posticiparli, dando contestualmente la notizia, per dare l’opportunità a tutti di vedere i concerti dei loro artisti anche se in un secondo momento. Un aspetto da non sottovalutare è che ci sarà qualcuno che subirà delle cadute forti, ma non limitatamente alle agenzie che fanno direttamente booking: c’è da pensare a tutto il personale che sta dietro alla realizzazione di un concerto, tecnici e tutto il resto, che in certi casi sono parecchie persone, che è in gran parte personale che lavora da autonomo. Loro ci preoccupano molto, persone a cui di punto in bianco cancelli due tre mesi di lavoro».

C’è da pensare a tutto il personale che sta dietro alla realizzazione di un concerto, tecnici e tutto il resto, che in certi casi sono parecchie persone, che è in gran parte personale che lavora da autonomo

IMPOSSIBILE FARE DI TUTTA L’ERBA UN FASCIO

Anche nell’ambito della musica live, che qui per comodità chiameremo “alternativa”, le problematiche sono diverse a seconda della grandezza (e aggiungeremmo pure della “vocazione”) delle varie realtà e, pertanto, in una società ideale necessiterebbero di soluzioni e provvedimenti specifici da parte di un apparato istituzionale che però non ha alcuna reale consapevolezza e conoscenza di chi fa cultura sul territorio. Per quanto in questi giorni stiano uscendo richieste di supporto per il settore musicale da parte di Assomusica e, con qualche timidezza, anche da parte della SIAE (proposte che comunque dovranno essere vagliate dal Governo e che, soprattutto, non arriveranno a supportare le realtà più piccole), l’altra evidenza emersa fin dai primi provvedimenti la rileva Giorgio Riccitelli di Radar Concerti «Questa situazione di emergenza non fa altro che far uscire allo scoperto la precarietà del settore culturale, diciamo quello non istituzionale e in varie modalità indipendente. È un settore che dà impulso alla cultura a tutti i livelli, dall’underground al mainstream, ma poggia sulle spalle di imprenditori privati che ne fanno certamente un business ma come mission personale portano avanti una fondamentale componente culturale, e almeno nel 90% dei casi senza sovvenzioni pubbliche di alcun tipo. E quando capitano queste cose non c’è nessun tipo di salvagente. Sarebbe interessante se in questi casi, come capita per entità istituzionali quali fondazioni e teatri, venisse in qualche modo istituito un fondo che aiuti non tanto gli imprenditori medi come me, ma le realtà più piccole di Radar: penso a tutta quella marea di imprenditori che gestiscono locali medio piccoli, penso a un posto come l’Ohibò, a spazi dalle 300 persone in giù, ma anche ad altri club italiani come Santeria, Monk, Locomotiv, Largo, ai quali se togli già solo 2/3 settimane di incassi crei enormi difficoltà. Figuriamoci oltre un mese. Al momento non vedo aiuti concreti, solo ordinanze probabilmente necessarie – capiamo ovviamente l’emergenza – con indicazioni confusionarie, inclusa la clausola di stare a un metro di distanza dalle persone, restare aperti solo per servizi al tavolo… Essendo un mondo fantasma nella normalità, quello della musica live indipendente resta tale anche in queste occasioni, poco conosciuto dalle istituzioni. Basterebbe anche un gesto simbolico positivo che infonda un po’ di fiducia: che so, il Sindaco Sala che –magari senza mascherina… – andasse a fare un giro o a stringere la mano in questi piccoli club, magari prevedendo poi anche un piano di supporto per le realtà più piccole che fanno cultura, anche perché ci sono in ballo migliaia di posti di lavoro. In questo momento c’è una battaglia psicologica delicatissima, anche solo dei segnali sono importanti, il punto è che si sta solo posticipando un problema che nessuno vuole prendersi la responsabilità di affrontare».

LA SINTESI A LIVELLO ‚EMERSO‘

A livello più emerso e sulla media distanza, una parte della sintesi la fa Lorenzo Carni di Ponderosa: «È un momento oggettivamente complicato, la cosa su cui stiamo chiedendo supporto massimo è quella di fare in modo che tutti quanti – addetti ai lavori, pubblico, giornalisti, partner – ci si accompagni al ritorno alla normalità, non appena sarà possibile. Il punto cruciale sarà far tornare il pubblico agli eventi, sarà una missione importante, tanto quanto far tornare il pubblico dall’estero: con vari appuntamenti ci rendiamo conto di quanto il pubblico straniero sia diventato una fetta importante di chi viene ai nostri eventi». L’altra faccia della medaglia dei rapporti con l’estero, delicatissimi, la rileva Corrado Gioia di Hard Staff Booking, agenzia milanese che lavora moltissimo sul territorio locale ma perlopiù con artisti stranieri. «Se nel breve termine sarà un impegno necessario da parte di tutti quello di riportare le persone ai concerti, anche per causa del tipo di informazione allarmista che è stata portata avanti in questi giorni da alcune testate, nel lungo termine c’è da considerare il rapporto con gli altri paesi, penso ad esempio agli Stati Uniti – anche in relazione a quella che sarà la loro di crisi – e bisognerà considerare l’ipotesi che diventi difficile far arrivare artisti dall’estero, soprattutto dall’America e soprattutto relativamente a certe nicchie di settore, che probabilmente soffriranno di più. Le problematiche sono anche legate in generale alla circolazione, anche nei paesi europei, quindi usciti da questo mese di dure costrizioni locali bisognerà fare i conti con eventuali restrizioni negli altri paesi. Personalmente, quello che mi preoccupa non è Piazza Duomo vuota ma il mercato rionale vuoto. E così nell’ambito della musica live. Il problema potrebbe essere soprattutto la frustata di ritorno, penso anche a chi lavora sull’estivo, a Milano spazi come il Circolo Magnolia, ma anche i piccoli festival gratuiti che fanno ricerca. Quelle sono le realtà che andranno supportate al massimo e che forse avranno dei problemi significativi sul lungo periodo, noi comunque non ci fermiamo e il 6 marzo annunciamo insieme la prossima edizione di SoloMacello, che spegne 11 candeline il 18 di giugno».

Essendo un mondo fantasma nella normalità, quello della musica live indipendente resta tale anche in queste occasioni, poco conosciuto dalle istituzioni

Una riflessione che ha sicuramente a che fare anche con le istituzioni, ma che per certi versi può essere simbolica su Milano, torna a farla Lorenzo Carni ed è relativa a una manifestazione popolare ma comunque molto legata al territorio e al senso di collettività come Piano City. «L’altro fronte importante per Ponderosa è quello dei festival, in particolare quelli diffusi come Piano City e JazzMi. Per il primo siamo in piena fase di costruzione del festival, noi e con i partner, con tutti stiamo lavorando in modo tale che a maggio la situazione sia tornata alla normalità, sperando sia possibile per tutti tornare a impossessarci degli spazi comuni, delle piazze, dei locali, dei musei, delle strade, dei luoghi dove stare assieme. Siamo pronti a tutto, sia a rivedere le capienze sia, e lo speriamo, a fare in modo che il festival sia la prima occasione per tornare in piazza a fare davvero festa. Il festival racconta la città e sentiamo sempre di più in questi giorni la responsabilità di come costruirlo in maniera aderente al sentire di Milano. Quest’anno sarà doppiamente importante, siamo sempre stati in ascolto rispetto alle esigenze della città di edizione in edizione. Lo stavamo costruendo in un modo e ora cercheremo di capire passo passo come eventualmente rimodularlo».

UNDERGROUND E PROSPETTIVE DAL BASSO

È andando in profondità che troviamo le problematiche più radicate, quelle tipiche del nostro paese. Le situazioni maggiormente complesse e delicate, dove non è solo una questione di prospettive sulle prevendite, di cancellazioni nell’immediato, di tour saltati da riprogrammare. Chi tutto l’anno fa ricerca, chi rischia con progetti sperimentali, i pesci piccoli senza supporto delle istituzioni, senza tutele associative. Paradossalmente, è qui che si gioca la partita più importante ed è da qui che nascono riflessioni che vanno oltre il solo aspetto musicale (ed economico). «Finora la situazione è stata di difficile gestione anche per via della diversità di ordinanze tra varie zone d’Italia: i tour sono equilibri delicati e a incastro, la prima difficoltà è stata quella di mediare tra istanze ed esigenze diverse», racconta Marco Stangherlin di Wakeupandream, agenzia di artisti come Lee Ranaldo e Teho Teardo con base a Napoli (dove nel tempo ha portato concerti bellissimi e inusuali). «Ora lo scenario è diverso, più aspro, ma i nodi di fondo restano gli stessi. Tra gli effetti a lungo termine di questo mese di stop c’è una corsa alla riprogrammazione delle date, con una stagione che era ormai più o meno delineata. Col rischio, poi, che si vada incontro a mesi e calendari ancora più affollati e con più concorrenza, il mio timore è che a pagarne le conseguenze siano i progetti più di ricerca e particolari. Anche perché, alcuni concerti che portiamo è difficile programmarli la prima volta, figuriamoci quanto è complicato farli succedere una seconda. In una situazione con un’economia delicata è chiaro che se devo recuperare delle cose provo a puntare su chi garantisce una prospettiva di guadagno sicura: se da un lato mi sento più a rischio per questo aspetto, dall’altro credo anche che nel circuito alternativo di cui faccio parte ci sia più sensibilità e attenzione a certe situazioni, alla percezione del reale. Il concetto di “economia”, poi, non si ferma ovviamente al denaro in sé, si parla di circolazione di progetti, idee e persone. A tal proposito credo che in Italia sarebbe opportuno prestare più attenzione a questo settore anche, ad esempio, rispetto al turismo… Quest’ultimo, per carità, muove cifre assai più grandi ma spesso si riduce a essere economia esclusivamente ricettiva, passiva, limitata alla gestione di flussi che provengono dall’esterno. Chi come noi fa concerti e porta artisti italiani e internazionali che fanno ricerca, anche con progetti speciali e magari con una grande attenzione ai contesti in cui li porta, smuove e produce una – seppur piccola – economia, una dimensione culturale, sociale e anche turistica dall’interno, spesso anche facendo muovere le persone e facendole arrivare dall’estero. È una produzione non passiva ma attiva, e questo è un tratto fondamentale per la cultura di tutto il Paese».

Il concetto di “economia” non si ferma al denaro in sé, si parla di circolazione di progetti, idee e persone, di produzione culturale dall’interno

Simile, per attitudine e vocazione, il punto di vista di Paolo Visci di Pentagon Booking, con base a Pescara (e con artisti come Flamingods e Pufuleti nella sua scuderia), le cui riflessioni sfociano, quasi inevitabilmente, verso considerazioni di natura socio-politica. «Il mese di marzo sarebbe stato molto intenso per l’attività live di Pentagon, e l’annullamento di tutte queste date per un’agenzia piccola che lavora a partita IVA è chiaramente un grosso problema, perché non ci sono tutele e siamo totalmente precari in una situazione come questa. Come in ogni altro settore, le categorie meno rappresentate sono quelle che poi vengono colpite prima, noi siamo piccoli ma insieme teniamo in piedi un sistema culturale ed economico a suo modo importante. La riflessione a questo punto dovrebbe essere strutturale all’interno del Ministero dell’economia e della cultura, ma chiaramente questo non avverrà. Sicuramente nell’immediato futuro sarà necessario mettere in campo azioni per far sentire il pubblico a proprio agio, cercare di ricostruire una fiducia, ma credo che cambierà moltissimo da zona a zona. In luoghi dove c’è una maggiore attenzione verso le questioni sociali e culturali penso si dovrà lavorare di meno, in altri posti dove l’impoverimento economico e culturale è maggiore credo che bisognerà lavorare di più per risollevare i luoghi di aggregazione. E chiaramente la provincia non è sempre sinonimo di arretratezza economico e culturale, vedi ad esempio l’Emilia Romagna ma anche il Veneto. Viviamo in una società che spinge a trovare soluzioni individuali per problemi che invece avrebbero bisogno di una soluzione collettiva, sociale. Quello che auspico è che torneremo a contesti di fruizione dell’arte in cui si torna a fare di più comunità e più solidarietà, questo sia tra chi organizza sia rispetto al pubblico. Partendo da questo angolo di osservazione del reale, credo che l’unica cosa che si possa fare sia trovare delle zone franche dove ci si supporti, una solidarietà attiva ed economica di determinate fasce culturali, artistiche, creative, facendosi forza a vicenda. Io lo vedo con Indierocket, c’è un senso di comunità e di appartenenza ma non esiste un senso di solidarietà attiva. C’è stato un passaggio in cui a un certo punto si è iniziato a pensare che il like su Facebook o il cuore su Instagram fosse il massimo che un individuo potesse fare per la sua comunità, ma non è così. C’è la necessità di ricostruire un percorso politico e culturale di relazione con il pubblico, e gli addetti ai lavori per primi si sono tendenzialmente messi fuori da questo senso di relazione, dicendo “Ok, io organizzo questo e vengono tot persone”: questo atteggiamento non basta più, è un nodo che a questo punto viene al pettine in queste situazioni».

Viviamo in una società che spinge a trovare soluzioni individuali per problemi che invece avrebbero bisogno di una soluzione collettiva, sociale

SUPPORTARE E RIFLETTERE

Non c’è nulla di realmente positivo nel contesto inedito e complesso che ci troviamo di fronte, se non la consapevolezza collettiva di dover tutelare e rispettare le fasce più deboli: dal punto di vista sanitario certamente, ma anche nei confronti di tutti gli operatori di settori che contribuiscono all’arricchimento culturale, sociale e, in ultima istanza, economico della società (fuori e dentro l’Italia). C’è però sicuramente qualcosa che si può fare adesso, e a cui si può auspicare poi. Supportare e riflettere, facendo rete. «Un appello al pubblico per supportare concretamente la musica dal vivo consiste, banalmente, nel chiedere di non smettere di comprare i biglietti, almeno per il futuro prossimo, mi riferisco sempre a live medio piccoli, in modo da sostenerli in questa fase difficile», aggiunge Giorgio Riccitelli, «Ma credo che in questi momenti, anche una realtà come la SIAE che viene rimpinguata abbondantemente ogni anno da locali e dal settore dell’entertainment, potrebbero istituire un fondo per aiutare le realtà che ne hanno bisogno durante le emergenze, cercare di fare un buon lavoro a supporto anche delle entità più piccole e meno mainstream come stanno facendo nel settore export. Sarebbe un’ottima occasione per diventare simpatica…». «Oppure», aggiunge DNA concerti «non chiedete il rimborso dei biglietti, anche se non andrete al concerto sarà un modo di supportare un settore che verrà molto danneggiato da quello che sta succedendo. Ovvio che ci sarà chi ha bisogno di riavere e impiegare in altro modo quei 20 euro, ma chi volesse supportare può fare questo. Se fossi un club l’appello che farei è di tornare non appena si riapre, di continuare a sostenere le realtà culturali che vi piacciono, che durante tutto l’anno portano artisti che vi interessano, tenendo i biglietti in tasca sperando che il concerto si recuperi, altrimenti avrete fatto una piccola donazione al promoter che con quei soldi lì non ci guadagna ma prova ad attutire il colpo».

Se mai questa situazione potesse avere qualche utilità sarà quella di favorire e aumentare l’autoconsapevolezza da parte di chi lavora in questo settore: possiamo e dobbiamo compattarci e fare una rete comune

C’è poi un altro tipo di considerazione più profonda, a cui si è davvero tutti chiamati a partecipare, che esprimiamo attraverso le parole di Marco Stangherlin. «Se mai questa situazione dovesse avere una qualche utilità, sarà forse quella di favorire e aumentare l’autoconsapevolezza di noi che lavoriamo in questo settore: possiamo e dobbiamo compattarci e fare rete, imparare a creare un rapporto ancora più solido e di fiducia con il pubblico ma anche a raccontare meglio verso l’esterno quello che facciamo. Nella normalità sembra che chi organizzi concerti, e ancor di più un certo tipo di concerti, non faccia un vero lavoro; ora, nell’emergenza, si capisce invece che c’è un coinvolgimento di soldi, di persone, di realtà diffuse su tutto il territorio italiano e si vede la portata, non enorme ma comunque reale e importante, che tutto questo ha per una piccola grande comunità di persone». Noi, questo è più che certo, ci rivediamo presto sottopalco.