La gente avrà paura e avrà paura per anni.
Tutti i posti che mi piacciono – che mi piace vivere e frequentare, dove mi piace mangiare – sono sempre stati iper-affollati e non brillano per asetticità, certamente. Vedono la loro forza anche e forse soprattutto nello saper mescolare sconosciuti a pochi centimetri di distanza. Sono gestiti da gente spesso anziana.
Il mondo che piaceva a me, qui ora è davvero finito. Questa botta sarà il colpo definitivo che spazzerà via le ultime resilienze. Gli ultimi luoghi come il “Pippo Bar” di Roma. Pensate alle tavolate sociali fra sconosciuti, o ai grandissimi saloni del circondario milanese, come “Da Peppino” a Carrugate: quanti avranno più voglia di mangiare tutti insieme in sale con altre centinaia di persone… Quanti avranno voglia di mischiarsi di nuovo alla massa dopo questa pandemia?
Ci vorrà del tempo, un po’ di tempo, e le persone che gestiscono questi luoghi tutto questo tempo non lo avranno. È un dato. Tranne rare eccezioni, trattasi di gente anziana.
Ma questa gente che trasla il concetto relativo alla fuga fuori, lontano da tutto ciò – e lo proietta in un’iperconnessione da tastiera e da smartphone, a cosa crede di star ambendo?
La comunità, il senso di queste comunità, viene ora distrutto dalla paura dettata proprio dalla consapevolezza di essere una comunità. Più vulnerabile in quanto tale. Si ribalta così anche quel che restava di un concetto anti-consumistico che ci univa: essere vicini, stare vicini, fare gruppo, fare comunità: condividere. Oggi invece, tutto questo equivale a: pericolo.
E mentre ciò si fa sempre più evidente, più voci (di taluni intellettuali) incitano al ‘Decamerone on line’. Via web. Il sogno del Decamerone, in questo caso – a meno che lo si fosse inseguito per davvero, scappandosene prima delle chiusure totali dei territori, con un gruppo di amici e scortati da grandi quantità di alcol e cibo, rifugiandosi in qualche isoletta del mediterraneo. Penso a Favignana ora, deserta (e spero che almeno qualcuno lo abbia fatto).
Ma questa gente che trasla il concetto relativo alla fuga fuori, lontano da tutto ciò – e lo proietta in un’iperconnessione da tastiera e da smartphone, a cosa crede di star ambendo?
Stanno di nuovo così, un’ennesima volta, spogliando il concetto originario, privando il carapace degli organi vitali, eliminandone la polpa – conservandone la patina e la buccia in modo da utilizzarla questa, per ricoprire qualcos’altro. Ricoprire il nuovo stile di vita che ci attende. Con grafiche che si rifaranno a quel che ne è stato del nostro modo di vivere precedente, già da tempo minato dalle contemporanee forme di essere esseri sociali.
Ricordo un ragionamento di Mario Costa, filosofo napoletano, su come i media nuovi si mascherino da vecchi media, soprattutto all’inizio (ma non solo) della loro comparsa nel mondo. Ne conservo alcuni esempi fisici, trovati casualmente, come: un CD su cui è stampata una grafica che lo ricopre totalmente con l’immagine di un vecchio vinile; o un adesivo utilizzato per chiudere un pacco, avente le sembianze grafiche di un sigillo in ceralacca. Ecco, questo probabilmente succederà, almeno all’inizio, in molti si illuderanno di travestire il nuovo mondo con iconografie di altri tempi e luoghi. Un po’ come quei ristoranti costosi travestiti da vecchie trattorie popolari.
#iorestoacasa: questo slogan, questa tabella educativa odierna, dobbiamo ricordarci essere una versione gentile di quelle già viste in Cina
Onestamente io vorrei già essere scappato su un’isoletta sperduta.
#iorestoacasa: questo slogan, questa tabella educativa odierna, dobbiamo ricordarci essere una versione gentile di quelle già viste in Cina, dove striscioni governativi recitavano letteralmente – e a questo punto anche più onestamente: «RESTA A CASA OGGI AFFINCHÉ DOMANI, QUANDO USCIRAI, POTRAI TORNARE DI NUOVO A CASA».
In tale contesto ne va però invece analizzata la genesi e la divulgazione, le modalità di circolazione della nostra più gentile tabella educativa: #iorestoacasa. Oltre alla presenza dell’io, anziché del più onesto e tassativo – „Resta!“. Il Presidente del Consiglio ha varato un decreto che porta proprio lo stesso nome di questa tag: «le misure contenute nel decreto “Io Resto Casa”».
Ma prima di dare il nome a questo decreto, nella giornata precedente, tale monito era già divenuto estremamente popolare sul web. Ascoltare fashion blogger e youtuber mentre pronunciavano questo slogan, già 24 ore prima che il Presidente del Consiglio lo ripetesse – leggendolo come titolo del decreto varato -, dà da riflettere.
Il potere nuovo anticipa e indirizza il potere delle vecchie istituzioni, attraverso modalità sempre più evidenti. La storia si ripete, sempre uguale – ma differente da se stessa.
L’accaduto ricorda in assonanza un vecchio episodio degli anni 70, che ha riguardato il lancio di un paio di jeans: i jeans Jesus. Ma soprattutto l’analisi pasoliniana su questo paio di jeans, che si chiamavano Gesù e che diventarono, dalla prospettiva di Pasolini, l’emblema iconografico della vittoria del rito consumistico su tutti gli altri riti religiosi. Vicino a quella trovata, come collaboratore della campagna pubblicitaria che ne divulgò le immagini, c’era un giovane Oliviero Toscani, che si è sempre dimostrato felice di essere – all’epoca – stato ‘citato’ da PPP, forse senza comprendere in profondità quel testo, o forse senza conoscere fino in fondo le idee di Pasolini, quando aveva creduto che l’unica forza che si sarebbe potuta opporre al consumismo sarebbe stata proprio la chiesa. Si sarebbe potuta.
Oggi, nella dinamica relativa al passaggio di testimone del monito #iorestoacasa, passato prima dall’essere popolare sulle pagine di Instagram – e, solo dopo, presente anche nel messaggio a media unificati del Presidente del Consiglio italiano – il vero potere si è palesato di nuovo. Come all’epoca.