1967. Anni di rivoluzioni e prese di coscienza, di ribaltamento del conosciuto a favore di qualcosa di possibile. 1967.Anno in cui Waltraud Lehner cancella la sua esistenza e rinasce. Il conosciuto lascia il posto al necessario. 1967. Nasce VALIE EXPORT.
Nell’affrancarsi dalla tradizione del cognome paterno, VALIE riscrive la sua identità, tutta in maiuscolo, rifacendosi a una marca di sigarette austriache. Esce dalla frustrazione, esporta i suoi pensieri e grazie all’incontro con il femminismo dell’epoca afferma chi vuole essere.
Cresciuta in una famiglia cattolica ed educata in convento fino ai 14 anni, segue la strada prevista per la realizzazione della donna nella società, sposandosi e avendo un figlio in giovane età. Ma a tale percorso, che sembra lineare e prestabilito, VALIE darà una svolta netta, trasferendosi a Vienna e iscrivendosi alla National School for Textile Industry, lasciando il figlio alle cure della sorella. Una scelta certo non scontata per l’Austria degli anni Sessanta – e forse neanche oggi. D’altronde, come ci ricorda la stessa VALIE, nella vita è importante rompere le regole.
«You have to go against some of the rules of the state that suppress people’s liberties» (Artist interview. TateShots).
Il Filmmaker Festival di Milano, festival che fa del linguaggio audiovisivo una ricerca continua, dal 15 al 23 novembre 2025, le dedica una retrospettiva, riportando sullo schermo gran parte della sua produzione artistica.
Un’occasione immancabile per scoprire un’artista che ha rivoluzionato il linguaggio della performance femminista, ispirando la generazione successiva di artiste, come Cindy Sherman e Marina Abramović, e mettendo al centro del discorso il corpo e le esperienze vissute, fondendo vita e opere. Sfidando lo sguardo dei suoi contemporanei e il nostro, perché le sue performance valgono ancora adesso, smantellano i costumi della società, svestono gli obblighi, rovesciano i ruoli di genere e ci impongono di guardarci attraverso il suo sguardo, di far risuonare le sue domande nella nostra contemporaneità.
VALIE diventa ciò che desidera.
VALIE diventa ciò che desidera: un’artista indipendente, capace di toccare con sensibilità e acutezza gli spettri dell’umano, mantenendo curiosità e radicalità. Attraverso la fotografia, il video e soprattutto la performance, dal vivo o documentata da Peter Weibel, suo compagno di camera da presa, indaga e sonda i livelli intimi e pubblici del corpo femminile. Fonde ironia e provocazione, esplora il piacere, il dolore, la costrizione sociale, con una pratica artistica che si innesta sul corpo, il suo e quello della donna come territorio da ridefinire, al quale riattribuire ciò che la società maschile ha tolto e depotenziato.
Nella rassegna BODY DOCUMENTS di Filmmaker, curata da Tommaso Isabella, sarà possibile affacciarsi al suo mondo e vedere le prime performance insieme a lavori più recenti, in una panoramica che comprende vari temi d’indagine che hanno il corpo come vettore esplorativo. Il corpo è origine di domande e luogo di sperimentazione e creazione di nuovi significati, siano essi linguistici, spaziali o relazionali, come avviene in Tap&Touch Cinema (1968), in cui costruisce una scatola-cinema chiusa da una tendina, che metterà indosso. Stando in strada insieme a Peter Weibel, inviterà i curiosi spettatori a infilare le loro mani per un’esperienza cinematografica tattile. Mettendo a disposizione la sua pelle e invocando il tatto, VALIE sfida lo sguardo, sia quello dei passanti, che curiosi e disorientati non comprendono l’azione, sia quello maschile, che norma il corpo femminile e lo rende oggetto passivo del desiderio. In Remote…remote (1973), spellandosi il dito con un trincetto e bagnandolo nel latte, crea un raccordo simbolico e cromatico per la rievocazione del trauma; in Hyperbulie (1973) vediamo un corpo messo alla prova in una ricerca costrittiva che prende spunto dalle riflessioni sullo sciamanesimo e la ricerca dell’estasi. Ma c’è anche spazio per l’auto erotismo messo in mostra e goduto con libertà come in Man&Woman&Animal (1970), o la sperimentazione ritmico spaziale del corpo in una stanza, come in Space-seeing-Space-hearing (1973).
Una femminista che, come Agnès Varda, ha provato ad essere gioiosa ma ha anche saputo attraversare la via del dolore per conoscersi e trovare la libertà di essere e rappresentarsi, suggerendoci una via di uscita dalle norme. VALIE EXPORT si sveste di ciò che l’appesantisce, siano abiti, architetture e simboli ma se li marchia anche addosso, tatuandosi una giarrettiera sulla coscia, segno d’una trascorsa schiavitù, per ricordarsi sempre il problema dell’autodeterminazione e dell’esser determinate.
Ad inaugurare l’apertura del festival sarà Ghost Elephants di Werner Herzog, una missione, un’avventura alla ricerca non tanto degli animali quanto del loro spirito, un sogno da inseguire sperando di non realizzarlo mai davvero.
La sezione Fuori Concorso verrà aperta dal capolavoro di Chris Marker Le Fond De L’air Est Rouge, e da Put your soul on your hand and walk, di Sepideh Farsi, un documentario realizzato insieme alla fotografa palestinese Fatma Hassona. Un rapporto di videochiamate che documentano l’assedio di Gaza, testimonianze di vita mostrate da Fatma a Sepideh in un rapporto di dialogo a distanza durato più di duecento giorni, e che testimonia la dura verità e rompe il memoricidio in corso. In Yes, Nadav Lapid adotta il punto di vista di due artisti per raccontare Israele dall’interno. Firma un film radicale che parla di indifferenza, servilismo capitalista e mancata presa di posizione da parte di chi, con l’arte, ha invece la capacità e il dovere di testimoniare il dissenso e mostrare rotte diverse per il futuro.
Nel festival ci sarà posto anche per uno sguardo riflessivo, un Cinema-Io che si guarda e rivendica l’intimità e il punto di vista parziale, situato con Vita Nova di Danilo Monte e Ritratto temporale IV di Ilaria Pezone.
Dal 15 al 23 novembre 2025, il linguaggio audiovisivo si fa ricerca per portare gli occhi e il pensiero a leggere il presente in modo diverso.








