Il progetto Made in Cloister, nato nel 2011 come processo di riqualificazione urbana e attivazione di un microcosmo di produzione artistica e artigianale nell’area di Porta Capuana, ingresso principale della città nei secoli passati, è oggetto oggi di grande interesse per la città di Napoli che si appresta ad osservarne lo sviluppo e la ricaduta sociale. Nell’ammirare questo esempio di architettura combinata tra “sacro e profano”, circoscritto nel complesso che ospita il chiostro di Santa Caterina a Formello – raro esempio di Rinascimento napoletano – e dell’archeologia industriale di quel che fu il Lanificio Militare, possiamo ora osservare un intervento di riqualifica realizzato con fondi privati e una campagna di crowdfunding, dove l’integrità originale dello spazio è rimasta intatta per ospitare una officina culturale interessante e complessa. Alla guida di questo processo la Fondazione MADE IN CLOISTER animata da Antonio Martiniello, architetto di origine campana, con un background che comprende anche una formazione austriaca presso la Technische Universitat di Graz, dove fonda e dirige uno studio super cool di progettazione, KellerArchitettura, ora a Napoli.
ZERO: Una domanda ovvia, cos’è Made in Cloister e perché è nato questo progetto?
Antonio MartinielloIl pensiero di Made in Cloister nasce da una mission precisa: la rigenerazione urbana. Da qui apre due canali, il primo è visibile nel recupero architettonico di 15.000 mq di beni storici, il secondo proteso a creare lavoro attraverso saperi che stanno scomparendo, quali l’artigianato specializzato, in un’ottica un po’ utopica che tende a riqualificare una zona. Una zona del fare, come da sempre è riconosciuta Porta Capuana.
E da dove è nata questa idea?
È nata da due privati, io e i coniugi De Blasio, con i quali abbiamo acquistato parte della struttura con l’intento di dar vita a questo progetto. Si può quindi parlare ovviamente di idea imprenditoriale, volta allo sviluppo di un pezzo di città grazie ad una nuova economia legata al fare, ben più complessa di quella ordinaria, e basata sulla formazione di nuove figure specializzate. Data la portata dell’intervento anche diverse persone del mondo dell’arte si sono da subito interessate sostenendo il percorso del progetto, tra gli amici di Made in Cloister personaggi del calibro di Patti Smith, Franz West, Lou Reed, Nathalie de Saint Phalle…
Questo mi sembra il punto più interessante.
Spiegaci meglio questo “creare il lavoro”. E la sua declinazione che mi pare abbia la volontà di creare un legame forte e funzionale con il mondo delle arti.
La parte più performativa del progetto sarà quella legata ai laboratori di produzione, pensati come degli studi specializzati, composti da tecnici e artigiani, dove, grazie ad una tecnologia avanzata e alla maestria della pratica manuale, verranno prodotte le opere commissionate dagli artisti stessi, dalle Fondazioni, dai Musei e dalle Gallerie. Una partecipazione all’arte che darà un valore aggiunto all’opera. L’intento, nei piani di MADE IN CLOISTER, è quello di creare un luogo ideale in cui le diverse forme d’arte e creatività entrino in contatto tra loro per una mescolanza di stili e idee.
Fondi privati e crowdfunding hanno sostenuto il restauro di gran parte del complesso storico. In che modo ha intenzione quindi di aprirsi alla città un progetto in parte privato, e Cloister Education è da immaginarsi una scuola di formazione orizzontale e aperta a tutti?
Cloister Education, la declinazione didattica del progetto, formerà, attraverso la cooperativa sociale Dedalus con cui siamo in collaborazione, i ragazzi che faranno parte del laboratorio di produzione di MADE IN CLOISTER, centro pulsante della struttura. Sarà questo il fulcro attivo di tutto l’impianto, che ha già all’attivo 50 persone che lavorano, e che vuole affermarsi come nuovo centro d’avanguardia in grado di riconnettere tutto il Mediterraneo e divenire punto di riferimento per la produzione di opere artistiche e di design. In sintesi è questo che cambia, il committente dell’opera. E in sostanza è questo che offriamo, un centro specializzato di produzione d’arte.
C’è anche un programma di residenze artistiche. Con quali criteri avverrà la selezione degli artisti e in che modo pensate di far interagire artisti ed artigiani, e quindi di recuperare questo consolidato rapporto perso negli anni?
Le residenze avranno luogo in un uno degli spazi ancora fisicamente non completi, ma il progetto prevede un bando che entro l’anno prossimo dovrebbe attivarsi.
Posso immaginare poi un comitato scientifico che valuti le proposte e faccia le scelte.
Al momento posso dirti che le residenze saranno probabilmente 5.
Un tassello fondamentale è il rapporto con il territorio. Quella di Porta Capuana è una zona da sempre problematica e più che altro dimenticata, considerata periferia del centro storico.
Avete intenzione di trasformare questo dato? E in che modo intendete relazionarvi e arricchire questa realtà?
Ma guarda, il progetto è tutto rivolto alla trasformazione di quest’area. Sosteniamo da sempre che la vera forza di questo piano sia la rigenerazione del quartiere attraverso il lavoro, e quindi, ridando dignità ad una zona e ad una comunità che le mani sporche le ha sempre avute, che è sempre stata una realtà del fare. Non a caso, l’unico esempio di architettura industriale borbonica è proprio dove sorge MADE IN CLOISTER. Siamo sicuri che attivando questo nuovo indotto economico attraverso la pratica artigianale, a sua volta si inneschi una restituzione per quel che riguarda lo sviluppo del territorio.
In più, quello di MADE IN CLOISTER sta diventando sempre più un centro di aggregazione per gli artisti, Jimmy Durham e Mariateresa Alves hanno acquistato parte dell’immobile per il proprio studio, mentre Valeria Arcella ne ha preso un’altra parte sempre per il proprio lavoro, e la stessa Shirin Neshat in una visita di qualche mese fa si era molto interessata al progetto, ipotizzando un ponte con il medio oriente, data la posizione partenopea agevolata, intrecciando culture che da sempre sono in dialogo.
La memoria storica dell’edificio, e quindi sia del chiostro rinascimentale che del complesso industriale legato al corpo militare, in che modo è stata mantenuta e integrata al vostro progetto? È stato un fattore di rilievo, oppure un di più? E perché proprio questo complesso per questo progetto?
Questo complesso era sicuramente il più funzionale alle dinamiche che stiamo attivando, e ha un fascino unico. Tutto il piano di restauro è stato concordato con la Sovrintendenza ai beni culturali, nella volontà di mantenere tutta l’originalità della struttura senza stravolgere nulla, ma anzi connettendo due architetture ben diverse tra loro, ovvero, il chiostro cinquecentesco di Santa Caterina a Formello e il corpo industriale dell’Ex Lanificio Militare del 1800, dai canoni borbonici. Nella lavorazione abbiamo mantenuto la stratificazione storico-architettonica e lavorato alla valorizzazione identitaria del luogo, senza nessun tipo di alterazione e/o trasformazione totale.
Anticipazioni di un prossimo futuro. Questo inverno cosa ci dovremmo aspettare da voi?
La programmazione è ancora in programmazione, appunto. Sicuramente nei prossimi due mesi avremo uno spettacolo teatrale e diversi concerti. Mentre la factory sarà sempre attiva nei laboratori trasparenti dove tecnici ed artigiani lavoreranno in un processo aperto. È in programma anche il monitoraggio delle lavorazioni, creando una sorta di backstage della creazione delle opere d’arte attraverso una documentazione dei vari processi, in modo da creare in primis un archivio e magari una mostra parallela sulla costruzione dell’opera. Ma questi sono materiali che possiamo usare anche a scopo didattico.
Un progetto interessante sul territorio da segnalarci?
Sicuramente un progetto che si sta sviluppando alla sua massima potenza è quello che sta costruendo il Museo MADRE di Napoli, dove sia il presidente Forte che il direttore Viliani sono stati in grado di dialogare di nuovo col territorio recuperando la forza del museo; finalmente non è più un ufo!
Da sviluppare meglio, ma di ottimo stampo sono invece il Quartiere Intelligente di Cristina di Stasio a Montesanto e il progetto Padre Antonio Loffredo alla Sanità.
All’interno del chiostro c’è un ristorante molto intrigante, volete conquistare anche per la gola?
L’idea del ristorante è nata dalla necessità di sostenere questa realtà. Come specificato, questa è un idea imprenditoriale che ha quindi bisogno di sostenersi praticamente. L’idea è quella di creare una rete forte in grado di sorreggerla. Il ristorante è parte di questa rete assieme al bookshop e al bar, per il momento.
Chicca del luogo: gli arredi sono il primo lavoro finito del nostro laboratorio, che in questo caso ha lavorato su un idea del designer newyorchese Chris Rucker (RuckerCorp) e dalla bravura dei nostri artigiani napoletani.
MADE IN CLOISTER tra dieci anni. Come vi vedete.
L’unico luogo che ha fatto della sua forza la totale contaminazione sociale.