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Associazione CURE

Ballando per le strade: le coreografie di cittadinanza che reinventano il paesaggio collettivo

quartiere NoLo

Geschrieben von Piergiorgio Caserini il 10 März 2021
Aggiornato il 1 April 2021

Foto di Anna Adamo e Guido Borso

Associazione CURE si trova in via Padova, tra lo Zodiaco, il vecchio cinema porno, e il Tubino. CURE sta per Creativity for Urban and Rural Empowerment, eh. Quando siamo andati a trovarli nel loro studio erano in due, ma sappiamo che sono di più. Così Carlo Venegoni e Francesca Marconi ci hanno raccontato i loro progetti e il loro sguardo su NoLo. Su via Padova, soprattutto. Perché è lì che i ragazzi si occupano di rigenerazione urbana e sociale, e lo fanno dal basso, adottando linguaggi dell’arte contemporanea e collaborando con le comunità locali. Perché il punto poi è questo, è la comunità che fa lo spazio pubblico. No?

Internazionale Corazon, Courtesy Francesca Marconi
Internazionale Corazon, Courtesy Francesca Marconi

Ciao Carlo e Francesca, io vi ho conosciuti da poco ma mi sono già innamorato, raccontateci un po’ di voi e di Associazione Cure, com’è è nata e cosa fate.

Carlo: L’associazione Cure nasce nel 2016, in un periodo in cui vivevo a Berlino. La mia esperienza in un’altra associazione si era appena chiusa male, ed ero in crisi. Avevo però chiaro in testa che avrei voluto crearne una nuova, con cui sviluppare ricerche a cavallo tra architettura e territorio, cultura e arte contemporanea. Ne ho discusso con diverse persone che avevo vicino in quel periodo, e con Elena, Gloria e Guglielmo abbiamo fondato Cure: un’associazione che intende accompagnare comunità locali in processi di rigenerazione sociale urbana e rurale “dal basso” impiegando strumenti e linguaggi propri della ricerca territoriale e dell’arte contemporanea.

 

Francesca: È da 3 anni che sono dentro a Cure, la mia pratica di artista mi ha da sempre portato a lavorare in rete, con territori e comunità. Con Carlo ed Elena c’è stata una congiuntura di interessi e pratiche; io stavo lavorando da anni su via Padova con una ricerca sul borderscape, sul meticciato, sulle contaminazioni dei paesaggi. Da qui è partita la nostra collaborazione. In questi anni ho condiviso con l’associazione la mia idea di arte pubblica e di partecipazione attraverso due progetti per il quartiere attorno a via Padova: Internazionale Corazon e Avanti l’Aurora.

E già è lecito qui dar fuoco alle polveri: NoLoSì o NoLoNo e perché.

Carlo: NoLoNo, riferendomi all’adozione di questo nome a livello amministrativo per definire una parte di territorio comprendente Via Padova. Il primo Piano di Governo del Territorio ha avuto l’intuizione felice di proporre il ritorno alla centralità dei quartieri nell’analisi della città. Da 9 zone/municipi sono stati “riscoperti” 87 Nuclei di Identità Locale (NIL). L’operazione di “ritaglio” in alcuni casi è stata accurata, in altri no. Via Padova ne è un esempio: per chi ci vive, essa mantiene un’uniformità dal suo capo – Piazzale Loreto – alla sua coda – Piazza Costantino –, ma è stata divisa in due NIL sulle carte sfruttando il segno del ponte della ferrovia.

 

Francesca: NoLo esiste, sulle mappe di Google, nella nuova geografia municipale, nei gruppi che si incontrano e progettano, coi quali ci possono essere differenze ma anche desideri e progettualità in comune. Nolers no, vicini, coinquilini, collaboratori, ma via Padova ha un’altra storia, altre soggettività, altri orizzonti.

E quanto è cambiata la zona?

Carlo: In Via Venini le cose sono cambiate, e di molto: nuovi negozi, nuovi bar, nuovi abitanti. In Via Padova a prima vista non si direbbe, perché i negozi sono gli stessi da almeno 10 anni ormai, salvo alcune eccezioni. Ma i cartelli per strada, le tante persone che si stanno trasferendo qui e i loro racconti – ogni due o tre mesi cominciano lavori di ristrutturazione di fronte alle loro finestre – raccontano di un forte cambiamento in atto.

 

Francesca: Sicuramente il quartiere è cambiato molto. A parte i prezzi saliti, finalmente le strade sono più abitate e il quartiere sembra essere tornato ai cittadini (pre-covid). Nelle piazzette riaperte i bambini giocano. È una spinta positiva, ma sarebbe una sconfitta se diventasse privilegio di pochi.

Avete lavorato molto con le comunità latine, raccontateci un po’.

Carlo: Nel 2017, mentre collaboravamo al progetto Super il Festival delle Periferie, abbiamo deciso di avviare una ricerca sulle comunità che utilizzano lo spazio pubblico per praticare danze e sport “performativi”: abbiamo così incontrato varie comunità di pratica, compresa quella dei ragazzi latini di prima e seconda generazione che danzano in varie parti della città. Con un gruppo di loro, i Sambos de Corazon si è da subito creato un rapporto privilegiato. Conoscevamo Francesca e la sua ricerca, e le abbiamo chiesto se avesse voglia di collaborare con noi facendo crescere il progetto, e da lì è nato tutto.

 

Francesca: Quella latino-americana è una delle comunità più presenti nel quartiere. A volte è vista con grandi criticità, ma dalla nostra prospettiva è ricca di valore e interesse. L’incontro con i Sambos de Corazon è stato folgorante. Allo Zodiaco, un ex cinema porno attualmente chiuso qua di fianco. L’avevano affittato per una festa, e da mezzogiorno a mezzanotte centinaia di giovani delle comunità peruviane e boliviane hanno ballato all’unisono, con una potenza e una grazia rara, indossando magnifici abiti tradizionali. Varcata quella porta lo spazio si è dilatato ed il tempo congelato. È stato così spaesante e affascinante che mi ha spinta a iniziare con la loro Internazionale Corazon, che dura tutt’ora. La danza è il loro linguaggio, e per noi è il medium per affermare la centralità dell’incontro tra culture e identità diverse nella costruzione di una nuova città.

Raccontateci di Internazionale Corazon.

Francesca: Internazionale Corazon è un progetto d’arte pubblica che affronta i temi della contaminazione culturale attraverso una riflessione partecipata con il quartiere. I costumi dei Sambos de Corazon vengono reinventati in un laboratorio territoriale per divenire un nuovo abito tradizionale e meticcio, un abito simbolico che viene indossato da cittadini di diverso genere, provenienze e identità artistica per essere performato nello spazio pubblico. Una “coreografia di cittadinanza” dove corpi e territori si mischiano, e arte e socialità diventano occasioni di riflessione per poter ridefinire insieme i nostri termini d’identità e ridisegnare il paesaggio collettivo. Todes, la nuova tappa a cui stiamo lavorando, sostenuta da LaCittàIntorno di Fondazione Cariplo e da Alleanze dei Corpi, è un approfondimento dei temi di IC fatto attraverso una drammaturgia collettiva sul paesaggio come corpo meticcio.

Esiste un’identità tra via Padova e NoLo?

Carlo: La realtà forse è che anche il territorio di NoLo racchiude un’identità stratificata “simile ma differente” da quella di Via Padova: solo, in questi che sono anni ruggenti per NoLo, si tende ad appiattire questa identità per renderla glamour e per vendere il prodotto, con il rischio di oscurare o peggio espellere parte di questa ricchezza.

 

Francesca: Sono attratta di più dalla disidentificazione che dal racchiudere un luogo o una comunità in una identità. Per quello mi piace vivere in via Padova, racchiude codici, segni, simboli diversi con cui posso confrontarmi.

Come vi immaginate il futuro di (pur sapendo mi guarderete storto) questa parte di NoLo?

Carlo:In molte città d’Europa, le amministrazioni pubbliche sotto pressione delle comunità locali stanno elaborando strumenti per contrastare fenomeni speculativi che portano all’espulsione di strati di popolazione da zone storicamente popolari (torno a pensare a Berlino, ma anche a Barcellona o a Lisbona): mi pare che in questo senso Via Padova e NoLo siano sotto questo tipo di attacco. Il futuro che attendo è che si abbia il coraggio di prendere in mano la situazione, la si analizzi in maniera critica, e si mettano a punto delle contromisure.

 

Francesca: Sogno un quartiere e una città restituita ai cittadini, aperta, verde e senza recinzioni (vedi parchetto via Transiti). Sono desideri condivisi nella trasversalità dei luoghi e delle comunità, quindi sono sicura che ci arriveremo, condividendo pratiche e affrontando i conflitti in maniera creativa e costruttiva.