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Camilla Battaglia: voce, corpo, mente

L'artista racconta l'ultimo album,

Geschrieben von Giulio Pecci il 19 Dezember 2024
Aggiornato il 20 Dezember 2024

Foto di Marco Floris

Cantante, compositrice, figlia d’arte ma le ci è voluto un giro più largo del previsto prima che diventasse la sua carriera. Camilla Battaglia negli ultimi anni si sta affermando come una delle artiste più attive e convincenti del panorama nazionale – e non solo. La sua è una musica a cavallo tra jazz europeo ed elettronica, infusa di una ricerca filosofico-letteraria su temi complessi e affascinanti.

Dopo il celebrato „Càlór“ del 2023 Camilla è tornata con „ELEkTRA“, per l’americana Ropeadope Records. Un album che racconta le storie di personaggi femminili archetipici, alle quali sono legati stereotipi sociali ancora attuali nella società contemporanea: due figure storiche oscure come Aspasia e Frine, e due figure mitologiche, Cassandra ed Elettra. Con parole prese in prestito da due grandissimi autrici moderne: Christa Wolf („Cassandra“) e Virginia Woolf („A Room of One’s Own“). Abbiamo raggiunto Camilla per farci raccontare meglio l’album e il suo percorso.

Partirei dall'ultima fatica, “Elektra”. Ti va di raccontare il percorso che ha portato alla pubblicazione dell'album? Da dove viene il materiale, come l'hai costruito?

ELEkTRA è vero frutto delle influenze assorbite durante un master europeo che ho seguito tra il 2016 e il 2018. Da un’idea legata a profonde discussioni sul piano dell’equilibrio di genere nel mondo della musica condivise con i colleghi durante i corsi di music performance al RMC di Copenhagen, il progetto nasce tra le mura di quella scuola e la mia stanza a Holte. Nel 2017 ho scritto il primo brano Electra e sviluppato l’idea di costituire un ensemble grande che esprimesse attraverso la propria personalità il messaggio che mi preme consegnare: se qualcosa è davvero cambiato, ricordiamoci che di strada da fare ce n’è ancora molta! L’idea poi si è sviluppata a Berlino, dove ho registrato nel 2017 quello stesso brano negli studi del JIB con un ensemble allargato di straordinari musicisti conosciuti poco dopo essermi trasferita in città. Il progetto è stato poi l’oggetto della mia tesi di laurea per la conclusione del Master ed è stato presentato al Copenhagen Jazz Festival nel 2018. Tornata in Italia piena di entusiasmo ho riformato subito l’ensemble, scontrandomi però con le difficoltà pratiche di un progetto così ambizioso dal punto di vista logistico, soprattutto perché sono una cantante di 34 anni (28 al tempo) e quindi no, decisamente non ottengo molto supporto per portare avanti un progetto così numeroso.

Ci sono artisti o dischi che hai ascoltato e che pensi siano influenze dirette nella costruzione dell’album?

Oh sì! Principalmente direi Maria Schnider, Esperanza Spalding, My Brightest Diamond, Fiona Apple e Becca Stevens, ma a livello compositivo ci sono ispirazioni che arrivano dalla musica seriale (Berg e Boulez), dal minimalismo (Riley, Pärt e Glass) e dalla musica elettronica (Reich, Beyer, Noto, Barbieri).

L’album è una raccolta di ritratti di donne eccezionali. Hai seguito un metodo preciso per trasformare ciascuna figura in musica? Quanto studio c'è dietro, anche al di là della pura materia musicale?



Per ogni personaggio ho cercato di creare un vestito specifico che rappresentasse, anche attraverso l’arrangiamento e il timbro degli strumenti, la sua storia a prescindere dal testo.
Quando ho cominciato a scrivere la musica di questo progetto c’è stata molto ricerca per individuare personaggi che coprissero la più vasta superficie possibile di campi di conoscenza: storia, mito, arti visive, letteratura e scienza. Successivamente c’è stata la ricerca di testi che supportassero l’importanza della loro immagine e che esponessero tesi diverse da confrontare rispetto alle loro specifiche storie. In ultimo mi sono dedicata alla stesura dei testi e delle melodie principali che li esponessero, per poi pensare alle architetture di arrangiamento per la sezione ritmica e i fiati.

Mi collego a quest’ultima domanda per parlare dei tuoi studi di filosofia, che hanno preceduto quelli musicali. Oggi cosa studi, cosa leggi? Cosa ti ispira al di là della musica?

Non sono una musicista per cui esiste la musica e la musica soltanto. Da quando ho deciso di dedicarmici seriamente ho sicuramente un ritmo molto più lento nel trovare tempo e spazio per le altre mie passioni. Leggere un libro negli ultimi anni è diventata un’attività per lo più da vacanza o da “è quasi ora di andare a letto”. Però io per scrivere musica, ho bisogno di occupare il mio tempo con altre cose! Mi piace tantissimo andare alle mostre e passeggiare nelle sale dei musei, soprattutto perché quando guardi un’opera sai che l’artista ha rappresentato attraverso quel lavoro il suo tempo e questo è per me un pensiero di forte ispirazione. Ad esempio l’ultima mostra vista è „Paesaggi Notturni“ di Luigi Ghirri. Leggo soprattutto poesia, ma mi piacciono anche i saggi contemporanei, mentre ho un po’ più di difficoltà con la narrativa attuale, perché alla fine finisco sempre con qualche classico tra le mani, se ho voglia di leggere un romanzo.
Ora sto leggendo “Mikrokosmos” di Sanguineti, uno dei miei poeti preferiti, e un bel libro che mi hanno regalato durante il TedX a cui ho partecipato con il progetto di Francesca Remigi, “Stai zitta” di Murgia. Negli ultimi anni cerco anche di dedicarmi un poco più spesso a cose pratiche. Ho studiato per prendere la patente e cerco di guidare il più possibile, malgrado non sia proprio una passeggiata per una che ha avuto 18 anni circa 16 anni fa! Mi piace andare in montagna e imparare a riconoscere le vette e i sentieri, considerato che non ho un gran senso dell’orientamento e sono tremenda in geografia. Sono sempre affascinata dalle scoperta nel campo della fisica e trovo la letteratura di alcuni testi, del tutto divulgativi chiaramente, molto interessanti. Ultimo libro letto “Buchi bianchi” di Rovelli, ma mi riprometto di leggere Hawking entro la fine dell’anno!

Hai lavorato con un grande ensemble di musicisti provenienti da tutta Italia, molti di questi da Roma che si conferma essere un po' il cuore pulsante (insieme alla Toscana) di un certo tipo di musica improvvisata e sperimentale che si intreccia al jazz. Che rapporto hai con la capitale? 

Mi sono sempre trovata molto bene a Roma. La scena è molto variegata e ricca di personalità musicali davvero interessanti e posti diversi in cui vedere e ascoltare progetti che testimoniano un’attività culturale che non esiste in molto altri posti in Italia. Ho tantissimi e importanti ricordi a Roma ed è un luogo dove lavoro sempre molto volentieri, anche se spero sempre che le azioni dei luoghi indipendenti insegnino alle istituzioni un po’ più di amore e rispetto per quello che facciamo.

In generale che momento pensi stia vivendo Roma?

Penso che Roma abbia avuto la fortuna di richiamare a sé una comunità di artisti attiva e prolifica in tanti campi diversi e che il calendario di eventi che propone sia il diretto risultato di questo movimento.

Stereotipicamente parlando il jazz (per lo meno quello originario, di stampo afroamericano) è una musica considerata "empirica", esperienziale, improvvisativa. La tua invece sembra contenere una precisione quasi matematica. Insomma sentiamo di essere di fronte a vere e proprie composizioni, in cui ogni elemento deve essere eseguito nel modo e nel momento giusto. Quanto è reale questa sensazione? Qual è l’equilibrio tra composizione e improvvisazione nella tua musica?

Il tentativo che faccio con la musica che scrivo e i progetti a cui mi dedico è proprio quello di trovare un equilibrio tra questi due aspetti che vengono considerati antitetici. Anche la musica che mi ispira ha il proprio focus in questo tipo di ricerca. Scrivo musica pensando ad architetture e intrecci parametrici specifici con la volontà di creare uno spazio quanto più fertile per l’espressione della creatività di chi la suona. Ho sempre creduto profondamente nell’idea che la vera libertà espressiva derivi dall’affrontare, interiorizzare e poi superare e infrangere quelle stesse architetture e intrecci di cui sopra. Ad esempio nel mio album “CÀLÓR” del 2023 ogni composizione è stata accompagnata da una traccia improvvisata in studio, guidata solo da alcune direzioni parametriche, che ho poi prodotto e rielaborato soprattutto attraverso la sintesi granulare del suono. Attraverso questo spazio “libero” ogni brano si è arricchito di una cadenza, se così vogliamo considerarla, in cui lasciare dialogare liberamente i musicisti della band.
Ma lo stesso vale anche per la struttura della mia performance in solo “Perpetual Possibility” che, suddivisa in 9 atti, si apre a scenari di direzione timbrica e ritmica sempre diversi.

Nella tua musica c’è un richiamo molto intenso al corpo. Sicuramente evidente nel precedente album, “CÀLÓR” ma anche in “Elektra” e nel modo in cui sembri abitare lo spazio del palco. Sbaglio? Vuoi elaborare un po' su questo tema, che importanza ha il corpo per te?


Sono una cantante, quindi il mio strumento è il mio corpo. Lapalissiano? Sì! Il mio corpo è il mio strumento, la mia cassa di risonanza e dunque sì il corpo ha un’importanza viscerale in quello che faccio. Lo spazio che si occupa nella performance e il modo in cui lo si occupa rendono la performance stessa sempre diversa e così anche il suono del mio strumento.

Fin qui il tuo percorso ti ha portato a risiedere e approfondire le scene nord europee. Cosa ti affascina di quei luoghi, culturalmente e musicalmente?

La scena musicale situata nell’Europa continentale e nel nord è tra le più attive e creative del nostro continente e sono stata fortunata ad aver avuto la possibilità di viaggiare, studiare, lavorare e vivere in diverse capitali, che rappresentano capisaldi dell’attività culturale in Europa. Ho collaborato, ascoltato e studiato con una comunità di musicisti in costante evoluzione di linguaggio e di suono e ne sono stata profondamente influenzata.

Controparte della domanda precedente: riguardo invece al sud dell'Europa? Hai mai sentito un richiamo verso quei luoghi, dal bacino Mediterraneo all’Africa?

Purtroppo sono luoghi che ho frequentato e conosco molto meno di altri, ma che spero di conoscere sempre meglio nel futuro prossimo. In effetti se parliamo di sud del mondo, tra febbraio e marzo sarò impegnata in una residenza artistica di quattro settimane in Messico.

Sei la seconda italiana a pubblicare per la Ropeadope, etichetta americana. Com'è avvenuto questo incontro? Cosa ti ha portato alla scelta di affidarti a loro, avevi già familiarità con il loro catalogo?

Ho conosciuto direttamente la Ropeadope lavorando al disco di Andrea Molinari qualche anno fa e siamo rimasti da quel momento in contatto con l’idea di collaborare all’uscita di “ELEkTRA“, in cantiere dal 2018. Abbiamo pubblicato il primo singolo a giugno del 2020 e finalmente ultimato il lavoro con l’uscita dell’album di quest’anno. E’ stata finora una collaborazione che mi ha insegnato molto sia dal punto di vista dell’attenzione verso il target di ricezione del lavoro discografico che dal punto di vista della produzione musicale. Abbiamo cercato di sintetizzare il suono del progetto valorizzando il cuore-canzone di ogni composizione.

Chiudo chiedendoti "semplicemente": e ora? Prossimi progetti?

Come dico sempre: testa bassa e pedalare. Fare la musicista nel 2024 pare sempre più un privilegio del quale non scordarsi mai nemmeno per un secondo, malgrado tutte le sue difficoltà intrinseche. Si continua a lavorare per raggiungere un pubblico sempre più attivo e ricettivo a linguaggi contemporanei e ci si impegna a costruire nella performance live uno spazio fuori dallo spazio che possa avere un significato per chi decide di condividerlo con me e i progetti di cui mi occupo. Prossima uscita il progetto in duo con il pianista Simone Graziano, una collaborazione a cui tengo moltissimo. Continuo a lavorare ad una nuova veste del mio progetto in solo ed altre collaborazioni tra cui quella con il pianista Matt Mitchell, la sassofonista Giulia Barba e il quartetto con Julius WIndisch, Nick Dunston e Lukas Akintaya.