Tra aprile e maggio 2016, due nomi della musica italiana in grado di arrivare al 99% delle orecchie dello Stivale, Fedez e Gigi D’Alessio, annunciano di aver abbandonato la Siae e di aver affidato la gestione dei propri diritti d’autore a Soundreef. Dopo l’annuncio del Gigi nazionale, il presidente della Siae, Filippo Sugar, dalle colonne de Il Messaggero fa sapere che è tutto un fuoco di paglia e i due big presto torneranno sui loro passi. Abbiamo allora deciso di sapere qualcosa in più su Soundreef, società che ha un piede a Londra e l’altro proprio a Roma, facendo due chiacchiere direttamente con il suo fondatore e amministratore delegato Davide d’Atri.
ZERO: Iniziamo dal principio, quando e perché nasce Soundreef?
Davide d’Atri: Soundreef nasce alla fine del 2011 e nasce dalla consapevolezza che le royalty e i compensi degli autori ed editori possono essere gestiti in maniera più efficiente e trasparente. Gli assi portanti del progetto sono tre: 1) le rendicontazioni e le ripartizioni devono essere al 100% analitiche, ovvero ciò che viene suonato deve essere pagato. 2) Rendicontazioni e pagamenti devono essere molto veloci. Nel sistema tradizionale si arriva al pagamento in 18/24 mesi dopo l’utilizzo di un brano. Nel nostro caso, per i live ad esempio, rendicontiamo entro 7 giorni e paghiamo entro 90. 3) Tutto deve essere sempre tracciabile on line: in ogni momento ogni iscritto può andare sul proprio account e vedere esattamente dove la musica è stata suonata e quanto ha guadagnato.
Prima di fondare Soundreef ti occupavi già di musica e diritti d’autore?
Sì, è la seconda azienda che faccio nel campo dei diritti. La prima si chiamava BeatPick e licenziava diritti discografici di sincronizzazione per film e tv: quei diritti che nascono dall’associazione musica/immagine, ovvero quando si associa una musica a una pubblicità o a un film. È un diritto che da sempre è in capo a trattative private e non viene gestito dalla Siae.
Siete stati attivi da subito?
Sì, Soundreef è cominciata a crescere abbastanza velocemente. È un’idea che ho sviluppato nell’arco di dieci anni, ho avuto la prima intuizione ai tempi dell’università. Quando l’ho lanciata a fine 2011 c’erano già alle spalle due anni di market test e, soprattutto, una linea di pensiero lunga un decennio. Quindi, quando abbiamo iniziato siamo andati abbastanza spediti. Pensa che solo nelle prime quattro settimane di apertura avevamo già raccolto 600.000 euro di investimenti.
Gli investimenti sono stati raccolti in Italia?
Ho raccolto sempre capitali italiani e di proposito, non perché avessi problemi a raccoglierli all’estero, ma per mantenere un legame con l’Italia.
Cosa ha convinto gli investitori a dare credito al progetto Soundreef?
Prima di tutto la base di un team che conosce bene l’industria, da un punto di vista legale e commerciale. Seconda cosa, un mercato abbastanza grande (in europa siamo sui 6 miliardi di euro complessivi) e in movimento, in evoluzione rapida. Terzo, il nostro approccio al mercato che è di tipo tecnologico.
Penso che per capire l’avventura di Soundreef sia necessario partire da una direttiva europea, la 2014/26. Ci puoi spiegare brevemente in cosa consiste e cosa ha cambiato nel mondo del diritto d’autore?
La direttiva dice tre cose principali: 1) ogni editore e autore in Europa si può iscrivere alla società di gestione di diritti che più preferisce. 2) Ogni utilizzatore compra dalla società che meglio lo serve. 3) Possono esistere a fare intermediazioni sul mercato società a gestione collettiva e società private. Quindi la direttiva, per la prima volta, mette nero su bianco che a fare questa intermediazione non debbano essere soltanto i vecchi monopolisti, ma possono essere anche società private che lavorano in concorrenza con questi monopolisti, e le definisce enti di gestione indipendenti. Un assoluta liberalizzazione, anche se per certi versi zoppa: la direttiva, infatti, lascia un piccolo spazio per i governi nazionali perché impedisce che società italiane vadano a fare concorrenza alla Siae, ma non vieta a società estere di operare Italia. Un po‘ un assurdo, perché ti esponi alla concorrenza all’estero, ma non fai crescere aziende italiane.
È per questo che la sede legale è a Londra?
No, no! Non c’entra niente. Io sono andato in Inghilterra a 19 anni, ho fatto tutta la vita lì fondamentalmente! Soundreef LTD nasce a Londra, è e rimane a Londra. Nel 2015 abbiamo conosciuto degli investitori italiani e sono stati io a convincerli a creare un’altra società per azioni italiana che diventasse proprietaria della società inglese. Abbiamo fatto un’operazione contraria a quella che si vede spesso: quella di export di capitali. Non li abbiamo fatti rientrare perché, di fatto, la proprietà della società è italiana.
Gli artisti che avete sono principalmente europei o italiani?
Il 95% del catalogo è statunitense. Abbiamo un catalogo internazionale, solo 1.000 autori sono italiani a fronte di 20.000 internazionali.
Il diritto riguarda qualsiasi tipo di supporto o solo la musica digitale?
Fino a ora abbiamo lavorato solo su musica di sottofondo per i grandi esercizi e sui live. Dal 1 gennaio 2017 lavoreremo su tutte le tipologie di royalty.
Cosa accade quando un nuovo autore vuole affidarsi a Soundreef, che tipo di accordo c’è?
È un accordo semplicissimo. Ci vengono concessi i diritti e stop. L’iscrizione è gratuita, te ne e puoi andare quando vuoi, quindi non ci sono periodi lunghi di esclusiva. Ti iscrivi e se il servizio non ti piace dopo 60 giorni te ne vai, l’accordo è semplice: ci dai i diritti e noi te li scrutiamo per tuo conto sulle utilizzazioni che avvengono.
Avete un vostro software che vi permette il monitoraggio?
Sì, certo. Questa è una società tecnologica e la tecnologia è nostra.
Parliamo un attimo dei due artisti che in questi giorni hanno portato l’attenzione sul progetto Soundreef: Fedez e Gigi d’Alessio. Come sono arrivati da voi?
Fedez ci ha chiamato. Sembra un spot, ma è così: è venuto a conoscenza di Soundreef e ha detto al suo entourage: „Chiamateli perché mi piacciono“. Siamo andati a trovarli e dopo tre incontri abbiamo firmato l’accordo. Per Gigi invece c’era un amico in comune che ci ha fatto conoscere, ma anche in questo caso è stato un accordo piuttosto semplice: gli abbiamo presentato il modello, ci siamo visti 5/6 volte e abbiamo firmato.
C’è qualcosa in particolare che li ha colpiti?
Basta che vai su un account Siae e su un nostro account. Se tu vai su un nostro account vedi, ad esempio, „tre passaggi al supermercato di Oslo in quel dato giorno“, „tre passaggi sulla tv in Spagna in quell’altro“ e via dicendo. Se tu vai su un account di un provider tradizionale tu vedi semplicemente „50 euro dalla televisione“. Ma perché 50 euro? In quale giorno, in quale minuto, in quale canale, con che minutaggio? Non c’è tracciabilità e senza tracciabilità non puoi stabilire con esattezza le cifre che ti riguardano.
Qualche giorno fa, Filippo Sugar, presidente Siae, in un intervista al Messaggero (pubblicata il 30 maggio, nda) ha dichiarato che soundreef non sarà in grado di riscuotere i diritti, principalmente per mancanza di capillarità: è vero?
Il bello del mercato libero è questo ed è anche quello che suggeriamo: se una società lavora male e non è in grado di curare gli interessi di un autore o editore, ci sembra ragionevole che si passi a un’altra. Quindi, chi riterrà che Soundreef non avrà fatto un buon lavoro sarà libero di „punirci“ e ritornare alla Siae. Per quello che riguarda la capillarità, credo che sia un’affermazione superficiale, non rispecchia la verità, se noi consideriamo radio, televisione, musica di sottofondo o live, abbiamo ormai a che fare con transazioni digitali, non serve la capillarità, la capillarità serve per il bar sotto casa, fine. È questo l’inganno delle società di collecting: hanno fatto pensare agli autori ed editori che fosse complesso analizzare e dare una reportistica veloce e puntuale. Da un punto di vista tecnico i problemi non ci sono. Con questo non voglio dire che non ce ne siano in assoluto e che l’infrastruttura di Siae non sia preziosa, tant’è che noi chiediamo alla Siae di dialogare, non vogliamo un rapporto di chiusura.
Sugar ha parlato di una campagna acquisti da parte vostra. Sostanzialmente, dice che siete andati a caccia di big, attraendoli a suon di euro.
Paritamo dicendo che sorridiamo di fronte queste accuse. Fino a qualche settimana fa eravamo quelli che trattavano solo musica sconosciuta e senza futuro, adesso siamo quelli che puntano solo alle star, al soldo di non si sa bene chi. Noi non paghiamo assolutamente nessuno, ci mancherebbe, anche perché non saremmo in grado di pagare adeguatamente quel tipo di artista: tutti sanno che hanno fatturati molto importanti, probabilmente superiori al nostro! Pagarli per convincerli mi sembra complicato insomma… Mi incuriosisce questa cosa, perché praticamente nell’intervista al dottor Sugar si ipotizza una truffa al contrario: di solito una truffa funziona che ti fai dare i soldi e poi non li restituisci, lui dice che noi stiamo pagando, finanziati da occulti investitori, e poi ce ne andremo… Un po‘ strana come truffa… Se invece ci si riferisce a degli anticipi sulle royalty, allora bisogna anche dire che è un qualcosa che nell’industria della musica si fa da sempre, lo fanno gli editori, le etichette discografiche la stessa Siae, perché a bilancio ha una voce „Anticipi Royalty“.
Dice anche che per conteggiare con esattezza le royalty di un artista come d’Alessio dovrete alla fine tornare a rivolgervi alla Siae e che la dovrete pagare per questo servizio.
Ritorno a monte dicendo che la Siae svolge un ruolo prezioso, nessuno pensa che la Siae scomparirà il 1 gennaio 2017, che dovrà essere demolita o distrutta. Noi crediamo che la concorrenza faccia bene a tutti. Non sarà un’onta per noi utilizzare, se sarà necessario, la rete Siae. Il discorso è lo stesso dei provider di telefonia che hanno utilizzato le infrastrutture Telecom all’indomani della liberalizzazione, non è che non sia possibile fare concorrenza se ti appoggi alle infrastrutture esistenti. Se non ci vorranno fare appoggiare su alcune utilizzazioni, secondo noi ci andranno a perdere un po‘ tutti, anche la stessa Siae, e secondo noi i problemi saranno più loro che nostri alla lunga.
Ti chiedo un’ultima curiosità su un campo per me molto affascinante: quello delle radio-in-store. C’è un idea di quanta musica passi ogni anno nelle radio dei negozi?
Un numero preciso non te lo so dire, ma ti posso dare altre statistiche: abbiamo 20.000 punti vendita a cui forniamo musica dei nostri artisti ed è una cosa di cui non si parla spesso: ci sono 20.000 punti vendita in cui si ascolta solo ed esclusivamente musica indipendente. In italia non era mai successa una cosa del genere: abbiamo creato un vero e proprio network radiofonico per indipendenti che può essere utilizzato per raccogliere soldi e promuovere la propria musica. Ogni mese circa 150.000.000 milioni di persone entrano in un esercizio con musica Soundreef. E la cosa bella è che gli esercenti sono soddisfatti, c’è una percentuale del 98% di rinnovo.
Cosa farete nel futuro più prossimo?
Abbiamo messo tanto carne al fuoco e dal 1 gennaio raccoglieremo un ampia gamma di royalty sul territorio italiano per i nostri aventi diritto: questa è la nostra sfida futura.