Per un qualsiasi festival raggiungere i 10 anni di attività è un traguardo. Figuriamoci (purtroppo) per una rassegna teatrale, settore sempre meno sostenuto, in particolare qui a Roma. Elogi allora per Short Theatre, che giunge alla sua undicesima edizione (dal 7 al 18 settembre) e si pone sempre più come una realtà riconosciuta, capace di tessere reti e di trovare in esse la sua forza: reti con altre rassegne teatrali italiane e internazionali, tra e con le compagnie, reti con settori confinanti (danza, musica, arti digitali etc.), network cittadini. Per presentare al meglio l’edizione 2016, che si annuncia particolarmente ricca, abbiamo „scomodato“ direttamente Fabrizio Arcuri – direttore artistico – Francesca Corona – direttrice generale e curatrice della parte internazionale. Dritte sugli spettacoli da tenere d’occhio, chiavi di lettura e anche un tentativo di tratteggiare lo stato di salute della cultura a Roma (© foto Marco Rapaccini per Bellagente, un progetto di Dude Mag).
ZERO: Nel 2015 Short Theatre guardava al futuro in maniera nostalgica, come se fosse scomparso. („#Nostalgia di futuro“ il claim). Nel 2016 l’invito è quello a mantenere vivo il villaggio, quindi sostanzialmente ad attuare una resistenza. Inizio allora col chiederti qual è lo stato di salute attuale del teatro a Roma e quello di Roma città.
Fabrizio Arcuri: Lo stato di salute della cultura a Roma rispecchia quella del nostro Paese: trascurata, mal messa e poco considerata. Penso che sarebbe importante tornare a credere che la cultura sia una risorsa e non un ramo secco da potare. In effetti parte tutto da lì, da come chi ci governa e i nostri politici intendono mettere a sistema le risorse che hanno sempre più sfiancato e che, fiaccate, agonizzano.
All’interno di questo “quadro clinico” come si inserisce Short Theatre? Cosa vuole fare e come cerca di farlo?
Short Theatre all’interno di questo quadro può poco, può solamente cercare di resistere e tentare di dimostrare che si può ripartire da piccole postazioni per ricreare un tessuto di rinascita e crescita. Una piccola oasi che cerca collaborazioni con altre oasi per tentare di concretizzare miraggi.
Un anno fa, quando facemmo una chiacchierata simile per presentare Short Theatre 2015, c’era un’altra amministrazione e un altro scenario politico. Cosa consiglieresti al nuovo assessore alla cultura, Luca Bergamo, per ciò che riguarda il teatro e rassegne di più giorni come Short Theatre?
Il nuovo Assessore è una persona che si è occupata a lungo di cultura attraverso Zone Attive, con Enzimi e i Festival della Letteratura e della Fotografia. Pertanto, credo che abbia chiaro quali siano le necessità e soprattutto i tempi per poter programmare con serietà e serenità.
Leggendo alcune sue prime interviste, ho letto della necessità di risolvere il problema Valle. Sono i luoghi il nocciolo della questione, cioè avere degli spazi garantiti e sostenuti all’interno dei quali lavorare e far nascere cultura a 360°?
Penso che più che i luoghi, che sono subito al secondo posto, al primo ci sia la necessità di una visione. Quello che in altri tempi si sarebbe definita una politica culturale, organica che abbia davvero a cuore la rinascita culturale di questa città.
Parlando di villaggio, la prima immagine che mi viene in mente è quella di comunità piccola, ma solidale. La comunità di Short Theatre rispecchia questa immagine? Soprattutto per quel che riguarda i rapporti tra le compagnie, che ne sono il nucleo primo?
Spesso le compagnie ospiti non si conoscono tra loro. Essere in un luogo dove spettatori e compagnie, aldilà dello spettacolo, possono mangiare insieme, conoscersi e condividere momenti di intrattenimento, crea quel clima e quel contesto che rende Short Theatre un villaggio dove per un piccolo periodo di tempo è possibile davvero tentare di scambiare opinioni, prassi e idee.
Un network che guarda anche verso l’esterno è di cui Short Theatre fa parte è quello di Finestate Festival, ci puoi raccontare cos’è e perché avete deciso di farne parte?
Insieme a B.motion/Operaestate Festival Veneto (Bassano del Grappa), Terni Festival, Contemporanea Festival (Prato) e Carovana (Cagliari) abbiamo ideato questo network per costruire una rete di relazioni con gli istituti di cultura stranieri e le istituzioni che si occupano di sostenere le proprie attività culturali negli altri paesi e rendere più solida la collaborazione. Quindi, da una parte offrire alle compagnie straniere una piccola tournée italiana, e non una data sporadica, dall’altra, avere grazie a questo più possibilità di scelta. Si tratta di attuare delle strategie partendo da un pensiero comune che i festival del network condividono per svolgere al meglio la funzione di catalizzatori di interesse e di contenuti. In questo modo riusciamo a intercettare quello che di più interessante viene prodotto in Europa ed essere competitivi nell’ospitare e offrire visibilità.
Sempre rimanendo in tema di reti, ho visto che ci sono nuovi luoghi satellite (Villa Medici, Palazzo Venezia,Biblioteca Vallicelliana etc.), siete stati voi a cercarli o il contrario?
Avevamo in mente la struttura dell’atomo, volevamo che Short Theatre avesse un nucleo centrale e delle altre postazioni in altri luoghi, come elettroni che girano sulle orbite intorno al nucleo. Creare piccole diramazioni che avessero un effetto centrifugo e al tempo stesso centripeto. Abbiamo individuato dei luoghi, altri ci sono stati proposti e non escludiamo che nel futuro ce ne possano essere degli altri.
Per queste nuove location gli spettacoli sono stati pensati come site specific? Ci sono state difficoltà nell’adattarsi a luoghi così particolari e, in potenza, più rigidi in quanto istituzionali?
Ogni luogo ha le sue peculiarità e le sue difficoltà, ma gli spazi vengono scelti per corrispondere alle caratteristiche di alcuni formati spettacolari che richiedono spazi alternativi alla sala teatrale. Quindi, gli spettacoli che saranno fatti in questi luoghi sono pensati per quelle esigenze. Spesso sono per poche persone alla volta o hanno bisogno di una particolare suggestione che la location scelta riesce a dare, contribuendo alla migliore riuscita della performance.
Immagini che nel futuro Short Theatre sarà un evento totalmente disseminato per la città o avrà sempre un campo base principale?
No. Penso, come dicevamo, di procedere seguendo una struttura atomica: il nucleo forte resterà sempre un unico spazio perché per noi è importante creare un luogo dove sia possibile vedere spettacoli, conoscere gli artisti, favorire gli scambi tra loro e tra loro e il pubblico.
Dando un’occhiata agli spettacoli ho trovato molti temi politici, soprattutto legati all’Europa, come se il villaggio mettesse in guardia sui pericoli di una città tentacolare. Da dove nasce secondo te l’esigenza di questo racconto politico?
Alla base di Short Theatre penso ci sia proprio questo: l’idea che lo spettatore, attraverso i vari spettacoli, fruisca di una grande narrazione fatta di tasselli di episodi come i racconti di una stessa raccolta. La scelta degli spettacoli ogni anno ruota intorno a un tema oppure il tema nasce dalla suggestione che molti spettacoli propongono. È indubbio che in questi anni il concetto di Europa, come ente che raccolga istanze e necessità dei paesi membri, sia molto lacunoso e spinga molti a riflettere su questa complessità. Nessuno credo abbia le idee chiare, ma certo si registra una certa difficoltà a sentirsi davvero europei. A vivere l’Europa come comunità.
C’è molta danza nel cartellone 2016, una tua passione o la necessità di raccontare una contaminazione sempre più forte tra danza e teatro?
Siamo un festival multidisciplinare, in un’epoca di contaminazione di generi. Ci sono spettacoli di teatro, di danza ma anche molti formati che mescolano i generi. Cerchiamo di essere specchio di quelle che sono le urgenze estetiche degli artisti.
Pensi che le due discipline arriveranno a diventare un tutt’uno indissolubile o manterranno una loro identità?
Credo che in alcune occasioni succeda già. Ma i due linguaggi manterranno sempre una loro autonomia perché, per l’appunto, hanno una propria identità.
Hai riscontrato altri temi ricorrenti nei lavori di Short Theatre 2016?
Abbiamo selezionato molti spettacoli di drammaturgia contemporanea, volevamo che ci fosse la possibilità di ascoltare scritture originali per la scena scritte oggi e che parlassero di oggi. Penso che sia importante sostenere e incentivare la nuova drammaturgia e che sia importante per uno spettatore ascoltare cose che lo riguardino da vicino e che, in talune occasioni, possano fornirgli chiavi di lettura e spunti di riflessione.
C’è qualcuno che ti ha aiutato nella selezione dei lavori?
Short Theatre ogni anno nasce da idee strutturali forti e da molte collaborazioni con i partner dei network di cui facciamo parte. Però, tra tutti, sicuramente direi Francesca Corona, curatrice dei progetti internazionali.
Quali sono gli spettacoli di questa edizione che consiglieresti di tenere d’occhio?
Difficile nominarne alcuni e lasciarne fuori altri, come sempre, direi di non perdere le presenze internazionali come l’argentino Fernando Rubio o tg STAN (Belgio) e Milo Rau (Svizzera), che sono tra le compagnie più interessanti del momento e che inseguivamo da un po’ di tempo.
Personalmente quale spettacolo sei curioso di vedere in scena?
Tutti i debutti, che sono circa dieci, tra cui i nuovi lavori di due delle realtà più interessanti romane, quello dei Muta Imago e quello di Brinchi/Spanò, compagnia che nasce da membri ex Santasangre.
Sono nate nuove realtà teatrali a Roma che ti hanno colpito?
La riflessione andrebbe fatta in altre sedi e richiederebbe un ragionamento più ampio. Le condizioni in cui si opera a Roma sono talmente difficili e disincentivanti che certo non favoriscono la nascita di nuove realtà. È sempre intorno a degli spazi dove c’è concretezza e possibilità che si formano nuovi fermenti e a Roma, appunto, da molto tempo non ne esistono più molti. Da quest’anno, come fu per il Rialto e poi con l’Angelo Mai, dialoghiamo con Carrozzerie n.o.t., uno spazio giovane di produzione e di programmazione da cui raccogliamo proposte e con cui abbiamo attivato una spero lunga e proficua collaborazione.
Lo spettacolo migliore che ti è capitato di vedere in quest ultimo anno?
Hamletmaschine di Dimiter Gotscheff al Berliner Ensemble, ma impossibile da portare a Roma, almeno per noi.
Per le prossime edizioni stai immaginando nuove collaborazioni con altri festival e rassegne?
Siamo sempre aperti alle collaborazioni, da quest’anno infatti facciamo parte di Source, inizia quindi la collaborazione con il Festival d’Avignon, Trafo di Budapest e il Théatre National di Bruxelles. Abbiamo vinto un bando della Comunità Europea su la produzione e la programmazione di formati brevi che durerà per i prossimi due anni.
ZERO: Anche quest’anno la componente internazionale del programma è di peso, possiamo dire che è un percorso che difficilmente sarà abbandonato, per cui Short Theatre avrà sempre un suo volto internazionale?
Francesca Corona: Considerare il paesaggio artistico internazionale come orizzonte fa parte della natura di Short Theatre e parlo di una natura che si è costruita negli anni, rispondendo ad una precisa volontà. Il festival è ormai pienamente inserito in una cartografia che sconfina il territorio nazionale. L’obiettivo è sicuramente quello di offrire alla nostra città una programmazione internazionale, invitando artisti che altrimenti difficilmente arriverebbero a Roma. Questo sguardo internazionale si combina da sempre con un forte radicamento cittadino e nazionale, ed è questa doppia spinta a rendere Short Theatre un’occasione di incontri imprevedibili tra artisti provenienti da differenti nazioni, contribuendo così alla creazione di uno spazio comune, smarginato, internazionale. Quindi sì, è un percorso che difficilmente sarà abbandonato, difficile immaginarci altrimenti.
Hai seguito qualche rassegna o festival in particolare per reclutare gli spettacoli internazionali di
quest’anno?
La programmazione internazionale è frutto di tanti interessi e desideri stratificati, artisti che seguiamo da qualche anno ma che ancora non eravamo riusciti ad invitare, molte scoperte ma anche tanti ritorni e artisti con i quali cerchiamo di stabilire un rapporto pluriennale. Per quello che mi riguarda, viaggiare, frequentare festival e stagioni internazionali è lo strumento principale di questo procedere, che permette incontri con artisti e spettacoli, ma anche di occasioni di osservare altre dinamiche di dialogo tra programmazione e spettatori, tra festival e cittadini. Ma non solo all’estero, anche in Italia abbiamo alcuni festival che si rivelano di grande ispirazione per il loro sguardo attento e aperto sulla creazione contemporanea e per le dinamiche di programmazione. Per citarne alcuni: il Kunstenfestivaldesarts di Bruxelles, il D-CAF al Cairo, Programme Commun a Losanna, Under the Radar a New York. E per l’Italia il festival di Santarcangelo, Drodesera, Terni Festival e i nostri colleghi di Finestate.
Oltre agli spettacoli, ciò che è interessante osservare è il network internazionale dentro il quale Short Theatre si sta inserendo. Come muta la natura di una rassegna nel momento in cui è inscritta in una rete, cosa cambia in meglio? Ci sono dei “sacrifici”, magari in termini di autonomia di direzione artistica, che tale partecipazione comporta?
L’obiettivo è quello di trovare i mezzi e gli strumenti per alzare l’asticella, cercando di mantenere viva l’identità del festival, in qualche modo provare ad assomigliarsi sempre di più. E questo processo passa anche dalla contaminazione con altri festival e strutture europee. I network nei quali Short Theatre è inserito permettono il mantenimento della nostra identità e contestualmente ci permettono azioni che altrimenti non sarebbero possibili, in termini di mezzi finanziari e stabilità progettuale.
Sei sempre tu che ti occupi delle relazioni all’interno del network? È stato Short Theatre a chiedere di entrare in questo network o è stato chiamato? È interessante capire come nascono le reti, anche se immagino che spesso si tratti sempre di una convergenza delle parti.
Sì sono io che ne ho la responsabilità per quello che riguarda la costruzione dei network e il lavoro di impostazione e sempre in confronto con Fabrizio Arcuri, il direttore artistico.
Qual è il tuo spettacolo preferito tra quelli selezionati quest anno e quale consiglieresti?
Tra gli spettacoli internazionali è molto difficile dire qual è il mio preferito, diciamo che ce n’è un’importante costellazione! Qualche consiglio però lo do: By Heart di Tiago Rodrigues (artista per la prima volta in Italia), Five Easy Pieces di Milo Rau (in prima nazionale) e La posibilidad que desaparece frente al paisaje di El Conde de Torrefiel (compagnia presente per la seconda volta a Short Theatre). E poi i giovani coreografi Marco Da Silva Ferreira (artista portoghese per la prima volta in Italia), Michele Rizzo (un artista italiano residente a Amsterdam e già ospite di Short Theatre nel 2010), Radouan Mriziga (coreografo marocchino di base a Bruxelles del quale abbiamo presentato il lavoro precedente nell’edizione 2015 del festival).
Nei prossimi mesi andrete all’estero come Short Theatre a proporre delle produzioni?
Le nostre produzioni di quest’anno sono Phantasmagorica dell’artista visiva MP5 e Teho Teardo, Polices! della compagnia Muta Imago. Entrambe sono state realizzate grazie al contributo di due dei progetti europei dei quali facciamo parte. Per quello che riguarda Phantasmagorica, già sappiamo che sarà ospitata al Théatre National di Bruxelles e al Trafo a Budapest, nella prossima primavera. Ora lavoreremo anche per promuovere il lavoro di Muta Imago.
Visto che abbiamo toccato l’argomento, ti chiedo il perché di questo ingresso massiccio della musica all’interno di Short Theatre 2016, non tanto per le selezioni di fine serata che ci sono sempre state, ma per i progetti che sono praticamente parte integrante del progetto performativo.
Quest’anno la musica ha una parte centrale all’interno della programmazione del festival. È un desiderio che avevamo da molto e finalmente siamo riusciti a concretizzarlo articolando la parte musicale in tre linee progettuali: il clubbing (attraverso le quattro serate del Dopofestival) i concerti, i progetti musicali. Credo che quest’edizione del festival, che ha per sottotitolo Keep The Village Alive e che sottende la volontà di andare oltre i confini conosciuti di questo villaggio, fosse proprio l’edizione giusta per questo ingresso massiccio della musica nella programmazione del festival.
Quali sono le compagnie in Italia e all’estero che giocano (o hanno giocato) molto sul connubio con la musica?
Tra i tanti, cito tre artisti che amo molto e che hanno lavorato su questo connubio: Markus Öhrn e in particolare il suo progetto Azdora, la fiamminga Miet Warlop con Fruits of Labor e per quello che riguarda l’Italia direi Accademia degli Artefatti, la compagnia fondata da Fabrizio Arcuri, che ha lavorato in molti dei suoi spettacoli integrando teatro e musica live.
Ti chiedo di presentare brevemente due dei progetti che mi hanno più colpito leggendo il programma:Phantasmagoria di MP5 e Teho Teardo.
Come dicevo prima, questa è una delle produzioni del festival, quindi un progetto al quale teniamo particolarmente e che siamo riusciti a produrre inserendolo nel progetto europeo SOURCE. La performance audio/video parte da uno studio sulla “fantasmagoria”, una forma di intrattenimento teatrale che nel Diciottesimo e Diciannovesimo Secolo cercava di provocare stupore attraverso fenomeni illusionistici. È uno spettacolo in cui la combinazione di musica, immagini e buio profondo mette in scena una dimensione fantastica e inquietante. L’8 settembre sarà la prima assoluta.
HM/House Music
HM/House Music è un progetto ideato da Strasse, un gruppo di base a Milano che lavora sulla creazione di site-specific in contesti urbani. Si tratta di un dj set, che in realtà è un’indagine musicale all’interno di spazi abitativi della città. Strasse ha chiesto agli abitanti di un condominio di scegliere una canzone e il 7 settembre le canzoni raccolte andranno a comporre il dj set in uno spazio di uso comune del condominio. House Music vuol dire far suonare una casa, vuol dire scendere nel cortile, montare un impianto e ascoltare insieme come suona il luogo in cui si vive.
HM/House Music e God Is a Dj, il progetto che vedrà protagonisti i brani selezionati tramite i sottobicchieri, mi sembrano le performance pienamente in linea con i concetti di villaggio e rete che quest’anno sono alla base del festival, è così? Mentre a un livello macro è proprio il coinvolgimento del mondo musicale a essere esemplificativo dell’idea di rete.
Sì, sono d’accordo. Sicuramente entrambi i progetti traducono con efficacia e immediatezza tante delle questioni che sottendono all’idea di villaggio e delle dinamiche che vorremmo fossero sempre più messe a disposizione di questo villaggio, per renderlo sempre più rivolto verso il fuori, sempre più connesso con altri villaggi. In questo caso i due progetti che citi utilizzano la musica per raccontare un pezzo di questa città o per coinvolgere i frequentatori del festival in una sorta di juke-box partecipato, e sono entrambi progetti proposti da artisti che provengono dall’arte performativa. Questo racconta molto anche di come questi mondi siano strettamente connessi, in modo assolutamente fluido e naturale. Nei due casi la musica come risultato finale, ma soprattutto come strumento di dialogo con il “villaggio” e i suoi abitanti.
Come avete convinto gli ospitanti del progetto HM/House Music a darvi in concessione i loro spazi e la propria memoria musicale? Come hanno reagito al progetto?
Sono state le artiste di Strasse a selezionare il condominio e a fare tutto il lavoro di mediazione necessario ad accedere alla loro memoria musicale. Noi abbiamo ovviamente coordinato e seguito le diverse fasi, ma è stato l’incontro tra le artiste e gli abitanti la chiave di accesso. La reazione è stata di apertura e grande generosità.
Visto che la location è segreta, possiamo almeno dire in che quartiere si trova?
Porta Maggiore
Personalmente quale di questi spettacoli aspetti di vedere dal vivo?
In generale direi quei progetti che prenderanno forma proprio a Short Theatre, perché debutti o perché site-specific. Alcuni di questi li abbiamo già citati, sono molto curiosa di vedere il risultato del lavoro di MP5 e Teho Teardo, così come HM/House Music o i livelli di interazione che il pubblico avrà con il dispositivo musicale partecipativo God Is a Dj di Ossiuri: una consolle dj aperta a tutti, grazie alla quale chiunque può passare un disco durante la serata, e vedere l’effetto che fa. Altra grande curiosità è per Bad Piece, un progetto del gruppo musicale Wow che prende le mosse dal “bed-in” di Yoko Ono e John Lennon, mettendo un letto nell’area comune del festival. Da questo letto partirà la radio di Short Theatre, ma anche piccoli concerti, interviste, approfondimenti. Certo difficile non consigliare i live di Mokadelic, Andrea Pesce e La Batteria, o il meraviglioso spazio sonoro costruito con tanta sofisticata semplicità da Tropicantesimo.
Dobbiamo abituarci a questa binomio, ovvero verrà riproposto anche nelle prossime edizioni?
Beh, credo di sì, quello di quest’anno è il risultato di intuizioni e desideri che hanno attraversato molte delle edizioni precedenti e di certo non abbiamo intenzione di retrocedere!