Heterotopia I, questo è il titolo che il grande artista americano Peter Halley, uno dei massimi esponenti del neo-concettale degli anni ’80, ha dato al grande intervento site-specific che si sta tenendo negli spazi dell’ex Magazzino del Sale, curato da Gea Politi e organizzata dall’Accademia di Belle Arti di Venezia e la rivista Flash Art.
La mostra è il risultato della summa di più media come murales, stampe digitali, palette di luci artificiali e oggetti tridimensionali. Occupa il lunghissimo corridoio di ben 80 metri, all’interno del quale l’artista ha costruito la sua personale eterotopia in senso foucaultiano, quel luogo altro e lontano dal quotidiano che incarna però l’inquietudine della contemporaneità, luoghi / non luoghi in continua trasformazione, una realtà diversa, immersiva ed esperienziale.
Ed è proprio l’inquietudine il vero trait-d’union con la tematica generale di questa 58ma Biennale di Venezia, intitolata May You Live In Interesting Times.
Abbiamo incontrato Gea Politi che ci ha guidato attraverso l’esposizione e le scelte che hanno portato alla sua realizzazione.
Come è nato il progetto per questa mostra?
Siamo partiti dalla collaborazione con l’Accademia di Belle Arti di Venezia che ci ha generosamente affidato la curatela dello spazio dei Magazzini del Sale. Non appena visitati gli interni abbiamo pensato che la costruzione di un ambiente contemporaneo in relazione a quelle mura che risalgono al ‘400 sarebbe stato il punto di partenza per una riflessione per noi adeguata allo sviluppo del progetto.
Peter aveva inoltre appena inaugurato il suo primo progetto ambientale a NY alla Lever House. Le dimensioni non avevano nulla a che vedere con Heterotropia I e proprio per questo avrei voluto che il nuovo progetto fosse realizzato su larga scala.
Questa mostra vuole racchiudere gli ultimi sviluppi della ricerca di Peter Halley in tema di NeoGeo... ce ne potresti parlare?
Il NeoGeo è stato ormai ricontestualizzato e rinominato Neo Concettualismo Geometrico. Tutta quella generazione aveva usato il termine NeoGeo quasi come abbreviazione.
In realtà questa mostra è un progetto architettonico che non racchiude propriamente solo la ricerca di Peter. Si tratta di un percorso quasi pagano della vita attraverso otto ‘passaggi’ fisici e mentali: morte, rinascita, caos, prigionia, risalita, limbo, transizione tra la vita e la morte ed infine navigazione. E’ il primo progetto di Halley che racchiude tutte queste caratteristiche.
Alla realizzazione della mostra hanno partecipato anche Lauren Clay e Andrew Kuo e RM Fischer. Come è nata la loro collaborazione con Peter Halley?
Lauren Clay, Andrea Kuo e RM Fischer sono artisti che Peter stima molto e con cui collabora o ha collaborato nel passato. Andrew è uno degli artisti che Peter stima di più per il suo approccio concettuale, ‘optical’ del ‘modernismo’: si tratta di lavori apparentemente grafici che lui crea attraverso lo studio, molto ironico, di alcuni postulati quali “lo studio del mio sonno dalle undici di sera alle nove di mattina”, oppure “come riordino la mia casa”, o ancora “i possibili motivi della mia ultima separazione”.
RM Fischer è un artista di cui Peter curò la prima mostra trentasei anni fa, mentre Lauren Clay ha appena collaborato con lui in Corea, lei ha progettato lo spazio e Peter ha utilizzato lo sfondo di Lauren per inserire i suoi lavori.
Il titolo Heterotopia I cita direttamente Michel Foucault. In che modo il pensiero del grande filosofo francese si aggancia alla ricerca più recente dell'artista? Qual è stata la ratio nella scelta di questo titolo?
L’eterotopia è lo spazio altro, come specifica Foucault. Le stanze di Halley non appartengono a nessuno, anzi sono ambienti molto estranianti e, come suggerisce il filosofo francese, si tratta di spazi adibiti agli umani ma in cui non necessariamente si può vivere (come cimiteri, chiese, prigioni).
A Venezia Peter Halley ha realizzato le sue “eterotopie”.
Quanto e in che modo la presenza semantica dei testi della scrittrice Elena Sorokina contribuisce alla costruzione dello spazio eterotopico?
Heterotopia I si sviluppa grazie alla collaborazione di vari soggetti, tra cui anche i testi immaginifici di Elena Sorokina in cui un narratore, terzo anche rispetto all’autrice stessa, scrive e pensa nella logica di un videogame. Le stanze vengono così descritte in terza persona mentre sono ancora in preparazione, quindi prima del loro completamento definitivo.
L’occhio del narratore è ossessionato dall’idea degli specchi che, come dice Foucault, sono sia utopie sia eterotopie, e, in questa installazione il tutto assume una forma di pazzia che si traduce in grattacapi e giochi di parole continui; ogni superficie diventa spaziale e fa entrare in un videogioco reale.
Le opere in mostra sono in dialogo con il contenitore che le ospita oppure vivono avulse dallo spazio attorno? Come avete gestito il dialogo tra le opere e lo spazio nel quale sono collocate?
La mostra è in totale conversazione con lo spazio preesistente, Peter ha progettato uno spazio nello spazio. Camminando attraverso le otto stanze si intravedono sempre le mura anche se l’ambiente costruito dall’artista è totalmente immersivo. L’ultima stanza poi non è rivestita dalle stampe di Peter Halley, si entra invece all’interno di una specie di abside nella quale ci si imbatte nella scultura di RM Fischer che serve da navigatore.
Come curatore, qual è stato l'approccio nei confronti di un artista consolidato che si caratterizza per uno sguardo e un orientamento così teorici?
Prima di concepire questo progetto abbiamo parlato a lungo di come, a livello teorico, Peter volesse fare un passo ulteriore nello sviluppo nel suo lavoro.
Flash Art ha aiutato a teorizzare, o meglio, a diffondere le idee di Peter Halley fin dagli ’70. Nel 1986 Helena Kontova organizzò una conversazione con Jeff Koons, Heim Steinbach, Peter Halley e Peter Nagy nella galleria di International Monument durante la quale il termine Nuovo Concettualismo Geometrico fu coniato.
"May You Live in Interesting Times" è il titolo della Biennale arte 2019, che si focalizza sui "tempi interessanti", che "non sono chiari"; alla luce del significato di eterotopia intesa come luogo definito ma "altro" rispetto agli spazi quotidiani, quali relazioni instaura lo spazio eterotopico concretizzato da Halley con il tema centrale della Biennale stessa?
Viviamo in uno stato di confusione e alienazione acute. Gli spazi di Peter raccolgono questi stati d’animo. Curiosamente molti visitatori hanno notato quanto questa mostra rispecchi il padiglione americano.
Sempre a proposito della dialettica che si attiva rispetto alla tematica centrale di questa biennale: l'intento della mostra è quindi quello di porre interrogativi al visitatore o invece offrire un punto di vista personale e risolutivo dell'artista sulla contemporaneità e le inquietudini verso il futuro?
E’ sempre difficile definire quali interrogativi il visitatore debba porsi e cosa succede quando non se li pone. Si tratta del fallimento dell’artista, del suo messaggio, o dello spettatore stesso? Peter Halley ha da sempre rispettato molto il ruolo dell’architetto nella società, soprattutto dal punto di vista dell’impatto ambientale e sensoriale. Gli spazi creano emozioni talvolta più degli esseri umani.
Con questo progetto, certamente comunicante con la tematica generale della biennale, Peter cerca di analizzare possibili stadi della vita umana: instabilità, smarrimento ma anche possibilità di riuscita futura.
L'allestimento della mostra è stato realizzato da FusinaLab; ormai è sempre più frequente la collaborazione tra artisti e imprese, che mettono a disposizione degli artisti il proprio bagaglio tecnico e i propri strumenti di produzione. Quanto pensi che influisca il supporto delle imprese sulla crescita e sul lavoro dell'artista oggi?
È fondamentale per il mondo dell’impresa confrontarsi con le istanze contemporanee, come per gli artisti indagare tecniche e materiali. Ogni nuovo progetto è un’esperienza profonda che obbliga a soddisfare esigenze customizzate. A questo bisogna aggiungere la complessità di lavorare a Venezia con la sua logistica e le condizioni ambientali quasi estreme. FusinaLab è un atelier produttivo capace di coordinare materiali e ingegnerie “heterototopiche“. Il risultato è frutto di molti mesi di sforzi e prove, nottate al lavoro e scambi tra USA e Italia. Peter Halley è uno straordinario artista che ovviamente pretende una precisione millimetrica nei suoi lavori.
Non dimentichiamo anche il supporto di MSGM, il brand fondato da Massimo Giorgetti, sempre disponibile ad indagare nuove frontiere concettuali; è uno straordinario hub comunicativo anche per l’arte per via delle sue relazioni globali, con cui avevamo già collaborato in occasione della loro sfilata donna di Febbraio.
Ci dobbiamo aspettare una Heterotopia II sempre in collaborazione con te e Flash Art o non sono previste future collaborazioni?
Questa è stata la mostra più estesa di Peter Halley. Heterotopia I darà probabilmente inizio a prossime eterotopie, di cui però non abbiamo ancora i dettagli.
Per Flash Art è la produzione più ambiziosa mai realizzata e darà avvio a una nuova fase progettuale per la rivista, ad oggi sempre più piattaforma attiva di produzione culturale.