Noto ai più social con lo pseudonimo di GcomeGiorgio, è approdato nel quartiere di Calvairate nel 2019 e da allora si è fatto sentire. Ironico cantastorie, frizzante intrattenitore ed eterno entusiasta, non ha ancora un programma televisivo ma cura un palinsesto social di tutto rispetto, facendo dello storytelling non solo una passione ma anche un lavoro digitale. Da piccolo sognava di fare il mago e dopo i trent’anni quella voglia di magia la riversa ancora nelle cose che fa.
«Questo è un quartiere estremamente vicino al centro, alla coolness ma al contempo ricco di posti sgarrupati “a portata di ciabatta”.»
Giulia Gioanina: Ci insegnano che non dovremmo mai dimenticarci del bimbo dentro di noi: ecco partiamo proprio dalle origini, che bambino sei stato?
Taglio di capelli a scodella, gambe da merlo e tratti molto poco marcati: in pratica un piccolo paggetto. Ho vissuto fino ai 19 anni in un piccolo paesino di novemila anime nella ridente provincia di Cremona tra campi di granturco, zanzare e nebbia. Figlio unico, cresciuto da una famiglia matriarcale, ho sempre cercato di divertirmi come potevo spesso inventando personaggi di fantasia (lì, forse è cominciata la follia). Ero un bambino tranquillo, a cui piaceva giocare sia a Batman che alle Barbie e questo ha, purtroppo, contribuito a creare negli anni successivi quello che oggi chiamiamo bullismo. Oggi se potessi parlare a quel Giorgio, gli direi, “vai sereno e fai ciò che ti piace, un domani sarà la tua forza”.
Parliamo ora del percorso professionale che hai fatto sino ad oggi?
Chi mi conosce sa che ho fatto mille lavori prima di consacrarmi al 2.0. Ho esordito nel lontano 2009 come animatore di villaggio, esperienza che consiglierei a tutti e che mi ha temprato e insegnato a stare in mezzo alla gente. Dopo gli studi in arte ed economia dei mercati sognavo di fare il battitore d’asta, ma nel 2012 dopo un master in comunicazione e management ci fu il boom dei social media e subito iniziai in un’agenzia di comunicazione. Dal 2013 mi occupo di comunicazione digitale, produzione contenuti e storytelling. Ho avuto l’opportunità di confrontarmi con tante realtà differenti che mi hanno permesso di diventare un professionista del digitale in maniera trasversale.
Sono tra i pionieri dello sviluppo di strategie social per le aziende e della digitalizzazione. Nell’ultimo anno ho contribuito al passaggio dal fisico al digitale di tante realtà, in particolare nella moda. Credo che il modo ora, inevitabilmente, debba poter viaggiare su due binari, non per forza sempre paralleli, tra il fisico e il digitale. Ora mi occupo di lusso e design ma ho trascorso tanti anni dedito al fashion. La mia carriera lavorativa da lì si è evoluta come un algoritmo di Instagram.
Ti faccio una domanda un po’ scomoda: purtroppo i lavori legati alla comunicazione, e in generale alla creatività, risentono di un certo scetticismo (“si vabbè ma quindi di preciso che lavoro fai?”) ci spieghi, in modo chiaro e diretto, cosa fa un digital manager e perché non lo possono fare tutti?
Gli addetti ai lavori digitali pagano lo scotto di lavorare con strumenti e piattaforme che, in forma base, hanno a disposizione tutti, quindi tutti si sentono liberi di definirsi esperti. Il mio lavoro consiste nel tradurre un messaggio, un valore, un pensiero, in linguaggio digitale secondo una strategia coerente, mediante l’uso di immagini, testi e video e amplificati attraverso piattaforme web e social, conoscendone il funzionamento dal dentro. Il tema fondamentale che c’è molta improvvisazione, e poca conoscenza del “dietro le quinte” di un social media, si sottovaluta l’importanza delle parole, del tono e delle immagini, che devono essere coerenti.
Su Instagram (GcomeGiorgio) racconti la tua vita in modo scanzonato e irriverente, ti faccio due domande: la prima è da dove nasce questa voglia di condivisione, la seconda – “croccante” come piace a te – è se ti capita di chiederti mai il senso di tutto questo.
Penso che in qualche modo ognuno di noi quando esce la mattina condivide qualcosa di sé riversandosi nelle strade, con un determinato modo di apparire, con il tono con cui chiede un caffè al bar o nel modo in cui gesticola. I social network non fanno altro che amplificarlo. Ho una forte vena egocentrica e mi piace intrattenere. Il senso di tutto ciò, per quanto riguarda l’uso personale dei social a volte lo perdo. Su Instagram i famosi 15 minuti di popolarità, diventano 15 secondi ma spalmati per 24h 7/7.
Da quanto vivi a Calvairate? Vorrei chiederti, come se fosse l’arco temporale di una storia d’amore, cosa hai provato la prima volta che hai visto questo quartiere, cosa ti ha portato a sceglierlo e adesso quali sentimenti e prospettive nutri verso di lui.
Vivo a Calvairate dal 2019, la nostra storia d’amore è stato un incontro casuale, ci siamo guardati, ci siamo raccontati, e ci stiamo vivendo. Ogni giorno è una conferma. Credo sia un quartiere molto eterogeneo, in grande evoluzione. La cosa che amo è che è una realtà fatta di persone prima che di luoghi. A Calvairate c’è tanto da scoprire, e poi sono una persona che vive di contrasti. Questo è un quartiere estremamente vicino al centro, alla coolness ma al contempo ricco di posti sgarrupati “a portata di ciabatta” e questo rispecchia proprio il mio mood. Posso definirla una relazione aperta, c’è un grande sentimento di fondo, estremo rispetto e volontà di crescita insieme, ma non si offende se una sera mi vado a divertire anche oltre la circonvallazione.
Neanche il primo lockdown è riuscito a placare la tua necessità espressiva: quindi hai fondato, insieme ad altri ragazzi del quartiere di Calvairate, una web radio, Calvaradio. Qui, attraverso il mezzo del podcast, ci racconti gioie e dolori del bon vivre, mi spieghi come si fa? (Dal concepimento del contenuto al caricamento finale del podcast)
Calva.radio nasce a febbraio del 2020, a San Valentino, ed è una web radio che viene alimentata, al momento, da podcast, nella speranza di poter avere la possibilità di fare musica. Il palinsesto si compone di diverse rubriche: chi parla di libri, chi di hobby, chi di oroscopo, cibo o argomenti futili ma che intrattengono. La redazione è formata da volontari che mettono a disposizione la propria voce ai microfoni (al momento dal proprio pc perché non abbiamo ancora una sede, anzi se ne conoscete una in zona…). Il processo per la realizzazione di un podcast parte dalla stesura di un canovaccio per punti, poi si fa ricerca –questa è una parte importante perché sai che puoi arrivare a diverse persone – e si comincia a scrivere.
I più professionali hanno un microfono e cuffie pro, non è il mio caso, e con l’ausilio di alcune app web si registra, switchando dal linguaggio scritto a quello parlato. L’mp3 poi viene caricato sul sito e comunicato con i social. Ne siamo molto soddisfatti e stiamo lavorando al nuovo palinsesto dopo il rientro di tutti dalle vacanze.
Penso sia un modo molto divertente e gentile per entrare in contatto con chi ci sta intorno, per creare legami.
Allargando l’orizzonte all’intera città, come credi sia cambiata Milano dopo questi due anni difficili? Cosa ritrovi e cosa invece non riconosci più?
Più che Milano credo siano cambiate le persone che la animano, la vivono. La voglia di tornare alla dinamicità, alla velocità c’è ma con una maggiore consapevolezza del tempo. I luoghi della nostra città sono cambiati in termini di fruibilità, chi ha saputo plasmarsi alle nuove esigenze è riuscito a far fronte al cambiamento.
In ogni caso penso che molti abbiano fatto i conti con quella che mi piace chiamare “sindrome da Capodanno” ovvero quella spasmodica ed effimera necessità di dover fare a tutti i costi qualcosa, presenziare a tutti gli eventi possibili, occupare tutti gli spazi temporali a disposizione.
Vorrei che ci salutassimo così: fai una promessa indissolubile a te stesso fissando anche una data di scadenza ( ricordati di saperci dire come è andata- vedi tu poi se con una teleconferenza a reti unificate o con una story opaca da iphone che è appena caduto nel gin tonic)
La mia promessa è quella di mettere le mie conoscenze, il mio know-how e quella “croccantezza” di cui prima parlavamo, a disposizione della nostra città che negli anni ci ha dato tanto, ci ha cresciuti, viziati, alle volte redarguiti, ma che ci è stata vicina dall’alba al tramonto. Ce ne dobbiamo prendere cura. Il mio compito come quello di chi vive e lavora in una delle metropoli più belle del mondo è quella di essere complice della sua meraviglia e crescere insieme a LEI.