Conversazione con Gloria De Risi, Alessio Baldissera e Alberto Zenere, i tre fondatori di Fanta-MLN, la galleria milanese che, aperta nel 2015 come Project Space nel sottopassaggio tra Rovereto e Turro, imperversa in Europa tra le più radicali realtà sulla scena del contemporaneo. Fanta-MLN, che ha iniziato il suo percorso espositivo con quattro artisti italiani, in questi cinque anni è mutata in Galleria, focalizzandosi sul rapporto diretto con gli artisti della generazione degli anni ottanta e novanta, attraverso uno stretto dialogo e confronto, e aprendosi verso l’Europa e gli Stati Uniti grazie a un’attenta ricerca.
Partiamo da una delle ultime cose che ho letto. Che cos’è “Italics”. Una mostra?
Italics è una piattaforma nata in questi mesi e andata online la scorsa settimana. Si tratta di un progetto che mette insieme 63 gallerie di arte contemporanea, antica e moderna, attive sul territorio italiano, con un comitato che fra le altre include gallerie come Gagosian, Galleria Continua, Massimo De Carlo, kaufmann repetto, Franco Noero, la Galleria dello Scudo. È una sorta di percorso dell’Italia attraverso lo sguardo dei galleristi. Il format è sviluppato in modo che ogni galleria abbia una pagina con un suo profilo dove sono presenti uno statement, una breve intervista e una sezione con delle tips dove ogni galleria individua dei luoghi e delle realtà che vuole suggerire. Insomma, sono contenuti trasversali: non solo il programma di mostre, ma dettagli più personali come cosa ci piace fare, dove andare.
Siete tutti e tre italiani e anche la maggior parte degli artisti che rappresentate lo sono. Pensando anche agli artisti internazionali che avete poi coinvolto, Milano è importante come base da cui sviluppare la vostra ricerca? Come è cambiata poi l’identità da Fantaspazio a Fanta-MLN galleria?
L’idea di essere a Milano e quindi di avere un rapporto col territorio c’è stata fin da subito, per questo anche la volontà di partire con quattro artisti italiani – Alessandro Agudio, Margherita Raso, Roberto Fassone e Lorenza Longhi – è stata una sorta di dichiarazione di intenti. All’inizio non aveva senso importare artisti dall’estero. E poi era anche quando Fanta-MLN era ancora “Fanta Spazio”, ovvero un Project Space: qui il focus principale era quello di dare voce a una generazione di artisti inizialmente italiani, conosciuti e coinvolti per varie connessioni, che gravitavano sulla città. Questo ha restituito un imprinting forte al Project Space. É stato naturale portare questa ricerca in una galleria.
Poi ovviamente esiste una volontà di non rimanere incasellati, fermi, in quel tipo di ricerca, legata prettamente a un paese. Non ci siamo mai chiusi. L’Italia ha rappresentato un punto di partenza, non necessariamente un punto di arrivo. La galleria ha sempre bisogno di un dialogo esterno, infatti, ad esempio, basti pensare alla collaborazione con Noah Barker, di cui abbiamo chiuso da poco il secondo progetto in galleria, o, un altro esempio importante, all’ultima mostra che abbiamo inaugurato, in cui abbiamo chiesto ad altre gallerie della nostra generazione provenienti da Parigi, Vienna e Atene di dialogare nel nostro spazio. Le collettive sono sempre state dei momenti di ricerca importanti per formalizzare le nostre ricerche individuali e coinvolgere artisti stranieri con cui magari iniziare un dialogo più lungo nel tempo. La prossima mostra sarà invece una personale di Alessandro Agudio, che sarà anche uno degli artisti presenti alla prossima Quadriennale di Roma.
Questa è la terza personale di Agudio?
Si, c’era già la volontà di fare un progetto insieme prima di chiudere il 2020. Dunque apriremo la sua personale da FANTA dopo che avrà inaugurato la Quadriennale a Roma.
Alla Quadriennale è stata invitata un’altra vostra artista, Lorenza Longhi. Siete contenti?
Certamente! Entrambi gli artisti presenteranno opere nuove in dialogo con gli spazi monumentali del Palazzo delle Esposizioni.
Tutti e tre avete un background legato al lavoro di galleria e sicuramente a un costante studio degli artisti della vostra generazione. Ci raccontate qualcosa del vostro percorso pregresso a Fanta-MLN? E perché avete deciso di aprire una galleria?
Di sicuro ci sono state anche delle coincidenze dovute a legami che esistevano già e che hanno facilitato alcuni rapporti. Ma poi, in parallelo, c’è una ricerca quotidiana da parte nostra che si sviluppa sia attraverso i canali tradizionali, sia nell’azione del muoversi, viaggiare, per avere possibilità di incontrare artisti all’estero. Esistono un forte scambio e una bella condivisone con gli artisti con cui lavoriamo, che sono spesso i primi con cui ci confrontiamo sulle scelte del programma.
Ci siamo formati professionalmente tutti qui dunque è stata una scelta spontanea quella di aprire a Milano. Quando abbiamo aperto il project space infatti lavoravamo tutti in gallerie milanesi.
Mi dite dove e per quanto tempo avete lavorato nelle gallerie da dove provenite professionalmente?
Dobbiamo fare un conto. Dunque, FANTA apre nel 2018. Fanta Spazio nel 2015. Alberto: “Ho lavorato da Zero dal 2012 fino al 2017, ma ho incontrato Gloria prima, mentre ero lì in stage, nel 2011, anno in cui Gloria iniziò, per rimanere fino a marzo 2019, quando Fanta-MLN era già diventata galleria. Mentre Alessio nel 2012 ha lavorato presso Rodeo a Istanbul, dove ci siamo conosciuti, per poi fare uno stage di sei mesi da Zero…, e qui ha incontrato Gloria, poi andò da Fondazione Trussardi, dove seguì progetti come quello di Allora & Calzadilla. Dopo questa esperienza Alessio ha poi lavorato per quattro anni da Massimo De Carlo. Al di là della nostra storia milanese, questa città rappresenta una giusta via di mezzo: è un buon centro che, negli ultimi anni, sta attirando attenzione. Magari non è paragonabile a New York o Londra sotto alcuni aspetti, ma questo ti permette anche di invitare artisti da grandi città per realizzare un primo progetto in Italia. E Milano è molto internazionale grazie a realtà come Prada, Hangar, ICA e alcune gallerie private e negli ultimi anni si sta un po’ delineando come centro per il contemporaneo in Italia, cosa che fino a qualche anno fa non era tangibile, perché ogni città ha sempre avuto una forte personalità.
Anche la nostra volontà di aprire un dialogo con l’estero è dovuta al fatto di essere a Milano. Per noi, ad esempio, è stato importante aprirci alle fiere internazionali. Questa è stata una necessità che abbiamo sentito quando siamo diventati galleria.
Quali fiere avete fatto?
La nostra prima fiera è stata Art-O-Rama a Marsiglia nel 2019, poi lo stesso anno abbiamo partecipato a CONDO Atene ospitati da Hot Wheels Athens, una delle gallerie che abbiamo recentemente ospitato nel progetto appena chiuso, e successivamente ad Artissima. Quest’anno avremmo partecipato a Miart, Liste, Paris Internationale e Art-O-Rama di nuovo, ma date le circostanze, sono diventate tutte online. A parte Paris Internationale, che, in parallelo all’edizione online, ha appena inaugurato una mostra collettiva con tutte le gallerie partecipanti, curata da Claire Le Restif.
Chi avete portato a Parigi?
Noah Barker. Il dialogo con lui è iniziato due anni fa, con la partecipazione a una mostra collettiva, l’ultima realizzata come Project Space. Nel 2019 ha fatto una personale in galleria, a cui è seguito un nostro invito a curare una mostra. Nel corso dei mesi il suo progetto si è trasformato sempre di più in una costellazione di materiali di provenienza diversa che sono stati riconfigurati all’interno di una narrazione che riflette sui processi di decentralizzazione che hanno caratterizzato il XX secolo.
Un’altra bella peculiarità di Fanta-MLN (e Fanta Spazio) è che avete fatto scoprire, agli artisti e anche a noi fan e appassionati della galleria, luoghi di Milano un po’ diversi dove creavate dei momenti di festa, o delle cene speciali post inaugurazione. Penso alla Bocciofila di via Padova, alla Sala Giochi sempre li in zona, al ristorante peruviano di Porta Venezia, fino al circolo Arci a Rovereto o, ancora, al Mercato Comunale di viale Monza. Quanto è importante il territorio in cui siete, sia per gli artisti – soprattutto che non vengono da qui – sia per voi?
Soprattutto quando eravamo Project Space, volevamo evitare il classico momento cena dopo l’inaugurazione. Abbiamo preferito concentrarci su un momento di celebrazione da condividere sia con gli artisti, che con gli amici che seguivano il programma dello spazio, e poi della galleria. Da qui l’idea di organizzare delle feste, e la necessità di guardarci intorno in zona per individuare i luoghi più adatti. Le prime tre le abbiamo fatte al Mercato Comunale, poi la Bocciofila …, ci sono diverse possibilità in zona. Abbiamo spesso coinvolto amici in questi progetti, pensiamo ad esempio a Gioconda Radio, o Sobborghi. Una nostra cara amica, Cecilia Dossan, ci ha spesso aiutato nell’organizzazione di questi eventi. Sicuramente la zona della galleria e Porta Venezia sono quelle in cui passiamo la maggior parte del tempo, ma soprattutto con gli artisti che arrivano da fuori frequentiamo anche parti diverse della città.
Veniamo alla domanda canonica riguardo al contesto urbano in cui siete inseriti, quel sottopassaggio tra Rovereto e Pasteur, che ormai da qualche anno spopola sotto la dicitura Nolo. Questa è la domanda che spesso più vi viene fatta, ma è anche interessante perché, come galleria, siete stati i primi a radicarvi in questo contesto non da galleria milanese. Come avete trovato lo spazio?
In realtà era una zona che frequentavamo da sempre, grazie anche ad amici che avevano lo studio qui. La scelta è stata però determinata soprattutto dal colpo di fulmine che abbiamo avuto con lo spazio. C’è stato un innamoramento istantaneo per l’architettura di questo luogo e le sue peculiarità: il soffitto a volta, il fatto di essere direttamente su strada che porta a un rapporto col pubblico di passaggio a cui non puoi sfuggire.
Entra tanta gente?
Sicuramente le gallerie non godono di grandi flussi costanti di pubblico, ma siamo molto contenti di come i pubblici dell’arte seguano con attenzione il nostro programma. Avendo un ingresso direttamente su strada, entra anche chi è semplicemente curioso di capire che cosa facciamo. Dipende da chi passa, dalla sua sensibilità e anche dalla mostra che abbiamo in quel momento. Ci è capitato spesso che entrasse qualche non addetto ai lavori chiedendoci se stavamo ancora allestendo. A volte chi è passato per caso è anche tornato a trovarci.
Siete stati un po’ precursori, ora è diventata una zona molto in voga e comoda, no?
Non ci sentiamo dei precursori ma semplicemente per una serie di fortunati eventi ci siamo trovati al posto giusto nel momento giusto. Fino a qualche anno fa era percepita come una zona periferica poco frequentata da chi non ci abitava, ma le cose sono cambiate molto negli ultimi anni.
Come vi siete trasformati da Project Space a galleria?
Il Project Space è nato in modo molto naturale dal rapporto fra noi tre. Stavamo molto insieme, anche con amici artisti di cui ci piaceva molto il lavoro, ma che nelle gallerie in cui lavoravamo non potevamo portare a realizzare delle mostre. Dunque, in maniera spontanea, è nata l’idea di creare un luogo dove realizzare questi progetti. E il Project Space rappresentava la soluzione più semplice per partire. Era tutto gestito in modo autonomo da noi, i budget per le mostre provenivano semplicemente dai lavori che facevamo.
Voi siete stati indipendenti dall’inizio, senza chiedere fondi e aiuti a nessuno?
Un po’ era importante per noi avere quel tipo di indipendenza e un po’ il fatto che per fare richieste per applicare ai bandi, era necessario essere attivi almeno da due anni, e noi dopo quel periodo avevamo già le idee chiare sul voler diventare una galleria. Anche questo è stato un pensiero molto naturale. Con gli artisti il dialogo è sempre andato oltre la mostra e dunque il passo successivo è stato spontaneo.
L’esigenza iniziale era proprio quella di continuare a dialogare con gli artisti. Intraprendere insieme un percorso più lungo andando oltre una prima mostra.
Una volta fatto il salto si inizia a ragionare su diversi contesti in cui presentare il proprio programma, e da qui anche la necessità di aprirsi alle fiere. Abbiamo presentato Alessandro Agudio a Marsiglia, come avremmo fatto con Roberto Fassone quest’anno, ma purtroppo non c’è stata la fiera. Con Lorenza avremmo fatto Liste fisicamente, ma abbiamo intanto sviluppato il progetto online. Presentarsi in un altro paese è importante anche per raggiungere un pubblico più ampio, cercando di individuare persone che condividano con noi un’affinità di ricerca.
Ultima domanda: la Svizzera. Avete da poco concluso l’avventura di Liste. Una realtà importante. Come è andata?
E’ stata un’esperienza molto positiva. Quando siamo stati presi a Febbraio eravamo molto felici. Poi purtroppo, un mese dopo sono iniziati i vari lockdown, e la conseguente necessità di ripensare al formato della fiera. Fino all’ultimo c’è stata la volontà di andare avanti e organizzare la manifestazione fisicamente a Settembre, cambiando la location per una questione di accessibilità. Purtroppo però le restrizioni annunciate da alcuni paesi ad Agosto hanno reso necessario cancellare l’edizione fisica e concentrarsi sull’online. Una attenzione positiva che abbiamo notato da subito è stata la cura nei confronti delle gallerie, dovuta probabilmente anche al fatto che la direttrice, Joanna Kamm, avesse avuto una sua galleria in passato. Ci siamo sentiti parte di una comunità, ci sono stati diversi momenti di confronto via email e su zoom, concentrandosi sulle singole esigenze delle gallerie. Siamo contenti del risultato sia dal punto di vista commerciale, sia per i contatti avuti. La piattaforma è stata sviluppata molto bene, dando la possibilità ad ogni galleria di personalizzare i contenuti e presentarsi in modo personale al pubblico. Ovviamente ci è mancato il dialogo personale con le persone davanti alle opere, che purtroppo mail e telefono non possono replicare, ma speriamo questo sia presto di nuovo possibile!