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Il DISCO dopo la DISCO: Fivequestionmarks & Produkkt

Un'intervista per parlare di un album nato dal clubbing (romano) in un mondo senza clubbing

Geschrieben von Nicola Gerundino il 16 Juni 2021
Aggiornato il 18 Juni 2021

Foto di Barbara Oizmud

Wohnort

Roma

Attività

Musicista

Il lockdown del 2020 è diventato sin dal primo giorno una delle grandi narrazioni collettive degli Anni Zero: tutti hanno sviluppato la propria storia, ora articolata sullo stordimento e lo sconforto, ora su una routine che ha semplicemente cambiato sfondo (dalle mura dell’ufficio alle mura di casa), ora su una tabula rasa rigenerante. A quest’ultimo filone appartiene il racconto di „DISCO DISCO“, album di esordio del duo romano Fivequestionmarks & Produkkt uscito da pochi giorni sull’etichetta olandese Electronic Emergencies. Da una parte Marta (aka Fivequestionmarks), selezionatrice e soprattutto infaticabile art director di Ex Dogana prima e Cieloterra poi, Fabio (aka Produkkt), producer che già aveva solleticato le orecchie di Vitalic e Vincent Gallo. Da una parte un mondo vissuto di notte, dall’altra un’improvvisa quotidianità diurna che fortunatamente si è tramutata in periodo di composizione fecondo e intenso. „DISCO DISCO“ è nato così, tra uno scambio di mail e l’altro, con un breve passaggio finale in studio e il tocco di Luciano Lamanna per mix e master. Un disco che per suoni e riferimenti potrà sembrare di un’altra epoca, ma che invece ci parla del presente più immediato: quello di un mondo senza club, imprigionato in un’attesa elettrica e spasmodica, proiettato verso quell’abbraccio di corpi al buio che nell’immaginario di tutti metterà definitivamente la parola fine a questa storiaccia fatta di pipistrelli e bollettini sanitari.

 

Iniziamo con una domanda molto generica, che ha a che fare con la musica ma solo collateralmente. Questo disco è nato nel 2020, l'anno della pandemia: il lockdown, il coprifuoco e le altre restrizioni come hanno cambiato le vostre vite?

Marta: Beh, il lockdown ha cambiato radicalmente e drasticamente la mia vita. Sono passata dal non essere mai a casa al passarci il 100% delle mie giornate, dal lavorare troppo a non lavorare affatto. Superato un momento di forte insicurezza, ho ripreso a concentrarmi su nuove idee e progetti che avevo in cantiere da un po‘. Ho approfittato del tanto tempo a disposizione per studiare e fare ricerca, ritrovare nuovi stimoli ed energie; in questo senso lavorare a „DISCO DISCO“ è stato terapeutico. A distanza di quasi due anni come tutti fremo per ripartire e ricominciare a vivere; mi rendo conto di soffrire il coprifuoco più del lockdown, questa sorta di libertà vigilata mi sta stretta e spero vivamente che le riaperture siano irreversibili. Arrivata a questo punto preferisco aspettare qualche mese sapendo poi di ripartire con delle regole e protocolli chiari piuttosto che continuare questa catena di stop and go che non permette di programmare nulla sul breve e lungo periodo.

Fabio: Io mi ritengo fortunato perché i progetti professionali che porto avanti parallelamente alla musica mi hanno permesso di non soffrire troppo a livello economico e ho investito gran parte del mio tempo a comporre musica, paradossalmente è stato un momento molto produttivo.

"DISCO DISCO" è un album nato e fatto a distanza. Ci potete raccontare la sua storia?

M: L’idea di „DISCO DISCO“ è nata in corsa. Incredibilmente io e Fabio ci eravamo sfiorati in diverse occasioni in questi anni tra Ex Dogana e altri spazi, ma non eravamo né amici né tantomeno conoscenti. Finché una sera del gennaio 2020 (in tempi non sospetti) lui si esibì live a Cieloterra con Momo e io, che in quel momento stavo lavorando a una serie di loop sulla falsa riga dell’electroclash, gli dissi che avremmo potuto scambiarci qualche idea e vedere cosa ne usciva fuori. E così è stato. Durante il lockdown abbiamo cominciato questa corrispondenza musicale e dal primo loop che mi ha mandato è nato il brano „DISCO DISCO“. Ci siamo trovati così bene che il resto è venuto naturale: eravamo chiusi in casa con il cervello che ci friggeva, ciascuno di noi aveva tanto da dire e tantissimo tempo a disposizione per produrre, tant’è che siamo arrivati a dieci brani in soli tre mesi! Abbiamo continuato a inviarci progetti e a lavorare a distanza, poi in fase tre, con un po’di libertà di movimento ritrovata e l’estate alle porte, ci siamo incontrati e chiusi qualche giorno vicino Roma per produrre finalmente insieme – così sono nate „Cicalas“, „La Scorta“ e „Bolgia“ – e finalizzare il resto dei lavori.

Che programmi e macchinari avete utilizzato per produrlo?

Abbiamo utilizzato Ableton, campioni di suoni registrati, drum machine (505, 808, 707), sintetizzatori Model D Behringer, Roland SH-01, D-05, JU-06, pedali Metal Zone e Cathedral e per la voce anche un pedale Zoom 606. Stiamo integrando anche un basso elettrico per le nuove produzioni.

Sull'edit finale ha dato il suo tocco anche un maestro della produzione, Luciano Lamanna. Qual è stato il suo contributo al disco?

M: Volevamo che il sound di „DISCO DISCO“ fosse ruvido e incisivo. Per questo ci siamo rivolti al „master of brutality“ Luciano Lamanna, che è riuscito perfettamente nell’intento. Ogni traccia in fase di missaggio e mastering è stata da lui liberamente lavorata con diversi tipi di processori e compressori analogici che hanno contribuito a dare diverse sfumature al disco pur mantenendo un sound omogeneo.

F: Siamo stati subito d’accordo nel chiedere a Luciano il mix e master, sapevamo che avrebbe tirato fuori il meglio dai nostri suoni. Sicuramente fa la differenza aver mixato e masterizzato in analogico, ma anche il fatto che Luciano non ha snaturato il nostro lavoro, anzi, ha esaltato e sottolineato le caratteristiche del nostro sound.

Disco Disco è uscito per un'etichetta olandese, la Electronic Emergencies. Come e quando siete entranti in contatto con loro?

F: Electronic mi conosceva per il mio remix di „Poison Lips“ di Vitalic, che è stato nei titoli di coda del film “La leggenda di Kaspar Hauser”. Non avevo mai avuto contatti con loro, ma mi erano stati consigliati da Captain Mustache. Così abbiamo inviato il demo e sono stati subito entusiasti del prodotto – contando anche che conoscevano Lamanna per il suo progetto Der Noir. È nata cosi una collaborazione che si è trasformata anche in una bella amicizia. Electronic è una delle poche etichette che ancora rischia sul mercato producendo, sì in digitale, ma mai senza la copia in vinile, in più sono queer e fra le loro uscite vantano nomi come The Hacker e Crash Course in Science. Che altro dire!?

Electroclash, punk, EBM, acid disco: le ispirazioni sonore sono tante e anche diverse tra loro, tuttavia si tratta di generi che da un po' di tempo erano scomparsi dalle scene. Cosa vi ha portato a ripercorrere questi sentieri musicali e come avete deciso di fonderli assieme dandogli una vostra impronta?

M: Anche qui, tutto è venuto in maniera assolutamente libera e naturale. Non abbiamo ragionato su cosa fare e come farlo, non siamo partiti da discorsi del tipo „facciamo un disco electroclash e bla bla bla“. Semplicemente ciascuno di noi ha messo il suo background e il suo gusto personale e in effetti il risultato finale è un mix di generi che rappresenta in modo chiaro e onesto i nostri percorsi musicali fino a oggi.

F: Sono generi che sicuramente non sono protagonisti del nostro tempo, ma sono sempre stati nelle nostre influenze e nei nostri dj set. Percorrere questi sentieri musicali è stato quindi naturale, ma soprattutto divertente: chi di noi non ha fra i suoni brani preferiti tracce di Miss Kittin, Fischerspooner o Adult? Personalmente poi ho iniziato con il french touch e la nu disco, quindi hanno sempre fatto parte del mio background.

I testi oscillano tra italiano e inglese, più che chiedere il perché della scelta, chiedo soprattutto a Marta come si trova a usare una volta l'uno e un'altra volta l'altro.

M: Mi piace giocare con la voce e la musicalità delle diverse lingue, per questo quando lavoro a un testo penso al messaggio e al modo più diretto ed efficace di trasformarlo in parole, indipendentemente dalla lingua utilizzata. Punk-dada-futurista, un po’ Palazzeschi un po’ Truceklan.

F: Ho apprezzato molto l’uso di più lingue da parte di Marta, abbiamo subito capito che questa sarebbe diventata una componente importante dell’identità del progetto. La voce nell’album è usata quasi come uno strumento, distorto: in questo modo abbiamo dato importanza al senso e al suono delle parole più che alla lingua alla quale appartengono.

Il disco è molto energico e immagino che il meglio lo dia in versione live. Avete già immaginato come sarà la vostra performance "on stage"? Ad esempio, sarete solo vuoi due o aggiungerete altri elementi?

M: Certo che l’abbiamo immaginata la nostra performance on stage! È già pronta e non vediamo l’ora di poterci esibire con un pubblico danzante! Al momento siamo noi due, ma nel futuro prossimo inseriremo sicuramente nuovi elementi come batteria e chitarra.

F: Il primo esperimento di live l’abbiamo avuto a novembre: siamo stati selezionati dal progetto „PUSH“ di SIAE e Italia Music Export, su un bel palco, quello del Linecheck Festival al fianco di Popolous, M¥SS KETA e Speranza, fra gli altri. Un live audio/video e tante macchinette analogiche da scapezzolare!

Ultima domanda, che ritorna un po' a quella di partenza e riprende una questione che sottotraccia c'è in tutto l'album ed emerge particolarmente nel club vuoto del video della title track. La pandemia ha stravolto il mondo del clubbing, lo ha azzerato e sarà così ancora per un po'. È difficile immaginare che tutto questo non avrà delle conseguenze. Come sarà per voi il clubbing dei prossimi anni?

M: Per prima cosa lo immagino in presenza! Lo streaming che più o meno ha tenuto compagnia alle persone in questo periodo non è assolutamente una soluzione percorribile; può essere un plus, ma non un’alternativa (e nemmeno un palliativo). Purtroppo credo spariranno molti piccoli club al chiuso a vantaggio dei grandi spazi che, almeno fino a oggi, hanno ospitato principalmente festival o big name. Il mio timore è che quindi ci sia sempre di più una caccia agli headliner a discapito degli artisti locali. Per quanto mi riguarda vorrei si approfittasse di questo stop prolungato proprio per cercare di creare nuove connessioni e obiettivi comuni alla base degli eventi. Credo che il futuro del clubbing non possa limitarsi al nome in line up, ma – soprattutto per quanto abbiamo subito – debba farsi portavoce di ideali e sentimenti comuni; vorrei abbandonare questa tendenza “alla chiusura” (in casa, dei confini, dei porti, della mente) che ci ha accompagnato per fin troppo tempo e spero che il club possa tornare a essere un luogo simbolo di libertà, condivisione e scambio. Auspico una maggiore indipendenza da parte dei promoter nello sperimentare e azzardare nuove proposte, dando lo spazio che meritano agli artisti locali, che sono la prima voce del pensiero e del sentimento culturale che rappresenta il nostro tempo. Dall’altra parte, spero di trovare dei clubber più ricettivi e curiosi, ma su questo sono molto fiduciosa.

F: Conseguenze ci saranno, ma penso anche che questa è una buona occasione per mettere un punto e cambiare le cose che non ci piacevano.

Come sarà invece il vostro clubbing? Cosa cercherete nei dancefloor nei prossimi mesi?

M: Cercherò un dancefloor colorato, scatenato e sorridente, e line up fresche che si muovono tra generi diversi. Come noi, tanti altri hanno approfittato del lockdown per lavorare a nuova musica che sono davvero curiosa di ascoltare finalmente dal vivo. Appena si potrà non vedo l’ora di tornare a ballare!

F: Personalmente sto facendo molta ricerca nell’underground fra piccoli artisti sconosciuti. Il mood è queer, bass, vocal. E sogno un dancefloor sorridente e sudato.