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MAGMA trasforma i luoghi simbolo della Romagna con la musica contemporanea

Dal Modulo Fest alla rassegna Elementi la ricerca interdisciplinare del collettivo

Geschrieben von Salvatore Papa il 23 April 2025

Elementi - Molo di Cervia (Stefano Pilia, 2020)

Unidici anni fa, in una Romagna ancora quasi totalmente ancorata alla nostaglia degli anni d’oro della musica da ballo, nasceva MAGMA, progetto di un gruppo di giovanissimi che riuscì a sfruttare la potenza evocativa di alcuni luoghi abbandonati e dimenticati per esaltare l’impatto di musiche considerate perlopiù sperimentali, sicuramente „diverse“ rispetto a quello che la Riviera continuava a proporre, e facilitarne l’avvicinamento. Questo era anche l’obiettivo del Modulo Fest, che ospitò – tra gli altri –  Roly Porter, Peder Mannerfelt, Croatian Amor, Palmistry, M.E.S.H, Biosphere, Samuel Kerridge, Aisha Devi, Seiji Morimoto, Seymour Wright, Caterina Barbieri, Furtherset, Nicola Ratti e altri in spazi in rovina come il Woodpecker, discoteca avveneristica progettata negli anni 60 dall’architetto faentino Filippo Monti, il Centro Climatico Marino, una delle colonie più antiche di Milano Marittima, o il Magazzino Darsena di Cervia, fantastico esempio di archeologia industriale un tempo utilizzato per lo stivaggio del sale prodotto nelle saline (quindi in parte ricoperto d’acqua), oggi trasformato in un centro „commerciale“ tristissimo che ospita addirittura una spa.

Nel 2020 la svolta: chiusa l’esperienza di Modulo Fest, nasce Elementi, rassegna che alza l’asticella della sperimentazione anche grazie alla collaborazione con l’associazione MU, guidata dai musicisti Enrico Malatesta, Glauco Salvo e Giovanni Lami. Elementi si snoda attraverso i mesi estivi portando la musica contemporanea nei paesaggi che caratterizzano il territorio della Bassa Romagna, unendo il suono alle caratteristiche naturali e simboliche del territorio. Così luoghi come la Salina di Cervia, il Bosco di Fusignano, il Bacino di laminazione di Bagnacavallo, la Pineta e il Molo di Cervia e molti altri hanno offerto fino ad oggi una dimensione performativa immersiva per performance e concerti unici.

La sesta edizione di Elementi si svilupperà tra il 2 maggio e il 27 luglio 2025 e ne abbiamo approfittato per ripercorrere le tappe di questo percorso insieme ad Alex Montanaro, direttore artistico insieme ad Enrico Malatesta.

 

Partiamo dalle origini di MAGMA…

Sono passati undici anni da quel momento, e da allora sono cambiate molte cose: il gruppo, la consapevolezza, le modalità con cui affrontiamo le esperienze. All’inizio eravamo un gruppo di amici e conoscenti con background diversi, accomunati dal bisogno di ritagliarci un piccolo spazio sul territorio per generare qualcosa che, a dire il vero, non sapevamo ancora bene cosa sarebbe diventato. Eravamo giovani, ingenui e coraggiosi.

Con il tempo, le esperienze vissute hanno tracciato una direzione più definita per MAGMA. Nei primi anni ci siamo mossi spesso in modo istintivo, senza conoscere regole né dinamiche istituzionali, e proprio per questo ci siamo trovati a realizzare progetti anche molto ambiziosi, senza nemmeno renderci conto della portata di ciò che stavamo facendo. Col tempo, ci siamo strutturati e abbiamo imparato a dirigere le energie, ponendoci obiettivi più consapevoli e riuscendo a comunicare con più chiarezza chi siamo e cosa facciamo. Ripensandoci oggi fa sorridere, ma anche riflettere su quanto l’incoscienza, a volte, sappia aprire strade inattese.

Oggi, come allora, continuiamo a lavorare in maniera filantropica, ma lo facciamo come associazione di promozione sociale. Nel tempo si sono aggiunte al gruppo persone speciali, che hanno capito che MAGMA non ha le ambizioni di diventare un prodotto con finalità commerciali, ma un progetto che vive nell’equilibrio tra intraprendenza e consapevolezza. Un equilibrio fragile, ma necessario. Forse è semplicemente il coraggio – o la necessità – di fare.

L'attenzione ai luoghi è sempre stata una tua caratteristica distintiva. Perché sono così importanti per voi?

Perché sono il punto da cui possiamo realmente entrare in connessione con il tessuto sociale. Per noi hanno un enorme valore anche in termini curatoriali: lavorare sui luoghi significa affrontare ogni volta una sfida diversa, trovare nuovi modi per abitarli, per hackerarli e restituirli attraverso nuove esperienze.

Proprio qualche giorno fa, parlando con alcune persone dell’associazione, mi sono trovato a esprimere un pensiero che sento forte in questo momento: continuare a cercare luoghi a prescindere dalla loro capienza, puntando sull’esperienza più che sul numero. Sarebbe bello poter proporre azioni anche in spazi piccoli, intimi, pensati per poche persone.

Sono in una fase in cui mi sento molto vicino a tante persone e artisti che prediligono il formato ridotto, ma autentico. Io stesso mi muovo per questo. Credo che Elementi stia rappresentando bene questa visione: se non ci fossimo lasciati guidare dalla curiosità, e se non avessimo avuto il coraggio di sperimentare, forse non avremmo mai avuto l’opportunità di attivare luoghi come il Woodpecker, il Magazzino Darsena o le colonie di Cervia, il bacino di laminazione di Bagnacavallo o l’aeroporto di Lugo.

Io vi ho conosciuti grazie al Modulo Fest e ricordo lo stupore di partecipare ai vostri eventi in quei luoghi incredibili e abbandonati per il resto dell'anno…

Sì, è stato un momento davvero fuori dagli schemi. A pensarci ora, c’era una bella dose di incoscienza, ma anche una grande libertà. Il primo evento al Woodpecker di Cervia è rimasto impresso a molti, anche perché non avevamo idea di cosa sarebbe successo. Ricordo che arrivò così tanta gente che il traffico si bloccò completamente, e io finii  – come aiuto – a dirigere le macchine nel parcheggio… poi arrivarono le istituzioni e io ero in condizioni tutt’altro che presentabili! Ma proprio quella spontaneità, quel disordine creativo, ha reso tutto irripetibile. In quegli anni, in quei luoghi al limite tra l’abbandono e la visione, abbiamo ospitato artisti incredibili: Biosphere, Caterina Barbieri, Roly Porter, e tantissimi altri. Pensarci ora fa un certo effetto — erano momenti in cui tutto sembrava possibile, e forse lo era davvero.

Dopo i vostri eventi, l'ex discoteca Woodpecker e il Magazzino Darsena di Cervia sono stati investiti da discutibili progetti di riqualificazione. A me fa un po' rabbia, devo essere sincero, perché non immaginavo che anche lì si potesse ripetere il solito schema della cultura che, suo malgrado, finisce per fare da apripista a interventi tutt’altro che culturali. Quali sono le vostre sensazioni rispetto a questo?

È un tema delicato, che porta con sé sentimenti contrastanti. Sicuramente c’è un po’ di dispiacere, non tanto per una questione di “proprietà” affettiva o progettuale, soprattutto perché non c’è mai stato un momento di confronto aperto sul futuro di quei luoghi, né con chi li aveva riattivati recentemente – in particolare noi – né con le realtà culturali più strutturate all’epoca sul territorio.

Si tratta di spazi straordinari, con una potenza simbolica e ambientale rara, che avrebbero meritato una progettazione ambiziosa, capace di coniugare inclusione, restituzione alla collettività e visione culturale. Penso in particolare al Magazzino del Sale, che rappresentava un’opportunità unica per sperimentare un modello virtuoso di rigenerazione a partire dalla cultura.

Credo (da cervese) che, con i giusti strumenti, si sarebbe potuto costruire qualcosa di più inclusivo e articolato, capace di ospitare iniziative diverse e di diventare un punto di riferimento anche per nuove generazioni di progettualità. Ci siamo trovati davanti a formule commerciali piuttosto standardizzate, spesso esclusive ed elitarie, che poco hanno a che fare con l’idea di spazio pubblico come luogo di produzione culturale condivisa. Ovviamente non ho tutti gli elementi per giudicare i progetti nel dettaglio, ma la sensazione è che manchi una visione a lungo termine, al di là della logica del profitto legato alla somministrazione.

Sarebbe stato più lungimirante pensare a una riqualificazione strutturale seguita da un bando pubblico basato sulla qualità delle proposte culturali, in grado di attrarre fondi, coinvolgere reti internazionali e far nascere centri di sperimentazione e pensiero. Le possibilità c’erano — e in parte ci sono ancora — ma serve il coraggio di immaginare modelli alternativi, dove la cultura non sia solo un pretesto decorativo, ma il vero motore di trasformazione.

La materia che trattate è per definizione cangiante e mutevole in base al contesto in cui si esprime. Ha ancora senso parlare di site specific?

Penso di sì. Parlare di site specific non significa per me collocare un’opera o un intervento in un luogo, ma attivare un dialogo profondo con il contesto — sia fisico che sociale — in cui ci si inserisce.

Il site specific, per me, non è una categoria rigida, ma una pratica viva, fluida, che si trasforma a seconda del contesto. Trova significato quando riesce a generare attenzione, ascolto, partecipazione. È un modo per prendersi cura dei luoghi, restituendo loro senso, voce e possibilità.

Lavorate in un territorio che è sempre stato aperto alle sperimentazioni. È anche vero però che, nell'immaginario collettivo, quasi tutto si concentra sulla storia della musica da ballo… Esiste qualche connessione con quel vecchio mondo dorato?

Non in modo consapevole o dichiarato, ma forse esiste una certa affinità nello spirito. Quella stagione musicale era attraversata da un forte desiderio di aggregazione, di creazione autonoma di spazi e comunità. Credo che anche noi, in un certo senso, abbiamo ereditato quella spinta: il bisogno di fare gruppo, di agire fuori dalle logiche consolidate e di cercare continuamente nuove modalità di espressione. A me personalmente interessa molto il nuovo, ma senza l’ossessione di dovermi legare a un’estetica dominante o a un sistema. Sperimentare, per me, significa restare mobili e aperti.

Dalla musica gli interessi si sono poi allargati anche alle arti visive…

Sì, nel tempo il progetto si è naturalmente aperto anche alle arti visive, grazie all’ingresso in MAGMA di persone che lavorano in quel campo, sia come artisti che come curatori. Penso, tra gli altri, a Enrico Minguzzi, Viola Emaldi, Gioele Melandri, Daniele Torcellini, Nicola Samorì, Carolina Martines e altri— tutte figure che, a modo loro, contribuiscono attivamente alla vita dell’associazione.

Anche io, spinto dalla curiosità, negli ultimi anni ho iniziato ad affacciarmi a questo linguaggio, e come gruppo abbiamo dato vita a progetti, dove suono e arti visive si intrecciano in modo spontaneo.

A maggio inaugureremo Endless Summer a Cervia, una grande occasione per dare spazio a molte persone che stimiamo nel mondo delle arti visive. È un progetto che nasce dalla forza del gruppo: senza questa dimensione collettiva, sarebbe stato difficile arrivare fin qui.

Anche Elementi si sta sviluppando nella stessa direzione, con grande coerenza e naturalezza, negli anni abbiamo sempre inserito degli interventi legati alle atleti visive.. La collaborazione con MU — Enrico Malatesta, Glauco Salvo e Giovanni Lami — ha portato una spinta importante in termini di pensiero, visione e energia. C’è un nucleo affiatato che lavora insieme con entusiasmo e generosità, e credo che questo sia il motore più autentico del progetto.

Veniamo a Elementi, che mi sembra l'evoluzione naturale di tutto quello raccontato fin qui…

Sì, Elementi nasce in un momento di cambiamento, sia per MAGMA che per MU. Durante la fase pandemica, io ed Enrico Malatesta sentivamo il bisogno di sperimentare formati performativi più intimi, all’interno di luoghi che in quel periodo potevano ancora essere vissuti e trasformati.

Da lì è partita una ricerca che ci ha portato ad attivare eventi in spazi naturali e simbolici, ponendo al centro il valore umano e la relazione diretta con gli artisti. Abbiamo cercato di proporre nuovi modi di ascolto, azioni brevi ma dense, focalizzate sul contenuto e sul contesto, spesso evitando volutamente la somministrazione per preservare l’essenzialità dell’esperienza.

Sin da subito si è formato un gruppo coeso e appassionato, che ha saputo riconoscere il valore del piccolo formato. Grazie anche al dialogo con diverse amministrazioni locali, siamo riusciti a portare avanti progetti che, personalmente, considero tra i più significativi degli ultimi anni.

Avete anche dovuto affrontare un'alluvione devastante. Come siete riusciti a tenere duro quell'anno?

È stato un periodo molto difficile soprattutto emotivamente, ma c’è stata una grande risposta collettiva. Fortunatamente, come associazione, siamo stati solo marginalmente coinvolti a livello diretto (danni materiali), e questo ci ha fatto sentire la responsabilità di non fermarci, di continuare.

Tante persone, tra volontari, amministratori e cittadini, hanno creduto nel progetto e ci hanno dato supporto concreto. In particolare nella bassa Romagna, dove i danni sono stati gravissimi, abbiamo incontrato realtà incredibili, fatte di persone capaci di reagire con lucidità, generosità e voglia di ripartire. Questo ci ha dato forza e motivazione per andare avanti.

Quest'anno cosa ci aspetta?

Ci aspettano tante belle situazioni. L’indole del progetto rimane quella di non legarsi a un genere o a un formato specifico, e questo ci permette ogni volta di sperimentare in modo libero. Sono molto contento del programma di quest’anno: è eterogeneo, stimolante, e porta in Romagna proposte artistiche che raramente hanno occasione di circuitare sul nostro territorio.

Anche i luoghi mantengono quell’effetto “wow” che per noi è fondamentale. La prima data sarà al MAR di Ravenna: utilizzeremo la terrazza e parte del parco pubblico per una performance ideata da Chikako Kaido, che dialogherà con lo spazio in modo inedito.

Il 10 maggio torneremo all’ex convento di Bagnacavallo, dove verrà presentato un nuovo spazio riqualificato. Elementi coinvolgerà altre due aree particolarmente interessanti dal punto di vista acustico e della fruizione: la scalinata monumentale, con il live di Ines Maheiro, e la bellissima Sala delle Capriate, che ospiterà Memotone. Sarà una serata trasversale, in cui sarà possibile visitare anche la mostra del fotografo Lorenzo Tugnoli e ascoltare le selezioni musicali di vari artisti nel chiostro del convento.

A Faenza torneremo a Villa Emaldi l’8 giugno, ma questa volta utilizzando aree differenti. Ci saranno due live, con Lamina e Sholto Dobie, e una selezione musicale a cura di Gaspare Caliri. Sarà un’occasione speciale per immergersi nella natura ascoltando musica in un contesto raccolto e suggestivo.

A Cervia si svolgeranno tre date, si parte domenica 29 giugno tra il circolo kayak e la pineta, con una giornata ricca di movimento e interventi. Ci sarà Canedicoda con una performance pensata anche per l’ascolto in kayak, seguita dai live di Romain de Ferron e Megabasse. In salina il 14 luglio torneranno i mucchi di sale, creando un’atmosfera quasi lunare al tramonto, durante il live di Vica Pacheco. A chiudere la rassegna il 27 luglio sarà kNN, con il progetto Pungilingua, all’alba sul molo nord di Cervia – un momento che si preannuncia molto intenso.

Elementi tornerà anche a Bagnara di Romagna il 18 luglio: nella suggestiva Rocca Sforzesca si esibirà Antonina Nowacka, e dal tardo pomeriggio sarà possibile visitare il Museo Mascagni, dove si terrà un intervento performativo di riattivazione del pianoforte storico.

Insomma, non mancheranno le caratteristiche che definiscono la rassegna: attenzione ai luoghi, cura nei formati, libertà nella proposta. E tengo a dire che ogni evento sarà gratuito e pensato per essere accessibile e fruibile da pubblici diversi, senza barriere.