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Marco Pucciotti

Alla viglia dell'apertura di due nuovi locali, Eufrosino e A Rota, abbiamo intervistato uno dei ristoratori più attivi di Roma.

Geschrieben von Nicola Gerundino il 14 November 2019
Aggiornato il 21 November 2019

Foto di Alberto Blasetti

Geburtsdatum

8 Juni 1983 (41 anni)

Geburtsort

Roma

Wohnort

Roma

Attività

Imprenditore

Se negli ultimi dieci anni vi siete ritrovati con qualche chilo in più sulla bilancia, oltre che alla vostra atavica pigrizia parte della colpa è ascrivibile a Marco Pucciotti, ristoratore vulcanico che in questo arco di tempo ha dato vita a oltre una dozzina di locali, tutti diversi nelle idee, ma tutti uguali nell’avere standard qualitativi elevati e nel far trapelare la passione per il cibo, sia di chi gestisce che di chi cucina. Oltre che delle sue attività, comprese le due nuove in rampa di lancio il prossimo dicembre, Eufrosino e A Rota, con Marco abbiamo anche parlato di come la ristorazione può interagire con l’entità città, considerato che tutti i locali di cui leggerete – e dove con tutta probabilità siete già stati – sono anche accomunati dall’essere nella stessa (macro) area di Roma, che si sviluppa tra le vie Appia e Tuscolana.

Marco Pucciotti e il team di Umami.

 

Inizierei questa intervista con una domanda scherzosa, ma neanche troppo, perché la tua storia racconta di una grande passione. Il tuo sogno da piccolo era fare il ristoratore?

Oddio, da piccolo no! Credo volessi fare lo speleologo. D’altra parte è vero che la mia passione è nata molto presto, intorno ai 13 anni.

Il tuo è stato un percorso spontaneo o in famiglia c'è stato chi ti ha introdotto a questo mondo, magari anche soltanto cucinando bene a casa?

Con mio padre dipendente statale e mia madre che lavorava in banca, di certo la ristorazione non è stata un lascito di famiglia. Le mie esperienze ai fornelli si limitavano agli intrugli al limite della sopravvivenza stile „Bear Grylls“ del classico studente universitario andato a vivere da solo. La passione, la curiosità e la mia formazione sono venute successivamente, man mano che studiavo e lavoravo in questo settore.

Hai lavorato in qualche ristorante o bar prima di aprire i tuoi?

Sono nella ristorazione da quando ho 16 anni: è stato il filo conduttore della mia vita. Prima l’alberghiero, poi gli stage, i catering, i ristoranti e alla fine la prima attività in proprio. Il cliente lo faccio solo da qualche anno.

Quindi avevi già ben in mente che questa sarebbe stata la tua strada.

Sì, devo ammettere che ho avuto le idee ben chiare da subito. La strada maestra poi l’ho tracciata pian piano, con la consapevolezza e l’esperienza.

Ci sono stati dei locali che hai seguito come esempio, magari pensando: “Ecco, se mai ne aprirò uno, sarà così”?

Decisamente no. Anzi, posso dire che ogni locale che ho aperto ha rappresentato la volontà di anticipare una moda o coprire un buco del mio quartiere o della città. O ancora, si è trattato di progetti costruiti in maniera sartoriale intorno ai miei soci.

Mi piacerebbe un tuo pensiero su alcune delle attività che finora ti hanno visto coinvolto. Iniziamo da Hop & Pork.

Casa. Il primo locale. La scommessa vinta. Un piccolo „vini e oli“ aperto nel 2007 che oggi ha una gestione tutta al femminile – cinque ragazze, capitanate dalla mia socia Fiorenza Morisi – e ha visto quadruplicare sia le sue dimensioni che l’offerta, spaziando dalle birre artigianali ai vini alla mescita, dallo street food servito in un piccolo corner alla vendita di distillati.

Barley Wine.

Un’incontro fortuito nato dalla passione condivisa verso l’“alcolismo“ e la birra artigianale con Mirco Gaffi e Francesco Capuana, miei soci e „padroni di casa“, maestri nel far sentire i clienti a casa propria. Qui l’offerta è specializzata su chicche brassicole nazionali e internazionali e una cucina „cicciona“ e divertente seguita da me. Non lo chiamate pub!

Epiro.

Il progetto più ambizioso e appagante, fatto di professionisti veri con cui ho condiviso percorsi lavorativi importanti e successi clamorosi. Oggi la sua evoluzione conta da una parte la sede originaria, traghettata verso una nuova veste leggera di bistrot mangereccio dal mejo oste di Roma – Matteo Baldi, ex chef del locale – e da una squadra giovane e „gajarda“ che mi sta dando grandi soddisfazioni; dall’altra una seconda sede, francese, aperta a Nizza lo scorso agosto, gestita da Alessandra Viscardi e Marco Mattana, che sta raccogliendo già grandi feedback e riconoscimenti.

Sbanco.

Eh, Sbanco… Di certo tra tutte le mie attività è quella più impegnativa e faticosa, per numero di clienti, ritmi, eventi, dipendenti e voglia di fare. Una pizzeria senza eguali aperta con Stefano Callegari – già ideatore di Tonda, Trapizzino etc. – e Giovanni Campari del Birrificio del Ducato, e gestita da me in prima persona. Una pizzeria che girasse attorno alla birra, con una forte connotazione romana – non nella pizza, ma nei condimenti e nei fritti – e che potesse ospitare tante persone in vari orari è stata a lungo un mio sogno, ora divenuto realtà. È il mio grande circo per golosi.

Santo Palato.

Trattoria moderna con a capo Sarah Cicolini, piccola vulcanica chef abruzzese. Non ha bisogno di presentazioni: se n’è già parlato molto!

Umami.

Un progetto ambizioso, nato dalla mia passione per il Giappone. Una piccola e curata yazaka (trattoria giapponese) che vede nella ricerca delle materie prime e dei prodotti di importazione giapponesi la sua anima, in Giuseppe Milana (lo chef) e Davide Frattali (il maître) la realizzazione della volontà di coniugare il cibo giapponese, i suoi sapori e le sue atmosfere con un respiro internazionale. O, se vogliamo, italiano.

Blind Pig.

La vita notturna ti porta a frequentare „postacci“ che ti nutrono anche alle tre e accompagnano il dopolavoro di noi addetti alla ristorazione. Spesso nascono così i cocktail bar della Capitale, ed è in uno di questi porti sicuri che ho conosciuto quei due fighi di Mattia Ria ed Egidio Fidanza, ora miei soci e barman di questo bel locale che nasconde il suo fare sbarazzino dietro un arredamento curato e rilassante.

The Italian Job

London’s calling. Altra scommessa vinta con Giovanni Campari e una cordata di soci tutta italiana in terra d’Albione: quattro punti vendita ai quattro angoli di Londra: Chiswick, Notting Hill, Elephant & Castle e a breve anche Hackney. Dei risto-pub con una forte connotazione italiana e con la solita passione per le craft beer. Al timone anche qui abbiamo una squadra tutta italiana, con a capo Simone Moroni in qualità di managing director.

Praticamente tutte queste aperture sono riconducibili a una macro zona che copre San Giovanni, Appio e Tuscolano: è la tua zona, quella dove sei nato e cresciuto?

Nato, cresciuto e pasciuto. Se oggi riesco ancora a dedicarmi alle nuove avventure e alla gestione di tutte queste attività è proprio grazie alla vicinanza di tutti i miei locali, alla conoscenza delle dinamiche di questo quartiere e alla bellezza della sua gente, che sono poi i miei clienti, ovvero la mia forza e il mio successo.

Quanto conta per te l'entità quartiere nella ristorazione, sia in termini di posizione (strategica), sia, soprattutto, in termini di legami?

Come ho appena detto, per me il „quartiere“ è TUTTO: stimoli, idee, risposte immediate, memoria, legami. Metto quartiere tra virgolette perché quando si parla dell’Appio-Tuscolano vuol dire confrontarsi con un territorio di 50 kmq e di oltre 400.000 abitanti. Una città nella città, grande quanto Firenze. Un territorio che va dalla periferia più vera ed estrema di Cinecittà alla centralissima Porta Metronia, un territorio tutto sviluppato tra le vie Appia e Tuscolana.

Sempre in tema di quartieri, tra pochissimo sbarcherai a Tor Pignattara con due nuovi progetti. Prima di parlarne, ti chiedo che rapporto hai con questa zona di Roma e cosa ti ha colpito.

Anche in questo caso, parlare di quartiere è un po‘ un falso storico. I nuovi locali è vero che nasceranno in Via di Tor Pignattara, ma siamo al perfetto crocevia di quattro quartieri, due per me storici (il Quadraro e il Tuscolano) e due d’adozione (il Pigneto e l’Alessandrino). Con questi quartieri condivido la bellezza della loro gente e della loro storia, l’incredibile voglia di riqualificazione e di raccontare la storia di una periferia che non è quella di cui siamo tristemente testimoni ultimamente.

Andiamo al sodo: parlaci di Eufrosino e A Rota.

Eufrosino sarà una trattoria di quelle vere e veraci. Via gli impiattamenti e le micro porzioni: qui si parla dei piatti che ti faceva mangiare nonna, in termini di goduria e quantità, oltre che di memoria evocativa e rispetto delle ricette regionali più antiche e rappresentative. Qui il mio socio è Paolo D’Ercole, cuoco di grande esperienza e gola, che odia farsi chiamare chef, affiancato da un professionista vero come Paolo Abballe, che vestirà i panni di oste e sommelier. A Rota, invece, sarà una pizzeria romanesca di quelle che non esistono più. Nasce dalla passione e dalle capacità del mio socio e pizzaiolo Sami El Sabawy, scuola Bonci, che ha fatto della tradizione il suo credo e del mattarello la sua arma. Forno a legna, pizza bassa, scrocchierella e condita fino al bordo, farine classiche e impasti a mano, senza dimenticare l’attenzione per la materia prima, la stagionalità e i piccoli produttori.

Mai pensato di oltrepassare il Tevere e andare a Nord o a Ovest?

Mai e mai lo farò! In questi anni ho rinunciato a tante proposte e a tanti progetti interessanti proprio perché „fuori zona“. Ci metto meno ad andare a Nizza o Londra con l’aereo che ad attraversare Roma nell’orario di punta

Ti faccio una domanda un po' più seria, visto che hai attività che vanno dal Raccordo alle mura romane: che differenza c'è tra il lavorare in centro e in periferia?

Risponderò in maniera spiazzante: nessuna. Siamo noi che viviamo di preconcetti beceri e vuoti che cercano di rappresentare Roma come un agglomerato di decine di quartieri o realtà diverse, quando è semplicemente la percezione che cambia e, come sappiamo, la percezione è soggettiva. Vi garantisco che i problemi di questa città sono comuni a tutte le parti del suo territorio.

La buona enogastronomia può fiorire in maniera copiosa anche in periferia o è destinata ad essere solamente una piacevole eccezione?

Può e deve. Ne sono testimonianza assoluta locali di successo come Mazzo a Centocelle o Remigio al Tuscolano, botteghe e laboratori eccezionali come il Pastificio Secondi a Torre Maura o Piccola Bottega Merenda all’Appio Claudio, rifugi felici come il Grandma al Quadraro o Angelo Pezzella a Capannelle.

Parlando sempre dalla città, che momento sta vivendo Roma per quanto riguarda l'enogastronomia e la ristorazione?

Mi avvalgo della facoltà di non rispondere. Soffro molto della piega che ha preso la nostra città negli ultimi due anni. Credo sia utile parlare di chi lavora bene, valorizzare il successo invece di invidiarlo, lavorare insieme per uscire da una situazione stagnante e poco appetibile imprenditorialmente parlando.

Secondo te come si evolveranno le cose in futuro? Roma riuscirà a mantenere una sua posizione di testa o vedi nuove realtà emergenti all'orizzonte?

Chi si ferma è perduto e questo vale anche per la nostra città. Anche se sono giovane, ho ben presente l’antagonismo e il ciclico balletto tra Roma e Milano, che negli anni si sono passate più volte a vicenda lo scettro dell’eccellenza, della rinascita e del riscatto. Roma resta vulcanica, sforna e continuerà a sfornare eccellenze e giovani prodigi, ne sono certo. Starà ai nostri clienti il compito di decidere se premiarci o condannarci, noi possiamo essere “solo” lo stimolo del rinascimento enogastronomico e culturale della città.

Come giudichi l'enorme numero di aperture che ci sono state negli ultimi anni e come si può sopravvivere in un ambiente dove c'è una concorrenza così forte?

Ripeto da anni la stessa cosa: si parla tanto di chi apre, ma mai di chi chiude. Anche qui, come dicevo prima, la percezione è falsata. In ogni caso, non bisogna aver paura della concorrenza perché deve essere uno stimolo, per me come per la città tutta. È da qui che deve partire la voglia di fare impresa: dimostrare che si può fare meglio e alzare il livello medio culinario e professionale.

C'è ancora posto per nuove esperienze e nuove frontiere enogastronomiche a Roma?

Sempre e assolutamente sì! Diversamente, sprofonderemmo nell’apatia e in un imbarbarimento gastronomico che questa città carica di tradizione e fame non merita.

All'estero l'enogastronomia funziona e tira così come in Italia? Non ti faccio domande sul modo di fare impresa e sulla burocrazia perché, purtroppo, immagino di sapere già la risposta...

Sicuramente il made in Italy, quello vero, reale e di qualità, è ancora un’eccellenza all’estero e i feedback sono tanti e tutti positivi. Quello che cambia, come hai intuito, è il modo di fare impresa, i margini di guadagno e la presenza dello Stato, non come socio di maggioranza, ma come dispensatore di servizi utile alla tua crescita e al miglioramento della qualità di vita della città.

Quando non segui le tue attività, dove ti piace andare a mangiare e bere a Roma?

Mamma mia, sono davvero troppi i posti che amo! Provo a fare un elenco veloce. Gourmet: Tordomatto, Zia e Pipero. Cucina ricercata, con format internazionali: Retrobottega e Barred. Trattorie: Avvolgibile, Trecca e Menabò. Pizza: Seu e Osteria di Birra del Borgo; al taglio: Bonci, Pizza Chef e Lievito, Pizza & Pane. Etnico: Mikachan, Dao e Sonia (Hang Zhou). Pub: Ma Che Siete Venuti A Fa‘, Luppolo Station, Artisan e So Good. Dolci: Charlotte, Manfredi e Otaleg. Cocktail: Jerry Thomas e Drink Kong. Vino: Barnaba e Le Bollicine di Sara.

Qual è la caratteristica che deve avere il tuo locale ideale?

Deve essere vero, non artificioso, tutto qui. Penso che l’elenco che ho appena stilato faccia capire bene quel che cerco in un locale.

Quando ti alzi da un tavolo cos'è che ti rende felice?

Aver fatto un’esperienza e averla fatta in maniera condivisa, con i colleghi ristoratori o con i miei commensali. Mi rende felice anche la pancia piena, ovviamente!

Hai già aperto il locale dei tuoi sogni?

Il locale dei sogni è sempre quello che aprirò domani!

Hai già qualche novità in serbo per il 2020 o ti prenderai una pausa.

Dopo 16 locali, una pausa sabbatica di un anno ci vuole. Ci rivediamo nel 2021!

Contenuto pubblicato su ZeroRoma - 2019-12-01