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Martina Simeti

Là dove c’era un sexy shop ora c’è l’arte contemporanea, che è sempre molto sexy

quartiere Porta-Venezia

Geschrieben von Francesco Tola il 24 Juni 2021
Aggiornato il 23 Juni 2021

Foto di Marta Blue

Sono le 17:30, bevo uno spritz Campari enorme seduto al Pepe Nero Cafè con ampia vista su via Benedetto Marcello che è una via, una piazza, uno snodo.  Mi alzo, pago, attraverso la strada / parco e suono al numero 44, per la precisione Martina Simeti. Era un sexy shop fino a pochi mesi fa, ora è una galleria d’arte che ospita una mostra di Davide Stucchi dal titolo Falli (Phalluses). Cominciamo bene allora.  

 

Davide Stucchi, Falli (Anacapri), 2013 Courtesy: the artist and Martina Simeti. Photo: Andrea Rosseti
Davide Stucchi,Falli (SEND (Couture) NUDES VII), 2020. Courtesy: the artist and Martina Simeti. Photo: Andrea Rossetti

So che ti sei trasferita da poco in Benedetto Marcello e hai subito messo le radici aprendo anche una galleria proprio sotto casa tua. A gennaio sono venuto a visitare la mostra Même pas peur dentro casa tua. Prima eri in via Tortona, prima ancora vivevi a Parigi. Come sei arrivata qui? Raccontami un po’ la tua storia.

Ciao Francesco, sì è da poco che sono qui ma ti racconto volentieri com’è andata. Lo spazio in via Tortona l’avevo preso quando ancora vivevo a Parigi, infatti era uno spazio progettuale, meno adatto a una galleria in senso stretto, l’avevo trovato lì e mi andava bene. Quando poi mi sono trasferita a Milano ci ho messo un po’ a trovare casa e ho subito preso di mira questo quartiere. Sono cresciuta in una famiglia inclusiva in cui il multietnico è un valore assoluto. Mi sono trasferita a Milano insieme al mio compagno che è di Gibuti e la prima volta che siamo passati in questa zona è stata per portare nostra figlia a lezione di piano dal nostro amico Malik in via Scarlatti, e subito ci siamo detti “ma noi è qui che dobbiamo abitare”, perché somiglia molto a dove abitavamo a Parigi, vicino alla stazione. Stavamo tra la gare du Nord e la gare de l’Est e vicino alle stazioni si crea sempre un certo tipo di situazioni, poi ovviamente cambia da una città all’altra, comunque c’è commistione, ci sono traffici, buoni e cattivi, leciti e illeciti… Quindi abbiamo cercato, ci abbiamo messo un po’ ma alla fine abbiamo trovato e, una volta qui (avrei anche potuto pensarci prima), mi sono resa conto che questo è anche un quartiere di gallerie ma ho tralasciato e ho rimandato. Un giorno, poco dopo il trasloco, sono scesa sotto casa e c’era un cartello Affittasi a due civici accanto, mi sono ricordata che prima c’era un sexy shop, e mi ci sono fiondata. È stato un colpo di fortuna! Sono molto contenta di stare in questa zona. C’è il mercato due volte a settimana di fronte alla galleria, c’è un buon vicinato: Invernizzi, Luca Castiglioni, Clima, Paola Clerico. È una zona attraversata da gente di cultura e dal punto di vista immobiliare non è del tutto inflazionata. E poi la comodità della Stazione vicino. Siamo circondati da amici, è gradevole, e questo spazio ci piace.

Visitare il tuo appartamento durante la mostra Même pas peur per scoprire le opere disseminate, tra cui quelle di Corrado Levi, Ducati Monroe + Fabio Quaranta o Davide Stucchi, come in una caccia al tesoro immersi nel tuo intimo domestico, mi ha affascinato molto. Com’è nata l’idea di ospitare la mostra in appartamento?

È una storia vecchia. Quando ci siamo conosciuti io e Davide è nata un’amicizia spontanea e ci divertiva molto l’idea del gioiello come oggetto ibrido. Io avevo già allestito Même pas peur una volta in via Tortona, però l’idea che non tutti hanno colto era quella dello spazio in transizione che stava diventando un project space ma ancora non lo era. Stessa cosa per l’appartamento, era l’inizio di un trasloco quindi nuove abitudini, nuovi modi di abitare… Per questo io e Davide ci siamo incontrati nell’idea condivisa di lavorare sull’oggetto (gioiello, lampada, ecc.) in modo che anch’esso perdesse le sue convenzioni come l’appartamento. Quindi Même pas peur è un progetto itinerante che è stato in via Tortona, poi qui, un giorno sarà altrove. Certo, non in galleria, ma riguardo a essa è come se fosse il suo manifesto. Dopodiché io e Davide abbiamo coinvolto altr* artist* ed è nata la mostra. 

Davide Stucchi “Falli (Phalluses)” at Martina Simeti, Milan, 2021. Courtesy: the artist and Martina Simeti. Photo: Andrea Rossetti

Questa operazione mi ha fatto pensare alla Womanhouse di Miriam Shapiro e Judy Chicago o alle mostre organizzate da Seth Siegelaub negli anni 60 nel suo appartamento a NY. Certo, sono approcci differenti. Come collochi il tuo gesto?

Qualcuno mi diceva “sei stata molto coraggiosa, molto generosa”. Questa operazione riguarda la mia casa e quindi la mia sfera intima che è irripetibile. È stato sorprendentemente piacevole perché, in un periodo in cui i contagi erano bassi, è stato un momento di stacco piuttosto rilassate. Un’opportunità per riconnettere un tessuto sociale un po’ sfilacciato. Sì, è stato gradevole.

Non posso fare a meno di notare la tendenza sempre più diffusa in città al ripensamento degli spazi per l’arte. Tu hai deciso di trasformare l’ex sexy shop che aveva da poco chiuso sotto casa nella tua galleria, inaugurando con una mostra di Stucchi dal titolo Falli (Phalluses). Com’è nata questa collaborazione?

Fosse stato un fruttivendolo l’avrei preso uguale. Una volta che c’è una storia è bello giocarci. D’altra parte non è stato automatico per me e Davide pensare a un qualcosa che entrasse in relazione con la funzione precedente dello spazio. C’era questa serie di disegni erotici e ci è venuta voglia di presentarli con un approccio ludico. Io poi ho sempre avuto una predilezione per l’oggetto e per il tridimensionale, ma avverto un cambiamento e anche lo spazio percorre delle deviazioni, questa infatti è una mostra bidimensionale, seppur l’elemento delle tendine mantengono una presenza scultorea. Sono come installazioni che richiamano ad ambienti e mi diverte particolarmente il fatto che sia una mostra bidimensionale che gioca con dei volumi.

Adoro l’anima metropolitana di Caiazzo con i suoi palazzi moderni, il multiculturalismo, la Stazione Centrale a due passi. In una geografia del quartiere la tua galleria si colloca più in P.ta Venezia o ti interessa anche eccedere verso Caiazzo?

In realtà io sono stata via da Milano per molto tempo. Sono cresciuta in viale Bligny fino ai 18 anni e poi sono andata a Parigi. In P.ta Venezia, a parte la piscina Cozzi dove andavo a nuotare, non mi capitava spesso di passare. Non direi che è una zona sulla quale ho delle idee particolarmente chiare. Anche Caiazzo la conosco poco se non per un negozio di frutta molto interessante che si chiama Bella Dentro, dove puoi trovare frutta con difetti, frutta biologica di scarto che altrimenti verrebbe buttata. Buonissima. 

Porta Venezia mi capita di passarci, poi ho una vita familiare molto piena, non è che faccia serate notturne ecc. però ci passo e sì, è molto vivace ma anche qui non è male.

Quindi Benedetto Marcello è un mondo a sé con una sua personalità?

Per me Benedetto Marcello è più interessante di Caiazzo o di Porta Venezia, trovo che sia un asse indipendente, molto caratterizzato e caratterizzante. C’è Gelmetti su via Vitruvio dove puoi mangiare un pescetto e bere un bicchiere di vino bianco in piedi, la Pasticceria Rovida in via Settembrini, qui dirimpetto alla galleria c’è il ristorante indiano New Gandhi senza contare tutti i ristoranti con cucine da varie parti del mondo che vanno verso la Centrale.

Progetti futuri? Mostre in cantiere?

Sì ho tanti progetti futuri ma non sveliamo troppo! Comunque diciamo che sono all’attivo.