Ogni mattina in Bicocca si vedono decine di ragazze e ragazzi scendere dal sette. Potreste pensare che stiamo andando in Università, ma in verità la direzione è quella del Panta Rei: il locale di Nicoletta, locals del quartiere nonché tra le prime occupanti del Casaloca vent’anni fa. Negli anni il “Panta” è diventato uno dei punti di riferimento degli studenti del quartiere, tra un caffè, un pasticciotto alla crema, un bigliettino della fortuna scritto di suo pugno e tassisti che recitano la gazzetta.
«C’era questo signore che faceva il tassista ma sognava d’essere attore, e ogni tanto qui si fermava a leggere la gazzetta. Fin qui tutto a posto, non fosse che da un momento all’altro iniziava a recitarla strillando.»
Partiamo con una cosa facile: tre parole per descrivere il Panta Rei?
Accogliente, caldo, buono. Ma ovviamente c’è molto altro dietro, e innanzitutto perché per me questo posto è casa. Quest’idea è, ed è stata, il filo conduttore di tutto, dal momento che il mio obiettivo era creare una specie famiglia. Quest’atmosfera calda che rappresenta un po’ il Panta Rei, è dettata dall’idea di dare a chi lo frequenta l’impressione di trovarsi a casa. Per esempio, se guardi al bancone lo troverai decisamente più basso di un bancone classico, e tutto viene qui di conseguenza: sedie e tavolini sono pensati per starci comodi, proprio come ci si trovasse in un salotto, disposti a prendersi del tempo, magari leggere o studiare o semplicemente conoscersi reciprocamente.
Siete nati qui o ci siete arrivati? Com’è iniziato tutto?
La cosa è iniziata per gioco, avevo appena ventiquattro anni e ho aperto con la mia migliore amica, che è come se fosse mia sorella. I suoi genitori avevano già un bar, e la mia idea era quella di fare qualcosa di nuovo che comprendesse anche qualche evento artistico, e allora ci siamo dette: «Beh Bicocca è la nostra zona, abbiamo fatto le scuole qui, ci conosciamo dalle medie, perché farlo altrove?». Mettiamo le cose in chiaro: non sapevamo fare niente a tutti gli effetti, è stato in fondo l’inizio di un’avventura, un passo totalmente privo di razionalità. Cominciammo più di dieci anni fa, nel 2008. Ovviamente all’inizio non è stato così divertente come ce l’eravamo immaginate: come sempre e per esperienze similari in quartieri come Bicocca, si guadagnava pochissimo, venivano solo gli amici.
A cosa si deve invece il richiamo eracliteo nel nome?
Trovare un nome al locale è stato letteralmente un parto. Per attitudine e interessi condivisi, volevamo un nome che richiamasse alla storia della filosofia, e abbiamo cominciato, ovviamente, a buttare giù proposte randomiche finché qualcuno ha proposto il panta rei eracliteo. Al di là dell’entusiasmo momentaneo che ricordo bene, al solo dirlo ci sembrava appropriato, calzava proprio a pennello perché essendo buddista da anni ritrovo in quel “tutto scorre” l’impermanenza della vita, il tutto che muta, cambia e si trasforma che sta alla base della filosofia buddista.
Come racconteresti il cambiamento del quartiere negli anni?
Più che cambiato, è letteralmente mutato. Io vivo qui dal ’92 e in quegli anni non c’era niente, niente di niente. All’epoca Bicocca era un quartiere abbandonato a sé stesso, c’era soltanto la vecchia Pirelli dismessa, e in pratica non si andava mai in giro dopo scuola. Pensa che, per quanto abitassimo molto vicine, mia mamma mi è venuta a prendere ogni giorno a scuola fino alla fine delle medie. Hanno poi costruito quelle che ancora oggi chiamiamo le case nuove, momento che per noi del quartiere fu un bellissimo segnale, che poteva anticipare la presa di vita del quartiere, ma poi è andata a finire da un’altra parte. Continuo a credere che ci siano delle potenzialità (d’altronde c’è l’università, l’HangarBicocca, l’Arcimboldi…) ma in questo momento mi sembra una cosa davvero lontana. Ultimamente sembra che le zone della periferia nord come Cinisello, Sesto, Bresso, vedano Bicocca come la prima tappa milanese. Inizia ad arrivare qualcuno, soprattutto la sera, ma certo non si può parlare di vita autoctona.
Com’è la situazione quando chiude l’università?
Ci sono sempre stati moltissimi ragazzi, e la cosa è cresciuta vertiginosamente da dopo il covid. Il Panta è diventato un po’ un piccolo punto di riferimento per la colazione degli studenti – anzi, se proprio dobbiamo dirla tutta, delle studentesse. Conoscere persone è indubbiamente il lato più affascinante di questo lavoro. Durante la giornata passano un sacco di persone interessanti, ovviamente perché ci interfacciamo con il mondo dell’università. Ci sono docenti, laureandi o assistenti di laboratorio super nerd, tutti bellissimi. A tutti regalo sempre dei bigliettini scritti da me, come biglietti della fortuna. Se poi dobbiamo parlare di mascotte, qui ne abbiamo a bizzeffe. Ti racconto la primissimo: quando avevamo appena aperto c’era questo signore che faceva il tassista da anni ma sognava immancabilmente di fare l’attore. Così, ogni tanto, si fermava dentro al locale per leggere la gazzetta. Fin qui tutto normale. Non fosse che a un certo punto, davvero a caso e in un momento qualunque, iniziava a recitarla ad alta voce. Diciamo che ce la narrava, come un Carmelo Bene di provincia.
Se dovessi illustrare a qualcuno che non conosce il quartiere la Bicocca, dove lo manderesti?
Allora, farei fare una passeggiata tra le villette che erano le case degli ex dipendenti Pirelli e magari consiglierei di vedere la Collina dei Ciliegi e l’HangarBicocca. Però, a dire la verità, Bicocca è un quartiere che forse deve ancora imparare a raccontarsi e temo proprio che chiunque a un certo punto si annoierebbe. So che l’università si sta ingegnando con delle proiezioni cinematografiche ma, per ora, questo rimane un quartiere paesino. Forse dobbiamo crederci tutti un po’ di più in questa Bicocca. Tanti anni fa ci si inventava modi per divertirsi, ma il quartiere era altro da quello che è ora, meno stretto, meno organizzato. Hai presente il Casaloca, il cso qui dietro? Ecco, quand’ero rappresentante di istituto siamo stati noi a occuparlo.