Ho conosciuto Nyco Ferrari in una delle jam fumose del primo Lume, quando giovanissimi musicisti improvvisavano fino a notte fonda e certi poeti alle prime armi alzavano la voce. Lo ascoltavo ammirato e incuriosito; cantava in inglese, francese o italiano, incastrandosi alla perfezione con i virtuosismi dei jazzisti che riempivano quella cantina. Non era un esecutore di standard, si intuiva che aveva un retroterra composito e una sua visione, originale e in evoluzione. La sua curiosità l’ha portato in giro per il mondo, il che l’ha reso assolutamente atipico per gli standard urbani; per dire, è uno che si costruisce i sandali da solo con il caucciù o va a correre scalzo sull’asfalto meneghino. Dopo più di un lustro e infinite scorribande tra poesia e musica siamo sempre in contatto e quasi vicini di casa, qui al Casoretto. Vive in un appartamento di via Teodosio di musicisti e creativi, che da diversi anni ospita gente interessante.
«Jam nella fumèra di Lume, taccuini, canzoni, concerti e un album, con una sfilza di incontri tanto improbabili quanto determinanti.»
Partiamo proprio da qui, da casa Persichino (così chiamata per l’etichetta sul citofono dei proprietari che nessuno ha mai conosciuto). Chi la abita e chi l’ha abitata?
All’inizio casa Persichino la frequentavo solo alle riunioni di Tempi diVersi e non avrei mai pensato di diventarne un inquilino. Invece ci abito da due anni e mezzo oramai, ed è incredibile perché quando sono arrivato era per starci un paio di mesi, come tutti gli inquilini di quella stanzetta. Infatti prima di me c’era Greta di Lorenzo, un’attrice e artista contemporanea che faceva avanti e indietro da Persichino giusto per prendere delle scarpe, o dei vestiti che solo lei sa indossare. Ma Greta aveva affittato da poco la stanza da Damon Arabsolgar dei Mombao. E prima di lui la stanza era vissuta da Alice Bachmann, videomaker, e Lorenzo Picarazzi, anima della Red Lights Video. È stato Lorenzo il primo indigeno (prima degli effettivi Persichino che nessuno conosce, si intende). Lore e Hank, il suo migliore amico a quattro zampe. Sì, diciamo che Lore e Hank hanno trovato l’appartamento, per poi andarci a vivere con Alice, Antonio Paciello (uomo dei silenzi, poeta, amante e cantautore lucano), assieme a Morgane Quere, studentessa a Brera, anche lei artista e fotografa. Quindi puoi immaginarti gli ospiti e il flusso della casa, che era diventata una sorta di centro sociale… Artisti, poeti, musicisti, attori, videomaker, fotografi… e poi gente in cerca della propria strada, o gente che se ne andava dalla propria strada per trovarne una nuova… io ero uno di questi ultimi.
Dopo il nucleo iniziale il primo nuovo corso Persichino è stato vissuto da Davide Disimino, grafico e filosofo dell’immagine, materano doc; poi Fabio (categoria: “cercasi strada”) e Gianni (lo trovavi dalle 7:00 alle 8:00 fisso al cesso con il suo joint e un libro di storia). Oggi con me ci sono Edoardo Leveratto, trombettista e incantatore di serpenti, Antonio Marmora, batterista, futuro sciamano e prosecutore della tradizione dei Persichini lucani, e Giuliano, il dj che mi fa ballare di più al mondo, sapiente creatore di atmosfere.
Raccontami qualcosa di te, ci siamo conosciuti al tuo arrivo a Milano dopo una serie di viaggi…
Sì, ero appena tornato in Italia da Shanghai. Ci ero stato un anno dopo sei stagioni vissute a Parigi, dove ero approdato dopo un semestre speso tra i tavolini dei ristoranti di Londra e le feste di un hotel di Dublino. Ero quello che passava l’aspirapolvere. Ero partito per un anno sabbatico dopo il liceo, ma sono rimasto fuori un po’ di più. Diciamo che a scuola avevo ingurgitato una buona dose di un intruglio a base di Kerouac, Baudelaire e Jack London che poi mi è fermentato un po’ nello stomaco negli anni a seguire. Sono stati anni a base di incontri assurdi, tanta musica, tante jam session, tante canzoni scritte su innumerevoli Moleskine. Soprattutto sono stati anni in cui mi sono cercato come un ago in un pagliaio, ma con la forsennatezza di uno che sa che lì in mezzo di sicuro si sarebbe punto il dito.
Milano, alla fine delle peregrinazioni, non è stata affatto il porto a cui attraccarmi tranquillo ripensando alle mie avventure come un vecchio marinaio. Perché appena arrivato in città ho scoperto Lume, occupato una settimana prima che bussassi alla porta del vicolo Santa Caterina per proporre un concerto; in quel luogo ho conosciuto una quantità di personaggi incredibili da scriverci un romanzo bolaniano. Infatti, per la precisione, mi sentivo caduto nel covo dei Detective Selvaggi. Sempre lì ho conosciuto Tempi diVersi ed è più o meno così che sono continuati gli anni della mia Milano pre-New York: jam nella fumèra di Lume, taccuini, canzoni, concerti e un album, con una sfilza di incontri tanto improbabili quanto determinanti.
A un certo punto ricordo che sei sparito per un po’, eri finito a NY. Che esperienza è stata?
New York – mi spiace dirlo perché sembra di togliere qualcosa a Parigi, alla musica, o all’amore – è stata l’esperienza più decisiva della mia vita, tant’è che me la sono portata in musica e ora le mie canzoni le scrive NYCO (e vedi che si pronuncia “Neeeco”, non “NAICO”!). Sono andato nella Mela per trovare LA risposta che avevo sempre cercato. Ne ero fermamente convinto. Mi dicevo che tra i milioni di finestre una doveva per forza contenerla. E sembrerà incredibile, ma io quella risposta, in quella città, l’ho trovata. Forse perché avevo l’avevo deciso da sempre che sarebbe successo lì. A New York ho lavorato tanto, pianto tanto, aspettato tantissimo, e camminato ancora di più. Ho ascoltato tanto di quel jazz da nausearmene (ma non so se fosse il jazz o il fatto che stavo nei club fino alle 4 di mattina e alle 10 dovevo essere operativo al ristorante). A New York ho meditato come non avevo mai fatto. Quando sono tornato infatti non ero più su questo piano. Non sapevo più come relazionarmi alla mia vita di prima. Mi sembrava di essere rientrato nel guscio che un’altra persona aveva costruito per me. E ho iniziato a riconsiderare tutto da capo.
C’è un solo quartiere che i newyorchesi invidiano a Milano: il Casoretto. Che rapporto hai con il barrio?
Eh, come dire, è casa. Peccato solo per i tram in coda sotto alla mia finestra alle due di notte per entrare in deposito. Vroom vroom vroom vroom… Casoretto l’ho conosciuto partendo da via Catalani, abitando esattamente sopra la tua testa, come ricorderai. Non è scontato entrare in una casa e sapere dal momento in cui varchi la soglia che fa per te. Saranno state le lucine appese all’ingresso, saranno stati i vicini. È stato un anno strano perché pensavo solo al mio primo album, Sipario, e all’imminente America. Poi quando sono tornato da New York mi sono trasferito in Persichino. È da via Teodosio che ho iniziato a prendere davvero le misure della zona, passo passo, ascoltando l’asfalto bollente sotto i due millimetri di suola dei miei brand new sandali fatti a mano. Sono entrato nella vita del barrio facendo colazione con i leggendari cornetti alla crema della pasticceria Margherita di Tiziano, il vero sorriso di Casoretto, insieme alla pasticceria siciliana di via Teodosio; andando nei baretti cinesi di Pasteur a scrivere, o recuperando la frutta e la verdura che scartano al mercato di via Ampère. Ma la più grande scoperta, dopo tre anni vissuti a Milano sud, è stata parco Lambro. Qui c’è il meglio della mia vita nella zona. Le prime corse da pazzo barefooter, la meditazione, le feste, l’arrivederci ai soli che calano dietro alle sagome nere dei giganti di Gae Aulenti. Amo la collinetta del Lambro perché finalmente ho trovato un punto da cui osservare dall’alto la mia vita a Milano e la vita di questa città.
Tornando a casa tua, ho visto il video del tuo nuovo singolo e mi sembra sia girato proprio a casa tua, nel tuo letto. Qual è l’idea del pezzo?
Ti direi che Con te è una canzone unisex, romantica e ironica. Ma non posso nascondere il suo lato “politico”. Il testo racconta di tutto quello che avrei voglia di fare o rifare con il mio ragazzo. Vorrei sbronzarmi a Camden Town con te, fare gestacci ai turisti sui bateaux-mouche, tornare in America con te, ma soprattutto, fare una cosa che non avrei mai fatto con nessuno, ma qui niente spoiler. Insomma è una dedica. E fin qui nulla di strano. Cosa c’è di politico, allora, nella normalità di momenti vissuti assieme? Proprio questo: che non c’è nulla di strano.
In realtà è con il video che ho dovuto chiedermi che storia dovesse raccontare Con te per chi l’ascolta. Sarà da boomer, ma mi sono posto il problema: che prospettiva dare a una canzone che non vuoi che parli solo di due ragazzi, ma che non vuoi traslare interamente su una coppia etero? La risposta è consequenziale: devi darle tutte le prospettive. È per questo che il video di Con te è una bomba di mani che si stringono, sguardi che si incrociano, risate che si specchiano, labbra che si mordono. Ma non è importante di chi siano quegli occhi, quelle mani, quelle labbra. In queste immagini ci si vuole bene e basta.
Con chi l’hai girato?
Ultimamente attorno alla mia musica si è creato un team bellissimo. Dalla produzione del sound con Jiz alias Giorgio De Lauri alle foto di Agnese Carbone, dalle riprese di Mattia Favaloro alla produzione di Alberto Grimaldi con Golpe Label. Con un team così è automatico che sul set si crei un’intesa che va al di là della realizzazione di un semplice prodotto. Il video di Con te mi rende particolarmente felice perché parte da una mia idea di regia, e con l’esperienza e le riprese di Mattia e Agnese riesce a raccontare un’esperienza personale nel modo più universale possibile. Il progetto poi ha avuto l’immensa fortuna di incontrare Valentina e Sofia, Pietro e Maria, Max e Michele, che scherzando con l’obiettivo ci hanno regalano i loro volti, le loro dolcezze, e le loro incazzature poetiche. È grazie a loro che Con te, forse, riusccirà a dire qualcosa che non sia importante solo per me.
Nel pezzo parli anche di spiagge nudiste e feste negli chalet. Qual è il tuo rapporto con il sud?
Per me la parola “sud” ha il potere di un mantra che evoca l’energia della terra, i profumi che ti avvolgono, il sudore che ti fa brillare la fronte, le pietre che ti scaldano la schiena alla fine dei pomeriggi di cicale. Ed è un concetto che lego soprattutto al sud dell’Italia. Forse perché è casa. Forse perché anche a Milano i miei affetti portano i suoni e i sapori della Puglia, della Basilicata, della Sicilia. All’isola poi associo un luogo ideale dove il caldo ti scompone nei minimi termini, fisicamente staccato da tutto e salvato dal mare, e io trovo rifugio su lidi selvaggi dove addosso mi tengo solo la chitarra. È che “sud”, per me, è un luogo per forza lontano, e da lontano ci si vede sempre meglio. Sì, così: nudi e da lontano.
Progetti per il futuro?
Troppi. In ordine: canzoni da scrivere, canzoni da produrre, canzoni da pubblicare. Concerti per far ballare la gente, concerti per far piangere la gente, concerti per stare bene io. Pubblicare il mio album. Al momento giusto, pubblicare il mio libro.