Bologna, come dicevamo qui, si trova oggi ad affrontare diversi problemi causati dal nuovo flusso turistico e dalla proliferazione di affitti brevi sulle piattaforme digitali come Airbnb e Booking. Uno dei guai più urgenti riguarda l‘emergenza abitativa causata dalla riduzione delle locazioni di lungo periodo e dal conseguente innalzamento dei prezzi delle stanze/case. Per far fronte a questa situazione è nato nel 2018 Pensare Urbano, un gruppo informale di cittadini che si batte per mettere un argine allo strapotere concesso ai privati nel campo della pianificazione urbana.
Il primo importante risultato di questa battaglia è stata un‘istruttoria pubblica a settembre 2019 con la richiesta al Consiglio Comunale di un nuovo piano abitativo e nuove regole per le piattaforme turistiche, tramite l’introduzione di un codice unico identificativo e del criterio „un host, una casa“, così da ridurre al minimo la sottrazione di immobili dal mercato degli affitti. Molte sono state le promesse fatte da parte dell’Amministrazione, ma tutto è ancora in stand by.
Nei giorni scorsi, però, un emendamento inserito dal PD nel Decreto Milleproroghe che avrebbe consentito ai Comuni di regolare le piattaforme turistiche è stato ritirato su pressione di alcuni deputati di Italia Viva capeggiati da Luigi Marattin vanificando di fatto parte di quelle promesse. Pensare Urbano ha perciò lanciato un appello al governo alla quale si può aderire qui.
Di tutto questo ne abbiamo parlato con Fabio D’Alfonso, portavoce del gruppo.
Quando nasce e cos’è esattamente Pensare Urbano?
Il Laboratorio per il Diritto alla Città “Pensare Urbano” nasce verso la fine del 2018, a seguito di una sorta di “chiamata alle armi”. Dopo l’ennesimo autunno in cui la crisi abitativa mostrava i suoi aspetti più drammatici, con gli attivisti del Circolo Arci Ritmolento decidemmo di rivolgere un appello alla città per raccogliere tutte le energie e le forze necessarie per costruire un piano di proposte radicali ma al tempo stesso plausibili. Fortunatamente risposero in tanti: sindacati degli inquilini, spazi sociali, comitati ambientalisti, associazioni studentesche, cooperative sociali, docenti, ricercatori e soprattutto singoli cittadini che subivano il problema e ben intenzionati ad attivarsi per risolverlo.
Cosa si intende per crisi abitativa?
La crisi abitativa è frutto di un mix di cause, di cui alcune sono ben radicate nella storia della città di Bologna, come ad esempio la questione dei fuorisede, altre invece più recenti. Dopo il picco di provvedimenti di sfratto per morosità nel 2014, la crisi è ben altro che risolta. Le modalità di richiesta di una casa popolare sono sempre più stringenti e complesse, la domanda di affitti a lungo termine da parte di studenti, lavoratori e giovani coppie è in crescita, l’offerta abitativa è inelastica da circa un decennio, e il boom turistico non ha fatto altro che aggravare la situazione.
Il principale imputato è Airbnb, perché?
Di fatto Airbnb estrae estrae enormi ricchezze dalle città e, a causa del vuoto normativo italiano, solo una piccola parte di quelle ricchezze rimane sul territorio, concentrata perlopiù nelle mani di pochissimi host con molti appartamenti a disposizione. I danni sociali di piattaforme come Airbnb, Booking e Homeaway sono elevati, e a Bologna si sostanziano in una riduzione significativa dell’offerta di appartamenti in affitto per lunghi periodi. La logica della condivisione della propria casa ha lasciato il posto alla logica imprenditoriale e ad una crescente professionalizzazione degli host, come dimostra l’aumento di case intere sulla piattaforma a scapito delle singole stanze.
Pensate, quindi, che il problema vero sia il turismo?
No, non ci sentiamo di dire che il turismo in senso assoluto rappresenti un problema. Poter visitare luoghi lontani dalla propria casa è un’occasione per accrescere il proprio background culturale. Il vero problema è rappresentato da una cattiva gestione del cosiddetto “sovraffollamento turistico”, o over-tourism, che coincide sempre con lo spopolamento dei centri storici e delle periferie gentrificate, l’aumento dei prezzi d’affitto e la privatizzazione dello spazio pubblico. Ogni settore economico, se lasciato a se stesso senza uno stralcio di regolamentazione, diventa dannoso per la società.
E perché chi si oppone all'over-tourism rischia di essere paragonato a chi generalmente disprezza lo straniero?
Io credo che le cause di questo atteggiamento derivino dalla retorica con cui la classe politica nostrana, negli ultimi trent’anni, ha indicato la promozione turistica come unica soluzione ai problemi strutturali del paese, unita poi alle scelte regressive dal punto di vista del lavoro e del welfare. Quello turistico è il terzo settore economico al mondo per quantità di ricavi e in Italia genera il 10% del PIL e dei posti di lavoro. Il problema è che dietro queste cifre si nasconde una diffusione inaudita di lavoro nero e sfruttato, un impatto ambientale devastante per i territori e una concentrazione delle ricchezze prodotte molto ristretta. Battersi per una regolamentazione di questo mercato e una migliore gestione è profondamente diverso dall’assumere atteggiamenti razzisti, xenofobi o classisti.
Con la candidatura dei portici a Patrimonio Unesco la situazione rischia di peggiorare?
Andrebbero fatte delle valutazioni accurate. Quel che è certo che in alcune città italiane, come ad esempio Firenze, i regolamenti Unesco hanno prodotto un’accelerazione dei processi di trasformazione del centro storico in un parco a tema per turisti, a scapito delle fasce a basso reddito. Noi pensiamo che la migliore valorizzazione del patrimonio urbano passi innanzitutto dal miglioramento dei servizi pubblici e delle condizioni di vita di chi abita la città. Solo così il carico turistico sarebbe sostenibile e realmente benefico per tutti.
Cosa chiedete, quindi?
Per noi il problema degli affitti brevi turistici è tra i più urgenti, e andrebbe affrontato con l’applicazione di poche e semplici regole, come quelle già in vigore in decine di città europee e internazionali. Serve l’introduzione del criterio “one home, one host”, sulla base delle residenzialità nell’appartamento – così da premiare la logica di condivisione a discapito di quella imprenditoriale -, un codice unico identificativo che permetta di svolgere controlli accurati, un limite massimo di giorni su base annua in cui rendere disponibile l’appartamento sulle piattaforme online.
La vera piaga sono, quindi, gli host con tante proprietà, che nei casi peggiori coincidono con agenzie di gestione e addirittura fondi di investimento. Quali sono i dati rispetto al “multi-listings” a Bologna?
Il caso più eclatante è quello dell’host “Bettina”, dietro cui si cela la società Halldis Italia, con sede a Milano. Bettina conta 366 annunci per appartamenti e ville in tutta Italia, di cui 61 solo a Bologna. Seguono poi gli host “Welcome to Bologna!” e “Andrea”, rispettivamente con 35 e 32 annunci attivi al momento. Direi che siamo ben oltre l’home-sharing.
Come andrebbe rivisto, invece, il canone concordato e perché al momento è poco attraente?
Di certo la soluzione non può essere aumentare i canoni del concordato, così come vorrebbe l’amministrazione cittadina. Il fatto che tra il 2017 e il 2018 siano stati stipulati circa 1000 contratti a canone concordato in meno è da imputare, almeno parzialmente, alla crescita degli affitti brevi turistici. Regolamentare le piattaforme potrebbe evitare l’aumento vertiginoso del canone di mercato dovuto al restringimento dell’offerta abitativa per affitti di lungo periodo, e di conseguenza rendere di nuovo convenienti le agevolazioni fiscali per i proprietari previste dal canone concordato. Oltre questo però bisognerebbe immaginare una politica abitativa molto più ambiziosa con un ragionamento specifico sull’ERP (alloggi dati in locazione permanente in regime di Edilizia Residenziale Pubblica ovvero case popolari, ndi) e sull’ERS (alloggi dati in locazione permanente; locazione a termine; alloggi in proprietà in regime di edilizia agevolata, sostenuta da contributo pubblico, ndi), sulla gestione degli immobili sfitti, e una maggiore promozione del contratto a canone concordato per studenti fuorisede, ad oggi pesantemente sotto-utilizzato.
A settembre scorso c’è stata un’istruttoria pubblica. Quali erano gli obiettivi e quali risultati sono stati raggiunti al momento? Quale sarà, invece, la prossima fase?
Il primo obiettivo che ci eravamo posti è stato raggiunto: aprire Palazzo D’Accursio per costruire un dibattito largo e partecipato con tutte le realtà sociali interessate, e allo stesso tempo fornire degli strumenti di attivazione alle persone in condizioni di disagio abitativo. Ora c’è un Ordine del Giorno votato dal Consiglio in cui sono state accolte molte istanze, dalla ricomprensione degli studenti fuorisede a basso reddito in ERS, fino alla formazione di un tavolo per tentare di individuare una forma di regolamentazione comunale. Dobbiamo fare sì che il Comune rispetti gli accordi presi.
Cosa può invece fare il Comune di Bologna all’interno delle sue competenze, cosa ha fatto e cosa non ha fatto?
Fino a poco tempo fa il Comune sottostimava di molto il fenomeno delle piattaforme turistiche, come anche l’impatto turistico rispetto al costo degli affitti. Vero, manca una politica della casa a livello nazionale e il margine d’azione degli enti locali è limitato, ma le considerazioni che abbiamo portato in Istruttoria Pubblica dovevano essere fatte anni fa. Questo non è avvenuto nonostante ad inizio mandato il gruppo consiliare Coalizione Civica per Bologna avesse presentato delle proposte sul tema dell’abitare e della regolamentazione delle piattaforme turistiche, che di fatto sono rimaste inascoltate fino a qualche mese fa. Poi, a seguito dell’Istruttoria, il Sindaco Merola ha annunciato il blocco dei nuovi annunci su piattaforma in centro storico, utilizzando il Decreto Unesco. Per adesso rimane un annuncio, e si sta costruendo la proposta tecnica senza nessun tipo di processo partecipativo. Non staremo di certo a guardare.
Quali sono le vostre città-modello di riferimento?
Dobbiamo stare attenti a non peccare di esterofilia, poiché molte grandi città internazionali presentano gravi problemi abitativi. Certo è, che le risposte messe in campo dalle amministrazioni di città come Barcellona, Parigi, Berlino, Madrid e Amsterdam hanno indicato una direzione nuova rispetto al ruolo nel pubblico nei processi urbani. A Barcellona, grazie all’amministrazione della sindaca Ada Colau, è stata messa in campo una stringente regolamentazione delle piattaforme turistiche, e sono state effettuate le prime multe da parte di un Comune nei confronti di Airbnb, Homeaway e Nine Flats. Ovviamente stiamo parlando di un contesto normativo diverso da quello italiano, ma la direzione politica è quella giusta.
Cos’è successo invece in questi giorni e perché è stato ritirato l’emendamento per regolare le piattaforme come Airbnb?
Due deputati del Partito Democratico hanno presentato un emendamento inserito nel Decreto Milleproroghe che conteneva tre misure – limite di giorni su base annua in cui è possibile affittare l’appartamento, limite massimo di licenze per affitti brevi rilasciato dai Comuni, e un criterio di distinzione tra attività occasionale e imprenditoriale – che avrebbero dato la possibilità ai comuni di limitare l’utilizzo degli affitti brevi turistici. L’emendamento è stato poi ritirato dal Governo in Commissione Bilancio, a seguito delle polemiche sollevate da Italia Viva e dal deputato Luigi Marattin, evidentemente poco informato sulle normative vigenti in quasi tutti i paesi europei. A seguito del ritiro il deputato Pellicani ha annunciato che il Governo presenterà a breve un nuovo testo ad hoc all’interno del Collegato alla Legge di Bilancio sul Turismo.
Negli scorsi giorni abbiamo lanciato un appello firmato da importanti figure della cultura e della politica, che ora sta raccogliendo migliaia di adesioni in tutta Italia, in cui chiediamo di riprendere i contenuti dell’emendamento all’interno del nuovo testo.
I dati usciti negli ultimi giorni sono comunque sconfortanti e per il 2020 si prevede un’ulteriore crescita dei canoni di affitto. L’edilizia pubblica potrebbe davvero risolvere questa situazione?
Sarebbe sicuramente un tassello importante. La percentuale di edilizia sociale – in cui viene ricompresa quella esclusivamente pubblica – sul totale delle unità abitative, in Italia come a Bologna, è largamente al di sotto della percentuale media europea. Senza considerare poi le lunghe liste d’attesa per un alloggio pubblico, e le condizioni in cui versano gli edifici popolari. Serve un grande piano per l’abitare pubblico accompagnato da una politica di calmieramento dei prezzi e dall’individuazione di adeguati strumenti di mediazione sociale.
Da decenni la classe politica continua a ripetere che non ci sono risorse per un simile investimento, ma tassando proprio quelle multinazionali che operano tramite piattaforme – basti pensare che Airbnb paga le imposte sugli utili societari in Irlanda, il paradiso fiscale delle web comapanies – le istituzioni pubbliche avrebbero finalmente la possibilità di affrontare le tre grandi emergenze del nostro tempo: l’emergenza ambientale, l’emergenza lavorativa e l’emergenza abitativa.
Cosa ne pensate invece della proposta di agevolare quegli studenti che decidono di andare in affitto in provincia?
Capiamo perfettamente la volontà dei sindaci dei comuni di provincia di mettere un freno allo spopolamento dei piccoli centri, ma non si può risolvere un problema con un altro problema, senza poi immaginare soluzioni strutturali e di lungo periodo. Faccio un esempio. A San Benedetto in Val di Sambro, dove sono stati resi disponibili alloggi per qualche decina di studenti, i residenti si lamentano già da tempo per il sovraffollamento della corriera Tper per Bologna, come anche della mancanza di una tratta notturna. L’Ergo e l’Università starebbero ragionando ad un servizio di car-sharing. Si mette grossolanamente una pezza, senza incidere minimamente sul problema abitativo a Bologna o sul problema dei trasporti, urbani o extra-urbani che siano.
Tra le proposte più assurde trovate sui siti di annunci ce n’era una che proponeva una stanza a "soli 250 euro al mese" in cambio di un lavoro part-time da baby-sitter”. Certo, non è la regola, ma la sensazione è che si stia instaurando una sorta di competizione al ribasso tra poveri, che si manifesta anche nella scelta del coinquilino tra test comportamentali o prove ridicole ai danni di chi cerca una stanza. Che tipo di denunce di questo genere avete ricevuto?
È la conseguenza diretta della mancanza di affitti a lungo termine. Oltre ad aumentare vertiginosamente i prezzi per posti letto indecenti – capita spesso di trovare annunci di sgabuzzini e corridoi adibiti a camere da letto a prezzi oltre i 400 euro al mese – i proprietari e le agenzie immobiliari si sentono liberi di selezionare gli affittuari riproducendo discriminazioni di ogni tipo: non solo su base etnica, religiosa, di genere o dell’orientamento sessuale, ma anche relativamente al corso di studio. E sembra anche più comune l’offerta di posti letto in cambio di prestazioni lavorative inerenti all’ambito della cura, come il baby-sittering e le pulizie domestiche.
La proliferazione di Airbnb è avvenuta in un contesto di crisi economica. A tal proposito, Laura Pulido descrive il turismo come una modalità di sviluppo economico pigro ed Evgeny Morozov parla addirittura di welfare ombra. Emerge in entrambi i casi una critica alle istituzioni pubbliche, colpevoli di aver abdicato alla loro funzione delegando al libero mercato la ristrutturazione economica post-crisi. Siete d’accordo? E questo è successo anche in una città ritenuta “di sinistra” come Bologna?
In realtà il problema nasce persino prima. Indubbiamente però è la crisi del 2008 a segnare uno spartiacque, dove le città sono diventate il terreno principale di un generale processo di ristrutturazione economica. Non solo nuovi centri finanziari invece di grandi poli industriali, non solo servizi sempre più tecnologici e investimenti sempre più ingenti, ma anche il luogo di una crescente imprenditorialità improvvisata creata da un vero e proprio processo di smantellamento progressivo del welfare pubblico. E in questo spazio che si inseriscono piattaforme come Airbnb, ma anche altre come Deliveroo o Uber. E il paradosso è che se andiamo a vedere i maggiori investimenti nell’ambito delle piattaforme, questi provengono da grandi gruppi bancari come JP Morgan, Deutsche Bank e Intesa San Paolo. In pratica, con le piattaforme digitali sono gli stessi autori della crisi finanziaria del 2008 a trarre oggi profitto dal dramma sociale che questa ha prodotto. Si tratta di operazioni del capitale a livello globale che riguardano ovviamente anche città come Bologna. A mio avviso bisogna iniziare a dirsi chiaramente che quando piattaforme come Airbnb sbarcano in città, questa viene di fatto assorbita all’interno delle nuove dinamiche globali.
Non a caso la fine del modello emiliano e della crescita industriale ha coinciso con un pesante processo di terziarizzazione dell’economia cittadina. È stata fatta una scelta di campo dalla politica, inseguendo le chimere del mercato. Il risultato è una città in cui il lavoro c’è, ma una gran parte di questo è lavoro povero, e il welfare è sempre più selettivo e appaltato a privati.
In una città che cambia così velocemente, tutti prima o poi saranno costretti a cambiare, compresi quelli che oggi beneficiano dell’illusione turistica, come negozianti, ristoratori, ecc. Anche perché il turismo non è un bene durevole e può abbandonarti senza preavviso. Come convincere chi oggi è strumento di questo sistema a non sottomettersi a questo gioco al massacro?
Questa pensiamo che sia la domanda centrale, attorno alla quale è nata la nostra esperienza. Bisogna in tutti i modi rifuggire quegli approcci anti-turistici riduttivi e de-ideologicizzati che finiscono solamente per riprodurre dinamiche classiste, e dobbiamo, invece, giocare una battaglia nel campo semantico dell’innovazione e dello sviluppo sostenibile. La classica critica che proviene da chi grazie al turismo intasca grandi profitti è che vogliamo “andare indietro”. Non vogliamo lasciarci etichettare e confinare nel “decrescismo”, le soluzioni che proponiamo indicano una strada proiettata verso un futuro sostenibile, in cui una regolamentazione del fenomeno turistico si coniuga con la riduzione delle grandi disuguaglianze economiche e della devastazione ambientale.
Bologna può ancora salvarsi?
Bologna è a un bivio. Da un lato c’è una città più povera, densa di lavoro precario e sottopagato, esposta alle ingiustizie, soggiogata dallo strapotere delle multinazionali delle piattaforme e dalla vecchia rendita immobiliare, dall’altro c’è una città più ricca, più produttiva e più innovativa, che riesce a farsi carico dei bisogni e delle aspirazioni sia di chi la vive da una vita intera sia di chi vi trascorre qualche anno. Pensare Urbano nasce per questo: organizzare le persone per imboccare la strada giusta.