Da venerdì 6 a domenica 15 luglio 2018 torna la 48esima edizione di Santarcangelo Festival. Sarà diretto per il secondo anno consecutivo da Eva Neklyaeva – nata a Minsk e formatasi ad Helsinki come curatrice e direttrice di istituzioni artistiche internazionali, tra cui Baltic Circle Festival – e Lisa Gilardino – manager internazionale di performing arts e curatrice – in un programma che comprende performance, danza e musica dalla mattina all’alba. Quello che c’è da sapere sul programma lo trovate a questo link, quello che volevamo sapere su Eva e Lisa eccolo qui sotto.
ZERO – Come siete arrivate fin qui? E com’è cambiata la vostra vita da quando lavorate per Santarcangelo?
EVA: Per arrivare qui ho preso un autobus, un treno, un aereo, un altro autobus e due treni, da Helsinki fino a Santarcangelo di Romagna. Da lì la mia vita non è stata più la stessa.
LISA: Io ho preso solo un treno e anche la mia vita non è stata più la stessa. Va molto più veloce da quando lavoro al Festival di Santarcangelo.
Ci vivreste a prescindere dal festival? Io ogni tanto ci penso, ma mi domando sempre com’è durante il resto dell’anno…
EVA: Mi sono trasferita a Santarcangelo di Romagna da due anni e mi piace moltissimo vivere qui, è un piccolo paese ma molto vivace. Inoltre, il Festival organizza durante l’anno un attivo programma di residenze artistiche. La presenza e l’incontro con diversi artisti internazionali è sempre stimolante.
LISA: Io vivo a Bologna, ma passo molto tempo qui. Mi sono trovata di recente a pensare alla possibilità di trasferirmi: non ho mai vissuto in un contesto raccolto come questo, che ha un microclima umano che mi piace molto.
Santarcangelo ha fatto dell’incontro/scontro con la comunità uno dei suoi punti di forza. Quanto un festival del genere riesce a creare valore aggiunto nel lungo periodo? E quali sono i risultati tangibili di questo lavoro culturale? Non parlo solo di economie, ovviamente.
LISA: Una delle caratteristiche uniche di lavorare qui è quella di avere un riscontro immediato dell’impatto che il progetto ha sulle persone e sul territorio. I risultati più soddisfacenti provengono da chi sembrava indifferente al Festival ed esprime poi l’entusiasmo di aver potuto assistere a quello che di più incredibile è stato creato nel mondo.
EVA: Per me sono molto importanti i risultati intangibili. L’amore non è tangibile, avere una vita interessante e stimolante non è tangibile, aprire i propri orizzonti non è tangibile. Tutto questo è ciò che il Festival apporta al territorio.
La cosa che più mi piace del festival è l’unione di serio e faceto. Perché è importante anche fare festa?
LISA: Perché è uno spazio sociale dove si crea comunità. Penso che giocare sia una questione molto seria e fondamentale in tutte le esperienze della vita.
EVA: Perché è importante bilanciare l’attenzione richiesta al pubblico nell’offerta artistica con la gioia di stare insieme, la felicità di godere di tutto questo. I lavori che presentiamo al Festival richiedono uno sforzo, lanciano spesso una sfida intellettiva, si posizionano all’avanguardia del processo creativo contemporaneo. Il Festival è impegnativo dunque, ma anche molto festoso: fa correre un rischio all’intelletto, ma è anche un balsamo per lo spirito.
Una delle critiche più comuni degli ultimi anni è che gli spettacoli sono troppo criptici o solo per addetti ai lavori. Mi è capitato di sentire amici lamentarsi di non aver capito nulla di quello che avevano visto. Ecco, come uscire da questo cortocircuito della “comprensione”?
EVA: Credo che non sia il Festival a fuoriuscire dal cerchio della comprensione, ma sia la società che richiede cose facili, semplificate. Nonostante la mia esperienza, anche a me capita di vedere performance da cui esco con la sensazione di non aver compreso nulla, ma questa per me è spesso una sensazione positiva. Significa che ho più da cercare, da esplorare, da capire.
LISA: È una questione che ha a che fare anche con il tempo che si dedica alla fruizione di un’esperienza. A volte il “tutto subito” non regge. E spesso quando qualcosa ci lascia con un dubbio, torniamo a ripensarci: per me questo è positivo, il coltivare felicemente i propri dubbi.
La critica più assurda che hanno fatto a voi, invece? E quella più bella?
EVA: La più bella è “pornoterroriste”! Volevamo farci delle magliette.
LISA: Quella che mi ha ferito di più è stato l’attacco ad alcuni degli artisti che abbiamo presentato l’anno scorso in riferimento alla loro identità di genere. L’ho trovato estremamente offensivo e un punto di non ritorno in drammatica sintonia con il clima di oscurantismo che stiamo vivendo.
Poi ci sono gli attacchi politici: sono un bene o un male? Voglio dire: non è tra gli obiettivi del festival creare un dibattito? Il festival non è a suo modo “politico”?
EVA: Il Festival fa parte di un contesto civile, che è sempre un contesto politico. Non può chiamarsi fuori dal dibattito dunque, deve prendere posizione. Quest’anno il Festival ha tra le proprie missioni quella di essere uno spazio libero dal razzismo, dall’odio basato sull’identità di genere o l’orientamento sessuale, un posto dove tutte le voci e i punti di vista non mainstream trovano ascolto. E vogliamo che queste voci siano sentite molto chiaramente nella conversazione politica di oggi.
Cosa, invece, quest’anno potrebbe sconvolgere gli animi più “delicati”?
LISA: Non abbiamo un intento provocatorio nell’immaginare il programma. Come diceva Eva, il Festival deve prendere una posizione politica, aprire un dialogo, ma non è la ricerca del progetto ad effetto che ci interessa. Quello che personalmente vorrei che quest’anno stimolasse la conversazione è la questione della manipolazione politica delle emozioni, una delle linee guida di questa edizione che è tragicamente attuale.
La prossima sarà un’edizione contro la paura. Quali sono le vostre paure più grandi?
LISA: La morte e la solitudine.
EVA: Ho diverse fobie, la tripofobia, l’aracnofobia, la claustrofobia…
L’altro tema al centro è la natura: come verrà rappresentata? E qual è il rapporto del festival con l’ecologia?
LISA: La Natura ha determinato diverse scelte di programmazione. Non l’abbiamo intesa in relazione alle questioni ecologiche, ma come spazio della riscoperta di sè, di incontro con il rituale, il magico, lo sconosciuto. Diverse performance si svolgeranno nei boschi o sulla spiaggia; inoltre abbiamo attivato una collaborazione con Valmatrek, associazione che organizza escursioni in zona.
Ci sono un sacco di artisti poco noti quest’anno: come li scovate e qual è il criterio di scelta dei progetti?
EVA: il programma è il risultato di una lunga ricerca portata avanti durante l’anno. Viaggiamo molto, seguiamo moltissimi festival in Paesi diversi e cerchiamo di studiare a fondo le scene locali. Leggiamo pubblicazioni, parliamo con gli artisti, visitiamo luoghi di creazione… Concepiamo il Festival come una piattaforma in cui pubblici di tutto il mondo vengono a vedere artisti da tutto il mondo.
LISA: Infatti uno dei criteri è programmare progetti e artisti non ancora particolarmente riconosciuti in Italia ma in forte ascesa all’estero. Intrecciamo un dialogo con le Accademie, le Università e con gli allievi di artisti con cui lavoriamo, per dare spazio a una scena emergente, o non ancora emersa.
Scegliere gli artisti sui quali investire è sempre una grande responsabilità. Quali sono quelli su cui state puntando in particolare? E quali le produzioni che nascono nel vostro festival?
EVA: Quest’anno al Festival c’è la possibilità di vedere alcuni lavori che avverranno solo qui, creati per questa edizione, come “The Unknown” di Markus Öhrn o “Crypto Rituals” di Macao. Altri artisti invece hanno re-immaginato il proprio lavoro insieme al pubblico locale: è il caso di Tamara Cubas con “Multitud” o di Panagiota Kallimani che hanno lavorato con persone del territorio.
Cos’è il teatro oggi?
LISA: la nostra speranza è offrire una fotografia del teatro di domani.
I vostri luoghi preferiti della Romagna?
EVA: Santarcangelo di Romagna
LISA: Il ristorante Zaghini, a Santarcangelo di Romagna.
Quando potrete dirvi davvero soddisfatte del vostro lavoro?
LISA: Per me una particolare soddisfazione è ricevere tante e-mail da artisti che ci avvisano che verranno al Festival, nonostante non presentino il proprio lavoro. Sarò ancora più soddisfatta quando il Festival riuscirà ad avere un impatto ancora maggiore sulle questioni critiche della scena artistica internazionale.
EVA: una mia grande soddisfazione è vedere partecipare al Festival un pubblico molto differenziato, per provenienza, età, lavoro, interessi. Conduciamo esistenze sempre più separate, ciascuno in una bolla: nei rapporti reali e sui social networks ci relazioniamo solo con persone del nostro circuito, del nostro status, con i nostri stessi gusti. Il Festival è un momento di coesistenza con realtà differenti.
Il pezzo musicale che ascoltate di più mentre lavorate?
EVA: “Uyang ‘khumbula” di FAKA (il 14 luglio in Piazza delle Monache a Santarcangello dalle h 22, ndi)
LISA: La première del nuovo album di ?Alos, “Chaos”, che uscirà in autunno.