Se la vostra ultima ossessione è per le “calze pazze”, prima di addentrarvi compulsivamente nella loro ricerca, vi consiglio di contattare Sasha Maria Bell: ragazza di Manchester, Creative director di TYT che ci ha insegnato – come solo i migliori meme sanno fare – a trovare il sublime dentro ciò che troppo facilmente prende le connotazioni del brutto.
«Nella moda spesso si cerca spesso un clean code, ma trovo stupendo quel contrasto che ti fa percepire il brutto per bello. È l’oppositive attract.»
Per prima cosa volevo chiederti semplicemente perché hai deciso di creare tyt? Come nasce questa tua passione verso l’ambiente moda?
L’idea mi è venuta due anni fa: stavo cercando le “calze pazze” (crazy socks) ovunque, ero praticamente ossessionata. Avevo trovato diversi prodotti interessanti, nonostante ciò ho pensato che sarebbe stato bello creare una mia collezione di calze pazze. Così è nato TYT; subito dopo ho iniziato a strutturare il progetto, costruivo i concetti e le idee andando a guardare indietro nei miei archivi fotografici, creavo i mood e le story boards e mi sono fatta aiutare nella parte di design digitale. Infine ho iniziato personalmente a curare l’estetica del brand con la comunicazione del sito e della pagina Instagram.
La mia passione rispetto alla moda nasce invece in modo molto naturale: mi piace osservare la gente e la loro semplicità e le mie ispirazioni arrivano sempre più da altre realtà culturali, al di fuori della moda. A maggior ragione da quando sono a Milano mi rendo conto di quanto questa metropoli sia attraversata dalla moda e da quanto effettivamente io la possa esperire notando gli altri, perché comunque è una città molto attiva socialmente, piena di eventi; questo, inoltre, mi ha permesso di frequentare molte persone che si esprimevano spontaneamente rispetto al loro modo di vestire, aumentando così la mia stessa confidenza. E infatti, a mia volta, ho iniziato a vestirmi e guadagnare un’estetica imprevedibile vivendo qui, il mio brand rappresenta tutto questo.
Le vostre calze mi sembra che richiamino l’idea di un’immagine proiettata, come fosse in movimento. Come è nata l’idea di questo concept? Come mai il focus del tuo brand è sulle calze?
L’unica cosa che volevo fare era un prodotto non trovabile sul mercato. La calza è sì trovabile, ma così stampata l’ho trovata raramente (quanto meno io non ho mai visto una calza con sopra un’immagine stampata). Quando l’idea è unica, è più facile costruire una comunicazione efficace, originale.
Mi dicono spesso che le calze così pensate sembrano un green screen e forse condividono col green screen il loro essere medium, ma la mia idea principale era partire semplicemente dalla foto. L’idea di stampare una fotografia della mia infanzia – come una foto di mia nonna con un cappello da cowboy – che non è un capolavoro fotografico e che non è la rappresentazione del “bello estetico” ma che invece, al contrario, rappresenta umilmente la working class britannica, rappresenta, per dire, la mia nana Pat che mai si sarebbe aspettata di essere rappresentata sulle cosce di mezzo mondo! A Manchester gli abitanti del mio paese, stando sempre tra di loro e non avendo chissà che desiderio di uscire dal paese e vivere il mondo, si erano come racchiusi in una loro estetica del tutto originale; ho pensato che fosse un modo estremamente spontaneo e interessante di esprimere la propria realtà.
Tutto il progetto è incentrato sull’ironia, sull’estetica dei meme e sul kitsch, anche la comunicazione della pagina segue questa linea. C’è sempre questo sarcasmo, un po’ perché il mio passato mi butta in faccia i ricordi della mia vita quotidiana, un po’ perché è quasi un mio statement inconsapevole verso il modo moda che pare sempre troppo serio. Credo che sia proprio un modo di rivendicare il bello di queste rappresentazioni semplici e divertenti e renderle originale. Nella moda si vede spesso che tutto tende ad essere perfetto, c’è una perenne ricerca di un clean code, invece per me è stupendo il contrasto che si crea con il brutto che può essere percepito bello, secondo la legge dell’oppositive attract.
Il tuo lavoro ricorda subito quello di Pier Louis Auvray, la sua estetica sembra legata ai videogiochi e agli anime, la tua invece al passato e ad un multimedia come la fotografia. C’è qualche similitudine o qualche ispirazione?
Mi piacciono moltissimo i suoi lavori ed è certo che la mia primaria fonte di costruzione della mia estetica sia rintracciabile nelle fotografie della mia infanzia. Le foto sono degli anni 2000, in una prima collezione erano foto dei miei nonni vestiti da cowboy, in una seconda collezione i soggetti erano i clown, mentre la collezione che uscirà prossimamente è incentrata sul mio prom 2k10 (promenade dance, aka ballo di fine anno) ed è la cosa più tacky che si possa vedere! Questo credo che sia un modo personale di rimodellare il passato (il mio) per rendere una cosa che due anni fa era cringe di nuovo cool. Ancora adesso mi muovo con una macchinetta fotografica del 2010, sperando ci catturare immagini che rispecchino ancora quel tipo di estetica.
Mi chiedo se la particolarità di questo stile di moda che tende a esaltare il trash come rappresentazione della semplicità abbia delle fonti di ispirazione altrettanto particolari.
La mia principale ispirazione viene dai fotografi, e infatti esistono molti documentaries photographer di cui seguo il lavoro. In particolare, mi piace moltissimo il lavoro di Rob Bremner: fotografo anche lui immerso attivamente nella working class britannica, scattava foto alla gente di Manchester, Liverpool e Londra senza che queste persone ne fossero consapevoli. La particolarità però era che Bremner aveva scattato le foto tra il 2000 e il 2010 e le aveva sviluppate una decina d’anni dopo: le foto rappresentavano sconosciuti con top sgargianti, worn in ugg boots black feathered hair con blonde streaks e baggy combat pants veramente extra large, questo ha reso moltissimo l’assurdità e al contempo la bellezza dell’estrema spontaneità di certe estetiche e di certe mode che erano ormai abbandonate.
Prendo moltissima ispirazione online, su Instagram in particolare. Una pagina che amo è Nolly babes, dove vengono postati i frame dei film di Nollywood (l’Hollywood nigeriana) dove c’è moltissima di questa bellezza, dal “trucco e parrucco” ai vestiti, sono donne veramente stilose.
Ma anche dalla tv generalista ho ottenuto molto: esiste ad esempio un programma in Inghilterra, Footballers‘ Wives, che racconta in modo molto sensazionalista e super glam la vita delle mogli dei giocatori di football, sono proprio life goals; ma sono interessanti anche soap tipo “Coronation Street” (che è proprio ambientata a Manchester), e che per le nonne del mio paese sono un appuntamento quasi rituale. Sono programmi che raccontano proprio le storie degli abitanti semplici, sono trash ma non volontariamente, sono molto sincere, mi ricordano anche quello che ero (e che probabilmente sono e sarò quando mi riguarderò al passato). Adoro TYT per questo lato divertente, provo proprio a puntare su questo sarcasmo, tipico dell’english humor attraverso le varie collezioni: è anche un modo per guardare alla mia vita, a quello che è stato, per non dimenticarmi mai chi sono e da dove vengo.
Questo quartiere ti ha dato molto, come lo vivi? Il folclore di Sarpi è in linea con il tuo English humor? Cosa ti piace fare nel quartiere?
Assolutamente sì! Da quando mi sono trasferita qui ho deciso che ci potrei vivere per tutta la vita. Come ti raccontavo il primo posto in cui ho cercato all’inizio le “calze pazze” è stata proprio Chinatown. Qui è pieno di hosiery dove poter cercare questi prodotti; inoltre giravo tutti i negozi e compravo anche bigiotteria, hair accessories e vestiti tacky e orientali ecc. Ho sempre adorato questi negozi di moda, molto estroversi e folcloristici. L’idea di TYT era proprio trovare un design bold, che si potesse abbinare a cose semplici per rendere un’idea di moda bella e divertente: qui in Sarpi ho trovato le cose che mi servivano per rendere questa idea. Il mio primo obiettivo ora, infatti, è aprire un negozio di TYT in questa via!
Una delle cose che preferisco fare per divertirmi è uscire con i miei amici e, vestiti a festa, andare a cantare in uno dei 4 locali karaoke che conosciamo; i miei cavalli di battaglia sono “I will survive” di Gloria Gaynor, mentre in italiano adoro cantare “Minuetto” di Mia Martini e “Oro” di Mango!