Il Gange, il grande fiume del subcontinente indiano che scorre verso oriente, è un esempio significativo delle contraddizioni irrisolte tra uomo e ambiente, poiché è intimamente connesso a ogni aspetto, sia fisico che spirituale, della vita indiana. Rappresenta la fonte di sostentamento per milioni di persone che vivono lungo le sue sponde e fornisce cibo a oltre un terzo della popolazione. Il suo ecosistema comprende una vasta eterogeneità di specie animali e vegetali, oggi in costante pericolo a causa dei rifiuti tossici smaltiti quotidianamente nelle sue acque.
Gli effetti devastanti dell’inquinamento, dell’industrializzazione e dei cambiamenti climatici sono stati documentati dal fotografo Giulio Di Sturco in una ricerca fotografica durata un decennio in cui ha seguito il fiume per oltre 2.500 miglia, dalla sua sorgente nel ghiacciaio del Gangotri, sull’Himalaya, fino alla foce nel Golfo del Bengala, in Bangladesh. Nonostante l’oggetto principale di questa ricerca sia un’entità inanimata, il fiume Gange, l’artista lo ha considerato come un essere umano per poi fotografarlo come se stesse documentando la vita di una persona. È stato quindi significativo quando nel 2017 l’Alta Corte di Giustizia dello stato indiano dell’Uttarakhand ha riconosciuto lo status di entità umana al Gange e al suo principale affluente, lo Yamuna. Le fotografie raccolte in Ganga Ma sembrano sospese tra la banalità della vita quotidiana indiana e una condizione quasi surreale. Paesaggi onirici in cui le tonalità di rosa e marrone si intrecciano senza soluzione di continuità, mentre architetture e persone si impongono più o meno timidamente nelle scene. Le immagini a prima vista appaiono piacevoli e poetiche per rivelare solo in seguito la loro vera natura.
Written by Gianmaria Biancuzzi