Dall’esordio del ’91 a oggi il cambiamento più rilevante nella poetica degli Earth è forse il tatuaggio da trapper che Dylan Carlson si è fatto in faccia. Se escludiamo i cambi di formazione di un progetto che ha sempre fatto perno sulla figura mistica e quasi mitologica del suo leader, da anni la band porta avanti un discorso basato sull’eterno ritorno di riff dilatati all’infinito, al crocevia tra doom e drone.
Meno parossistici dei Sunn 0))) e più introspettivi degli Sleep, gli Earth sublimano sul palco la loro personale declinazione di “ambient-metal” – formula estatica o estenuante, a seconda dei punti di vista – in un rituale pagano dai volumi apocalittici. Secondo Carlson e la sua compagna di viaggio Adrienne Davis, l’ultimo “Full Upon Her Burnung Lips” vuole essere un disco “sexy” e «mettere in evidenza gli aspetti sensuali della musica». Una sfida interessante, per una band che sa ancora sedurci con poche armi.
Written by Lorenzo Giannetti