Dal testo critico di Rossella Farinotti, la curatrice: “No pain, No gain”. “Nessuna pena, nessun guadagno” si legge tra le scritte colorate al neon che si susseguono con altre frasi apparentemente prive di significato, o, al contrario, sentenze retoriche estrapolate da contesti diversi che Albert Hien riadatta nelle sue opere a parete. Un rivolgimento semantico di un detto comune, qui privato di significato e di giudizio e, oltretutto, cambiato. “No pain, no gain” è infatti il monito: senza pena, non c’è guadagno insomma.
Albert Hien elimina il giudizio, neutralizza il significato. Le sue opere infatti non implicano una critica, ma rappresentano dei punti cardinali di uno schema lavorativo preciso.
Papalapap, la mostra personale dell’artista tedesco alla galleria Menhir, sintetizza una mappatura attraverso questi punti cardinali, con la disposizione di un nucleo preciso di opere – quello legato alla parola e al neon come mezzo espressivo e quello, più rigoroso nella forma, dove parole e fraseggi scompaiono, lasciando visibili le matrici del linguaggio.
L’impatto del percorso espositivo è colorato e denso: i pannelli in neon con le frasi si evolvono in righe dal blu al rosso al giallo al verde per poi, proseguendo, compiere un rivolgimento estetico in bianco e nero. Si tratta quasi di un equilibrio spirituale, un rito di passaggio tra il gioco vivace e il raccoglimento riflessivo. Come in un labirinto. O come all’interno di un grande rebus.
Written by La redazione