Ko, Krause e Magni sanno bene che per trasgredite una norma occorre conoscerla, averla assunta in tutta la sua pregnanza: solo allora si può tentare il suo “superamento”. La lezione modernista, in scultura nel suo rapporto con lo spazio, in pittura con
l’istanza radicale del monocromo, è stata assimilata, ora si tratta di andare avanti. La conoscenza della storia dell’arte, non solo recente, si commisura con la frequentazione della filosofia come orientamento del lavoro, e forse dell’esistenza.
Ciò che ora viene chiamato in causa è la sfera emozionale, la creatività dell’immaginario che forgia le materie, le forza ad assumere quasi lo spessore della metafora. Il pigmento compattato fra i vetri di Sophie Ko gradualmente cede alla forza di gravità e fa dell’opera un ente in divenire; le superfici di velluto di Magni trattengono la sabbia finissima di una clessidra, emblema di un tempo esploso; la linea interrotta di Krause disegna una diagonale frammentata che dinamizza il pavimento su cui è posta.
Queste opere e le altre esposte assumono forza evocativa, all’osservatore viene chiesto di considerare le materie e le forme, così liberamente disposte nello spazio, per quello che sono, ma lo si invita anche a trascenderle, a cogliere l’aspetto visionario che ciascuna di esse ad un tempo nasconde e rivela.
La mostra è accompagnata da un catalogo con testi critici, una introduzione generale e tre saggi, ciascuno dedicato a un artista, che moltiplicano i punti di vista, le letture possibili di questo già stratificato paesaggio. I contributi critici sono di Andrea Pinotti per Sophie Ko, Giulia Bortoluzzi per Valerie Krause e Francesca Pasini per Marco Andrea Magni.
Written by La redazione