Vediamo se ne cade una. Aspettiamo un minuto. Shhh…”. C’è scritto così tra le frasi interpretate da Fassone durante la performance che accompagna il pubblico in mostra. L’artista, attraverso pochi gesti e una serie di fogli A3 che pian piano sfoglia davanti ai suoi fruitori, racconta qualcosa che sta accadendo. O che è già successo. O che, magari, non succederà mai.
Ma non importa, perché “Vicino a Fano” è una suggestione: un percorso di mostra sviluppato in delicate narrazioni, frammenti che trattano piccole storie. C’è una Montagna che finge di dormire. È tranquilla, isolata nella stanza principale dello spazio, protagonista nel vuoto e, con quell’aria altera, scruta la moquette di sabbia che proviene da Honolulu, Okinawa, Bonassola, Senigallia e San Diego. Su questa distesa chiara ci si può sedere, sdraiare, camminare. Lì sopra ci sono anche una Coca Cola e una Pepsi, spettatori intrusi. L’importante è ascoltare quei suoni che l’artista Francesco Fonassi ha registrato durante una notte stellata dell’ultimo agosto, quando Roberto Fassone si è riunito con un gruppo di amici a guardare le stelle cadenti. Una notte trascorsa a Senigallia, vicino a Fano.
C’è una sequenza di fotogrammi di Amarcord dove compare il Rex che, luminoso, sbuca dalla nebbia: il gigantesco transatlantico è imponente, fantastico, surreale, onirico. Un grande fantasma disegnato nel fumoso paesaggio blu di un cielo che accoglie le barche in cui gli abitanti del film sono in attesa, ormai addormentati, del suo passaggio. “Eccolo, eccolo. Il Rex, eccolo!” in tanti esclamano. Questa scena ha l’impatto poetico di Fellini che coinvolge tutti i suoi trucchi, le sue malinconie, i suoi riferimenti. È l’immaginazione che vige, attraverso la suggestione di una grande attesa che viene soddisfatta.
Le stelle nella grande sala di Treviglio non sono visibili, non esistono: anche loro rimandano a un trucco, a un escamotage, a una visione. Da quella moquette color sabbia non si possono realmente vedere, ma si possono ascoltare. La traccia audio, coinvolgente e immersiva, attiva un immaginario innescato grazie al ricordo di un’esperienza. C’è il piacevole frinire delle cicale in sottofondo, ci sono rumori di macchine che passano in retroscena, i commenti di chi guarda il cielo e le emozioni di chi scorge qualcosa cadere. Roberto Fassone gioca sulla percezione delle cose e sulla loro immaginazione. L’artista restituisce all’immaginario ogni responsabilità. Ogni sua intuizione. Il compito da svolgere è pensare a quell’indicazione, a quella notte di San Lorenzo che in tanti hanno vissuto, da piccoli o da grandi.
Di immaginario tratta anche la lettura degli sguardi nei soggetti di un’altra opera in mostra: una serie di scatti fotografici realizzati da Riccardo Banfi in cui, alcuni surfisti chiamati a posare, si interrogano sulle Origini dell’Universo. L’Oceano Pacifico alle spalle, i soggetti assopiti. A cosa pensano? Alle Origini dell’Universo. O forse no. Ma, ancora una volta, poco importa. Ad attivare di nuovo fantasia, dialogo e pensiero c’è un’opera coloratissima: il Calendario dove sono presenti messaggi da sfogliare e strappare.
Verso la via dell’uscita c’è una bussola che si può girare su quattro lati. Le strade da intraprendere anche qui sono varie: c’è un tramonto sul Mar Nero, dei mattoni, una Crisi d’identità, un Senza titolo, un giallo e il blu, una notte che scende sul Mar Rosso, Torcida, una dedica ad Alphonse, un quadrato e due rettangoli, una Predica di san Marco in Alessandria d’Egitto e dei Ragni in divisa. Sono indicazioni pilotate, ancora una volta, dall’illusione.
Rossella Farinotti
Written by La redazione