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Tue 16.11 2021

Jerusalem In My Heart

Where

Standards
Via Maffucci 26, Milano

When

Tuesday 16 November 2021
H 21:30

How much

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Organizaer

Standards + Volume

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  • Wa Ta'atalat Loughat Al Kalam, Pt. II

    Jerusalem In My Heart

  • Wa Ta'atalat Loughat Al Kalam, Pt. I

    Jerusalem In My Heart

  • Metal

    Jerusalem In My Heart

Courtesy of Spotify™

Quando nell’agosto del 2020 ci ritrovammo attoniti di fronte all’esplosione nel Porto di Beirut, non fu una deflagrazione solo in termini di vite umane e di un evento che sembrava avere del surreale, dell’impossibile tanto era stato violento e inspiegabile. Comodamente seduti con in mano il nostro smartphone, all’improvviso ci ritrovammo di fronte a immagini e notizie di una realtà e un contesto che a quel punto, in quella circostanza, non poteva essere più nascosta, celata, ignorata. Molto di ciò che di ingiusto, in varie forme violento e spesso disumano avviene in alcune parti del mondo, e in particolare in alcune parti del Medio Oriente, sembra non avere abbastanza importanza per i media, per i paesi e le politiche occidentali. Di fronte a questo dato di fatto ormai consolidato, in questi anni è stata l’arte a creare un legame, delle connessioni, un canale di comunicazione e scambio con territori come il Libano (la Siria o la Palestina).

In tal senso con la sua capacità di unire il passato e la contemporaneità, la potenza del suono con quella dell’immagine, la tradizione con la proiezione verso il futuro e l’avanguardia, Jerusalem In My Heart è stato uno dei progetti che negli ultimi dieci anni e in ormai quattro dischi ci ha parlato di più della cultura di quella parte del mondo, avvicinandola a un pubblico occidentale relativamente ampio, curioso e spesso attonito di fronte all’energia profonda di quelle terre, molto spesso dimenticate o ritenute “scomode” e di “minore” interesse. L’esperimento che sotto varie forme – dal suono del buzuk alle reinterpretazioni elettroniche dei canti tradizionali, dalle voci femminili ai riferimenti all’attualità della sua terra – Radwan Ghazi Moumneh porta avanti ormai dal 2013 è diventato uno dei capisaldi dell’avanguardia araba, un progetto a due in evoluzione ma comunque sempre capace di accompagnare una certa urgenza emotiva e di ricerca con riferimenti forti – testuali, sonori, visivi – alla sua terra.

Con il quarto album “Qalaq”, ancora una volta su Constellation, JIM fa un salto ulteriormente in avanti rispetto a questa vocazione narrativa e sperimentale che unisce la sua terra con l’Occidente in cui si è trasferito e a cui parla da anni. “Qalaq” è una parola araba che Moumneh intende nel suo significato di “profonda preoccupazione”. Una preoccupazione che è a livello globale, ma riferita in modo particolare al suo Libano e alla sua Beirut: alla politica interna, all’economia e alle infrastrutture al collasso di questo paese e alla tragica situazione geopolitica di quell’area geografica. L’artwork, composto da un’immagine scattata dalla fotografa Myriam Boulous durante la Rivoluzione d’Ottobre di Beirut del 2019 in copertina e da fotografie di Tony Elieh che ritraggono le conseguenze dell’esplosione del porto di Beirut nel libretto interno, sono la porta d’ingresso per un album che è il più complesso, stratificato, a tratti anche ostico del progetto, oggi condiviso con la regista sperimentale Erin Weisgerber (che si occupa delle proiezioni analogiche live durante i concerti).

Musicalmente più ossessivo, drammatico e asfittico, eppure in qualche modo magnetico e ipnotico, “Qalaq” ospita su ogni traccia un musicista diverso, con nomi che parlano da soli in termini di caratura e direzione sonora – Lucrecia Dalt, Tim Hecker, Moor Mother, Greg Fox, Rabih Beaini, Alanis Obomsawin, Oiseaux-Tempête. Anche senza di loro, ritrovarsi di fronte a un set evocativo, potente e disarmante come quello di Jerusalem in My Heart sarà come trovarsi letteralmente di fronte a quella “violenza stratificata e complessa che ha raggiunto negli ultimi due anni il Libano e i paesi del Levante” tra le mura di Standards.

Written by Chiara Colli