Chi fotografa per la moda acquisisce una sensibilità quasi dolorosa del confine tra naturale e artificiale. Le reazioni sono molto diverse, c’è chi ne fa un feticcio e formula paradigmi di bellezza modellati esclusivamente sull’artificio, sull’innaturalità della posa, e chi sceglie di costruirsi una via parallela. Questo è il caso di Lady Tarin, di cui è dato sapere solo il nome, appunto, e il luogo in cui è nata e cresciuta e dove tuttora stampa le foto su pellicola, quella Verucchio che si trova nel paesaggio del Montefeltro ma è anche a tutti gli effetti Romagna. L’accumulazione di cliché nella rappresentazione della donna hanno prodotto in Tarin l’urgenza di liberare i corpi femminili dall’algida galera della convenzione, e l’hanno portata a sviluppare, al di fuori del lavoro strettamente professionale per GQ e altre riviste, una ricerca con altri mezzi: la pellicola al posto del digitale, il nudo per allontanare la concentrazione dai vestiti e spostarla sul corpo, il lungo studio dell’intimità delle donne ritratte al posto del rigido protocollo che richiede la performance di posa.
I suoi nudi nascono prima di tutto dal rapporto con le persone, solo in un caso modelle, poi da uno sguardo che segue invece di comandare, e coglie il momento in cui il soggetto esprime il massimo della confidenza nelle proprie movenze, emana un potere vivo, un’aura calda.

Le sue donne nude sono legate da legami affettivi, con i fidanzati, le amiche, i figli, i gatti, o sono da sole e guardano bene l’obiettivo, scoprono le tette o il culo o si alzano la gonna in un gesto improvviso al Bar Basso, mentre suonano al citofono, o in un parco, o abbarbicate a una statua.

Spesso Lady Tarin le rifotografa a distanza di mesi, poi anni, e loro ne escono sempre più intense, con nuovi fidanzati, nuovi affetti e nuovi modi di esprimere il desiderio – che, contrariamente a quello che ne pensano molti, non è sempre compiacente, anzi quasi mai. Due donne nude fianco a fianco non si muovono, guardano o toccano nel modo youpornesco che sono costrette a incarnare per soddisfare l’angusto immaginario mascolino. E una mano nelle mutande è più interessante di molti coiti meccanici (e modesti, come direbbero gli immortali CCCP).


In una serie un po’ vintage che era stata commissionata per un numero speciale di Le Dictateur, le nude o seminude leggono. A gambe aperte, in poltrona, o con lo stacco delle calze in vista. E quello che leggono le fa divertire. Parecchio.
Insomma, passate da BeatTricks. La mostra è a cura di Rossella Farinotti.
Written by Lucia Tozzi