Dopo dieci anni di carriera e quattro dischi all’attivo, non è poi così difficile trovare materiale interessante per lavorare ad un pezzo sui C’mon Tigre, per fortuna. Nell’approcciarmi a questo collettivo musicale, o “famiglia”, come loro preferiscono definirsi, sono partito però dall’elemento primordiale illustrato magistralmente sulle copertine esotiche dei loro dischi dall’artista Enea Luisi: la Tigre, appunto. Tra le cose più stravaganti a cui mi sono approcciato è che la parola Tigre potrebbe potenzialmente originare dal fiume Tigri per la velocità che il felino e il bacino d’acqua tra i più iconici della storia umana hanno in comune. Una delle mie prime reminiscenze scolastiche è che dalla fertilità della valle del Tigrisi sia sviluppato il concetto di civiltà. È proprio il termine fertilità ad avermi ispirato per descrivere la poliedricità dei C’mon Tigre, perché dall’omonimo “C’mon Tigre” del 2014 fino ad “Habitat”, uscito lo scorso dicembre, siamo di fronte ad un cantiere sonoro in continuo mutamento, sempre pronto ad abbracciare jazz, afrobeat, funk, passando per l’hip hop, la disco anni Settanta e un tuffo nel Mar Mediterraneo senza tralasciare le più varie suggestioni Sudamericane. In una recente intervista hanno espressamente dichiarato di voler lasciare umilmente le etichette nella loro giusta collocazione: al supermercato. In tempi come i nostri, di algoritmi insistenti e categorie debordanti, oltre che essere un approccio lodevole, testimonia che oggi la cifra stilistica per essere veramente originali sia la contaminazione. Se ascoltiamo in cuffia e ad occhi chiusi il già citato Habitat, con il suo verde tropicale in copertina, veniamo immediatamente proiettati in un mondo dove chitarre, fiati, percussioni e sintetizzatori moog dialogano continuamente, mescolando le coordinate geografiche al punto da polverizzare i punti cardinali del nostro viaggio sonoro. Per non parlare delle guide che abbiamo la fortuna di incontrare, da Sean Kuti fino ad Arto Linsday e Giovanni Truppi, sempre pronti a mostrarci che la musica, se affrontata con la naturalezza dei C’mon Tigre, non ha proprio confini.
Written by Marco Mascolo