Ci immaginiamo Sali & Tabacchi come un baule. Parole-baule è un gran bel termine. Per quel che ne so io, è coniato in un libro che gironzola attorno a Lewis Carrol, scritto da un tale che si chiamava Gilles, che insegnava filosofia a Paris VIII e fumava accanitamente come se ogni fiato speso per parole dovesse immancabilmente troncarsi. Le parole-baule sono, per arrivare a un dunque, espressioni come “coso”. «Quel coso lì, avete presente?». Vale a dire parole che vogliono dire tanto se non troppo, e quindi hanno in pancia di tutto e di più, tant’è che davvero ed esplicitamente si stringono in una figura sensata soltanto in tale o talaltro contesto, prendendo un senso alla volta o ogni volta diverso. D’altronde, a dir “coso” sono i bambini, o noi quando d’un tratto siam tronchi di parole per dire quello che vorremmo. Ecco, Sali & Tabacchi è chiaramente un magazine, ma in fondo, ora che siamo ormai alla quinta uscita, è lecito – e quasi rigoroso – considerarla come un baule. Un magazine-baule. Immaginate (questa frase è per chi non conosce ancora l’orizzonte editoriale di Sali, per gli amici): ogni numero affida le proprie storie al racconto di spazi vernacolari e rituali, a feste di santi e dannati, a grandi falò e pire sacrificali, nonché a serpenti e serpari, ma anche a quei saper-fare che si legano a questi cominciamenti. Rubiamo, parafrasiamo, storpiamo pure di senso le parole di un altro tale che si chiamava Paul ed era un massimo poeta, e lo facciamo pensando a chi, col cuore ritorto, guarda con nostalgia alle festone di paese, alle reliquie e alle galline ai pani e ai coriandoli lanciati per strada, alla Cavalcata delle Valchirie strillata da casse sfondate in bilico sui balconi mentre frotte di picciotti corrono imbracciando la portantina di San Sebastiano: quel che sta nel baule di Sali sono i nostri non più e i nostri pur sempre. Bene: siamo andati di cuore. Succede ogni volta che quelle birbe laboriose di Sali s’apprestano a presentare un numero.
Ma per non lasciarvi spogli di informazioni puntuali, vi confidiamo che questo numero cinque ha come tema il fuoco: fenomeno terribilmente incontenibile, in cui non c’è forma che tenga se non per qualche sputo di tempo, un battito di ciglia, e che altro non vuole che consumare fino a consumarsi. Cosicché, averlo in proprio favore, non possa che dare impressioni di possenza. La fiamma si scruta in cerca di segreti, e attorno a essa ci si riunisce; è il focolare. La fiamma scotta, brucia e cucina; è un’arma terribile. La fiamma è il primo atto e mito d’esordio di una specie, la nostra.
Non vi abbiamo detto perché il magazine-baule: perché se mai doveste averli tutti e cinque (sei in verità: c’è un numero zero), avreste tra le mani e sotto agli occhi un archivio di non più e pur sempre da scandagliare fintanto che restano. Sennò, una testimonianza in prima persona di quel che siamo stati.
Non vi abbiamo nemmeno detto che ci sarà la proiezione di L’isola, di Massimiliano Bomba, musica a cura di GIUDI+KASAP, vino di Altra Via Vini e Tina Maccheroni, tutti alla Fonderia Battaglia.
Written by Piergiorgio Caserini