“Com’è una stanza quando nessuno la osserva?”, si chiedeva il giovane Edward. Com’è una città o una strada vuota? E come ogni grande artista non ci ha dato risposte, ma stati di contemplazione. Gli stessi dei protagonisti dei suoi quadri, immersi in quella solitudine che è l’essenza della sua poetica. Una solitudine morbida e attraente, che manifesta tutta la sua bellezza attraverso un altro elemento fondamentale della sua arte: la luce, che si staglia sulle case, attraversa le finestre e disegna geometrie. Fra immagini urbane e rurali immerse nel silenzio, Edward Hopper, il più popolare e noto fra gli artisti americani del XX secolo, arriva finalmente anche a Bologna con una sessantina di opere – oli, acquerelli, carboncini e gessetti – prese in prestito dal Whitney Museum of American Art. Il suo realismo figurativo ha attraversato tutta l’età del Jazz fino ad arrivare alla guerra in Vietnam, influenzando non solo pittori (vedi, David Hockey), ma anche registi (la House by the Railroad del 1925 fu ripresa da Alfred Hitchcock per disegnare la casa di “Psycho”) e narratori come Raymond Carver. In mostra anche i capolavori South Carolina Morning, Second Story Sunlight, New York Interior, Le Bistro or The Wine Shop, Summer Interior. Mancherà purtroppo il celebre Nighthawks, ma va benissimo anche così.




Written by Salvatore Papa