Una giovane ragazza, esile, bionda e con fare timido e dimesso, si avvicina alla staccionata della sua farm texana fissando le gesta di un giovane allevatore di tori e cowboy da rodeo. I due iniziano a scambiare qualche frase di circostanza, ma dallo sguardo di lei si intuisce che il suo imbarazzo è totale.
Comincia così una scena del docu-film “Stop the pounding Heart” (ferma il tuo cuore in affanno) dell’italiano Roberto Minervini, regista da molti anni di stanza negli Stati Uniti. Questo lavoro fa parte della sua “trilogia texana”, nella quale il regista si confronta con un’umanità spesso ai margini ma in cui è maestro nell’esaltarne la poesia. In questo documentario racconta la vita di Sara, cresciuta allevando animali insieme alla sua numerosa famiglia in un luogo isolato, seguendo i rigidi precetti della Bibbia. L’incontro con il giovane metterà in crisi le sue convinzioni personali e le convenzioni sociali che ha sempre conosciuto.
Molte delle scene che Minervini mette in atto sono racconto puro, senza fronzoli e senza musica; ma, proprio nella sequenza descritta qui sopra, per l’intensità degli sguardi di quei due ragazzi, per la difficoltà di Sara nel sostenere lo scambio di battute, ho sempre immaginato che un brano musicale avrebbe potuto inserirsi senza cambiare l’intento del regista fermano; non una canzone qualunque ma “Beneath the rose” di Micah P. Hinson.
Cresciuto anche lui in Texas, un’infanzia nella Chiesa di Cristo, discendenze nativo americane (Chickasaw), Micah affronta un’adolescenza segnata da problemi familiari e dipendenze. Non ancora ventenne dichiara bancarotta e rompe una relazione molto importante che lo porterà a scrivere, nel 2004, il suo album d’esordio “Micah P. Hinson and the Gospel of Progress”, lavoro che diventa un racconto struggente di quel buio periodo. La sua voce arriva come un serpente a sonagli, ipnotica, profonda e oscura, lacerata come il suo passato. Eppure, tra quel canto perduto, si inserisce la chitarra che l’artista accarezza come un balsamo, interviene anche il pianoforte aprendo un varco di speranza.
Micah P. Hinson ha fatto del suo dolore la sua potenza, e questa energia mira direttamente al cuore. È un folk amaro il suo, che ricorda la polvere nei ranch americani e i ferri dei cavalli. Ma come tutti i grandi artisti, dopo aver replicato sé stesso e accolto il successo, ad un certo punto si rende conto di essere ancorato al suo passato e di non riuscire ad andare avanti, di non raccontare nulla di nuovo. Anche la sue vicende personali sarebbero potute diventare un documentario di Minervini.
L’Italia sarà per lui fonte di grande cambiamento, personale e artistico: l’incontro con il chitarrista Alessandro “Asso” Stefana rappresenta il ponte per una nuova carriera musicale, carriera che culmina, dopo una decina di album, con il nuovo disco The Tomorrow Man uscito con l’etichetta italiana Ponderosa il 31 ottobre di quest’anno e prodotto, appunto, da Stefana (già stretto collaboratore di Capossela e Pj Harvey). In questo disco difficile da etichettare, Hinson lascia andare la sua sonata intima e si fa cantore di un nuovo momento, più vitale e generoso, meno drammatico e più costruttivo. La sua arte non perde la sua anima vera, e nei live, si fonde perfettamente con il pubblico. Sul palco è sempre un crescendo, la sua voce fende le luci, la chitarra riempie lo spazio vuoto.
Il 18 novembre lo possiamo sentire in Santeria con la sua evoluzione da cantore del buio a guida dei cuori affannati. Da non perdere.
Written by Antonella Grafone