Se si attraversa la storia della musica moderna in senso orizzontale, trasversalmente a generi, epoche e latitudini, il nome di Arto Lindsay è di quelli che si incontrano più spesso. Arto è un amante dei contrasti forti, l’equivalente musicale della più impenetrabile delle facce da poker. Come un Giano bifronte, da una parte guarda al Brasile, dall’altra ai bassifondi più degradati della Grande Mela Marcia, che ha scandagliato fino ai recessi più reconditi. Uno in grado di mescolare punk e sound tropicale che, dopo esser stato una della menti della no wave newyorkese con i DNA, ha rielaborato gli anni passati sotto l’equatore avvicinandosi alle sonorità latine, passando per il funk trascinante dei Golden Palominos e per il furore jazz dei Lounge Lizards. Nessuno come lui è riuscito a spremere da una chitarra elettrica suoni che non direste provenienti da alcun universo conosciuto.