Ripassando la sua discografia per preparare la stesura di questo pezzo, mi sono reso conto che avrò ascoltato forse un terzo della vasta discografia di Keith Fullerton Whitman. Ho in mente le mirabili geometrie post-concrete nei lavori per Kranky (su tutti Lisbon), gli scavi archeologici nel primordiale rumore brado di Occlusions, le sessioni abstract-impro di Generator. Tutta roba che pare quasi stonare in un medesimo calderone. Eppure il suo nome tende a evocare un immaginario tremendamente definito e nitido, fra i più emblematici in assoluto di quella direttrice della scena elettronica degli ultimi anni che ha ridestato l’interesse nella strumentazione analogica, nelle linee fondamentali della musique concrète e nella ricerca genetica sul rumore. Una sorta di risposta extra-accademica, a posteriori di qualche decennio, all’avanguardia storica del secondo Novecento. Roba che una volta faticavi a digerire, con cui oggi puoi invece persino fare aperitivo dalle parti di Standards. Tempi che cambiano.
Written by KosmischeKommando