Il Pilastro, il Villaggio Pilastro, come lo chiamavano all’epoca, nacque nel 1966 con un nucleo di case popolari completamente isolate dalla città e in aperta campagna. Si dice che prese il nome da un pilastro con sopra una piccola madonnina in quella che prima era aperta campagna. Fu progettato per rispondere alla necessità di alloggi del crescente numero di immigrati giunti per lavorare in città durante il boom economico e ancora oggi è la zona con la più alta percentuale di Edilizia Residenziale Pubblica di Bologna. Coloro che si insediarono per primi, definiti “i pionieri”, si trasferirono a vivere senza che vi fossero servizi di base, nemmeno l’acqua e l’elettricità, con le strade in terra battuta, la chiesa in un container e le scuole lontane. Contro quelle famiglie povere si mise sin da subito in moto una narrazione mediatica stigmatizzante, scaricando sul Pilastro e i “pilastrini” tutti i problemi della città. Narrazione che, a fasi alterne, continua fino a oggi, sebbene i protagonisti non siano più i “meridionali”, ma gli extracomunitari. La storia e la realtà del Pilastro sono però molto diverse rispetto a ciò che viene troppo spesso raccontato. È una storia fatta di enorme senso civico, senso di comunità e resistenza di classe. Ed è certamente anche una storia problematica e con alcuni fatti tragici, su tutti la strage della Uno Bianca.
Per cercare di costruire un racconto più aderente alla complessità del rione, è nato un film, Il Pilastro, diretto da Roberto Beani e ideato da LAMINARIE, la compagnia teatrale bolognese che dal 2009 dirige il teatro DOM la cupola del Pilastro, con l’obiettivo di trovare un equilibrio tra due narrazioni estreme, (la criminalizzazione e la romanticizzazione) che spesso si legano alle aree di periferia.
Realizzato dalla casa di produzione cinematografica LABFILM, con il contributo della Regione Emilia Romagna Film Commission e in collaborazione con Fondazione Cineteca di Bologna, Il Pilastro verrà proiettato in anteprima martedì 10 giugno alle h 21.30 al Cinema Lumiere in occasione di Biografilm Festival.
«Nel 2021 – ci racconta Roberto Beani – tenevo un corso alla Cineteca su tecniche di reportage e con i ragazzi abbiamo fatto un piccolo lavoro sul Pilastro. Lì mi sono reso conto di quanto fosse interessante e mi è subito venuta voglia di farne un documentario. Caso ha voluto che Bruna Gambarelli di Laminarie contattasse poco dopo la casa di produzione con la quale lavoro sempre, la Lab Film di Mauro Bartoli. Così mi sono subito proposto per fare il regista.»
Oltre ai bellissimi materiali d’archivio, il film attraversa i luoghi e i palazzi del rione, avvalendosi dei contributi di studiosi di urbanistica, cittadine e cittadini del rione.
«Bruna e il DOM sono state le corsie preferenziali per entrare in contatto con alcune realtà, poi da lì si è sviluppato il lavoro con un meccanismo anche un po’ a cascata, grazie soprattutto alle interviste e agli archivi di Laminarie, Cineteca, Acer o Biblioteca Spina che mi hanno aperto altre possibilità».
Il primo comitato di quartiere, la realizzazione del Virgolone, le lotte urbanistiche, la prima televisione condominiale italiana, lo sviluppo del tessuto sociale, i tanti problemi e il ruolo della cultura: la storia del rione emerge come una storia non subìta, fatta attivamente dai cittadini, dalla loro ferma volontà di dire la propria sulle trasformazioni del quartiere e da iniziative di comunità come le gite con i vicini di casa e i momenti conviviali nelle aree verdi comuni.
Punto di svolta di questo destino, raccontato anche molto bene nel documentario, fu la variante al piano urbanistico che nella versione originale aveva invece previsto un quartiere-ghetto senza spazi per le relazioni e destinato esclusivamente alle classi più povere della popolazione. Furono proprio i “pionieri”, gente semplice, lavoratori, operai e ferrovieri come Luigi Spina (al quale oggi è dedicata l’omonima biblioteca) che ebbero la lucidità per comprendere le conseguenze di quel tipo di urbanizzazione sulle loro vite e sul futuro, mettendo così in atto un’opposizione trasversale in grado di convincere l’amministrazione dell’epoca a ridisegnare l’impianto dell’area.
«Quella tenacia – continua Beani – ha dato i suoi frutti perché sono moltissime ancora oggi le persone felici di vivere qui. Certo, l’eredità di quel senso civico non so se è una specie di vaccino che durerà per sempre, ma ha funzionato. Tra le tante persone che ho intervistato non tutti hanno ovviamente le stesse idee e, sebbene ci sia anche molta rabbia rispetto a un isolamento mai risolto (vedi anche le ultime notizie sul tram che forse qui non arriverà mai), non ho mai però avvertito rassegnazione. Poi non bisogna dimenticare che il Pilastro è parte del mondo di oggi con i problemi di oggi. Ma c’è ancora un collante sociale che resiste ed è rappresentato da tutte quelle realtà che del terzo settore che si occupano di sopperire alle falle della politica e alle conseguenze di un mondo sempre più individualizzato. E questo è possibile anche grazie a quell’architettura che ha permesso tutte quelle zone in between difficilmente classificabili tra spazi privati e spazi pubblici, ma fondamentali per favorire le relazioni.»
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