“Welcome to Gorla” recita a lettere cubitali bianche il murale su fondo rosso fuoco. 2 Dicembre 2022: è un pomeriggio invernale, grigio e con un certo traffico di auto che scappano dalla città verso nord. Oltre il muro del centro sportivo dove mi dirigo si sente un gran vociare di ragazzi: fanno da contrappunto ai rumori della città che comincia a pensare al week-end, o semplicemente a rifugiarsi a casa al caldo. Non è così per un centinaio di ragazzi e ragazze infreddoliti che scalpitano sulle tribune del Campo Sportivo Cameroni. Intorno, un gran via vai di volontari di No League – il progetto educativo e sportivo promosso dagli educatori e dagli operatori di alcuni Centri di aggregazione giovanili, di alcune comunità per minori e associazioni della città di Milano, coordinato dall’ASD Sportinzona Melina Miele e da Uisp Milano – a tenere a bada le truppe, come in campo a puntellare le reti per il volley e fissare le porte del calcetto.
In questa due giorni di inizio Dicembre, grazie al mentoring di Nike e alla sua continua promozione della partecipazione sportiva a Milano (attraverso Nike Football Community), si organizza un iniziativa sotto forma di maxi-torneo, a supporto non solo della sezione No League di Gorla, ma dei ragazzi e delle ragazze dei principali quartieri di Milano. Quaranta squadre di ragazzi e ragazze dai 6 ai 16 anni si sfideranno a calcio a 5 e pallavolo sul campo in erba sintetica del Cameroni.
«Qui non ci sono ragazzi “sbagliati” o “incapaci” o diversi”».
Protagonista della manifestazione non è l’agonismo, ma il percorso sportivo ed educativo che le squadre affrontano dalla scelta dei componenti, alla modalità di allenamento e alla gestione del gruppo. Il mantra di No League è in linea con la visione inclusiva di Nike e Nike Football Community: entrambi vogliono dimostrare i molti modi in cui lo sport crea il cambiamento, celebrando il viaggio quanto il traguardo, privilegiando il progresso rispetto alla perfezione e facilitando l’accesso allo sport per tutti in città e non solo, coinvolgendo anche coloro che si trovano in condizioni di difficoltà, come rifugiati, immigrati e ragazzi italiani svantaggiati, per aiutarli e integrarli nella società locale attraverso la partecipazione sportiva. Tra il gran trambusto dei ragazzi che infreddoliti attendono di andare a scaldarsi in campo, c’è una breve presentazione degli uomini e delle donne dietro il progetto No League. Vengono da storie e ambiti diversi, accomunati da forte convincimento e tempra.
Avvicino Aurora Cesarano, educatrice e pedagogista, che ha condotto la ricerca qualitativa sulle buone pratiche sportivo-educative del progetto No League e attualmente ricopre il ruolo di responsabile della supervisione metodologica del progetto. «La squadra è una dimensione fondamentale per la crescita, nello sport così come nella vita» dice. «Qui non ci sono ragazzi “sbagliati” o “incapaci” o diversi”, cerchiamo di educare al rispetto reciproco prima delle partite, dove un educatore si mette al centro del cerchio e da il via al gioco. Se le cose dovessero prendere una cattiva piega in campo, l’educatore interrompe la partita e invita i ragazzi a vedere da fuori le cose che non vanno».
Nella metodologia No League è anche previsto un “terzo tempo” come nella tradizione rugbystica anglosassone, ma non inteso come occasione per trangugiare birra fino allo sfinimento. Il terzo tempo di No League cerca di aggregare e comporre i conflitti eventualmente nati sul campo. Dal vincere e perdere al saper vincere e perdere insomma, con il risultato ridotto a dettaglio.
Lo sport insieme ha aiutato non solo a creare amicizie, ma anche a sgretolare barriere linguistiche.
Conosco Cristiano Mancini, papà di due bambini che giocano entrambi nella Società No League Gorla. Ha quasi 43 anni ed allena da ormai 13 anni. È nato qui dietro («A Precotto a dir la verità, area poco più a nord che tradizionalmente è in rivalità con Gorla…») e mi racconta di come il quartiere è cambiato negli ultimi anni. Mi dice che tra le fila dei suoi giovani atleti sono tanti i nuovi rifugiati, come i figli di immigrati, e che lo sport insieme ha aiutato non solo a creare amicizie, ma anche a sgretolare barriere linguistiche e diffidenze reciproche. Ci sono anche delle criticità. «I costi di gestione sono elevati» mi dice, gettando uno sguardo intorno, «pensa che proprio in questo campo era ospitata una società, la Crespi Morbio, che è fallita qualche anno fa, lasciando tanti bambini e ragazzi del quartiere a casa da un giorno all’altro».
Habo Wael è un esempio della bontà del progetto. Ha 25 anni ed è arrivato in Italia all’età di un anno dalla Siria, cresciuto tra le Vie di Gorla: ora è un Direttore Tecnico e allenatore della categoria Under 17. E a vederlo in campo, sembra anche uno che da del tu al pallone. «Qui si celebra il sacrificio, e il divertimento rispetto alla perfezione e alla competizione a tutti costi» dice Paolo Bernasconi, educatore da 17 anni, responsabile educativo dell’ associazione L’amico Charly Onlus e del coordinamento sportivo-educativo cittadino No League. Aaron Paradiso è un altro educatore che si occupa di giovani e periferie attraverso diversi progetti sociali come CAG Parea, oltre che supervisionare la comunicazione di No League. «Condividere lo spogliatoio, gli allenamenti, i momenti di difficoltà come di euforia rappresenta un viatico essenziale per una crescita sana, nello sport come nella vita».
Le voci degli educatori sono sovrastate dal brusio dei ragazzi. Oggi fa freddo, nel campo si corre, si suda e si grida a chiamare l’attenzione di un compagno nel smarcarsi dall’avversario. Una decina di partitelle sono già nel cuore dello svolgimento: chi non gioca è impaziente di dare il cambio ai compagni. Ci si abbraccia e si sorride, c’è chi esulta platealmente al gol come un consumato professionista, chi più timido prende nota.
In un gazebo a bordo campo c’è invece un gran turbinio di matite pennelli, sticker e tubetti di colore: è un workshop per la creazione della nuova divisa del futuro di No League, e a parteciparvi cono decine di bambini. Accompagnati da un team dedicato di Nike, danno tutti sfogo all’immaginazione calcistica, quella per cui tutti ci siamo ritrovati almeno una volta a immaginarci in campo, di fronte alla porta, a far gol di tacco (complice il fantacalcio). I bambini hanno smontato e rimontato altrettante decine di maglie, ipotizzando loghi, colori, composizioni e pattern, tutto seguendo l’idea che qualcuna di quelle nuove divise potrà essere utilizzata nei prossimi match.
Faccio anche una chiacchierata con Valentina Bergamaschi, calciatrice capitano del Milan femminile, ragazza amabile, oltre che dispensatrice di grandi sorrisi. Ma ve ne parlerò tra qualche giorno. Intanto, sia in campo che fuori, qui ne avremo per qualche tempo, giovani e meno giovani venuti a curiosare come me. C’è anche la focaccia e la bibita ad attendere tutti alla fine dei giochi, al caldo del piccolo baretto sociale.