Una città è un corpo, un organismo che si muove e si modifica in modo fluido e complesso. Risponde ai bisogni delle persone che la popolano e viceversa, in un dialogo costante che ne modella i flussi e le forme. Tutto questo dà forma a questo organismo che vibra e che pulsa e che, inevitabilmente, custodisce delle fragilità che lo rendono attaccabile.
la città, a modo suo, sa sempre trovare cellule di ribellione, embrioni di cambiamento e cuori di dissidenza.
Sempre più spesso luoghi come Milano non vengono visti come corpi complessi e stratificati ma come oggetti inermi e sacrificabili a favore di una visione diversa, imposta e non generata. Ci troviamo quindi ad abitare un posto sottoposto a forze esterne che ne impongono la regolamentazione, che manipolano la città in modo artificiale compromettendo quei processi spontanei e generativi che sono insiti della vita e che portano a una frattura incurabile tra la dimensione organica e reale di chi tiene viva la città e se ne prende cura in quanto casa, e un modello urbano artificioso sordo ai bisogni di tuttə.
Ma la città, a modo suo, sa sempre trovare cellule di ribellione, embrioni di cambiamento e cuori di dissidenza. Perché porta nel suo grembo, nelle vene più trascurate, i germogli del cambiamento o, per dirlo con le parole rubate di Giulia Currá, la “zoccola dura” (cit. Zoccole Dure, Venezia), di chi nutre valori, pensiero e relazioni.
In questi moti ondosi che attraversano gli sbalzi ormonali di un città come Milano, abbiamo seguito il lento defluire di energie generative che, in modo spontaneo e non coordinato, hanno trovato dimora nei 200 metri di un’unica via. Una traversa di via Padova nello specifico, all’altezza di Parco Trotter e di Mosso, una via che è un mondo a parte, impenetrabile da qualunque forma di normalizzazione, nel bene e nel male, una piccola vena pulsante che non si arrende alla normalità e si inietta dosi di resistenza.
Forse è questo frullio innato che ha attirato, nel giro di poco tempo e a insaputa le une delle altre, tre realtà di Milano tra le più resistenti, dissidenti e accoglienti che la città ha imparato a conoscere. Sto parlando della nuova sede di Casa Cicca Museum al civico 11, alla futura sede del quartier generale di SPRINT al numero 14 e il nuovo covo di Archive Books al civico 15.
luoghi di cura e accoglienza, che non si fanno belli ma si fanno sinceri.
Tre progetti che lavorano in una dimensione culturale generativa e sperimentale da tanti anni e che hanno scelto via Arquà come luogo in cui dare vita alla forme del loro futuro. Una via non qualunque di Milano, ma 200 metri complessi che hanno da sempre e molto spesso fatto parlare di sé per eventi difficili. Non ci si arriva a cuor leggero su quei marciapiedi, perché gli sguardi non scorrono lisci ma le persone si studiano, si osservano e ti senti preda o predatore senza capire come. Tensioni che strabordano dai portoni e si riversano per strada, portando alla luce gli umori più scuri di una città, che solitamente scorrono sotterranei. Via Arquà è uno sfiatatoio, troppo sincera per essere reale, non mente su niente e racconta la vita esattamente per quella che è, con durezza. E forse è anche per questo che accanto a zone così nascono luoghi di cura e accoglienza, che non si fanno belli ma si fanno sinceri e attirano persone che della vita non vogliono solo la superficie e che vedono nelle zone di intercapedine, negli angoli indefiniti e bui, dei margini di possibilità, di crescita e di nuovi modi di stare al mondo. Siamo andati a farci raccontare chi ha deciso di affondare in tutto questo con consapevolezza, forza e bellezza, non per cambiare un posto ma per esserne parte in modo diverso.
Casa Cicca Museum, fondata da Giulia Currà nel 2012, ha l’anima itinerante: questa infatti è, per natura del progetto, la sua terza sede. Perché lei arriva, apre porte, muri e cuori, rivolta anime e calzini e poi parte, lascia quel pezzo di mondo diverso, lo lascia a chi lo vuole rendere casa e si incammina verso nuove tane. Infatti adora gli anfratti, sposa e alimenta il valore delle macchie e del nero nelle superfici e nelle città. Quel disordine nutriente in cui tuttə possono trovare il proprio spazio e la propria forma. Una sorta di cubo magico, perché la nuova casetta ha questa forma, che si sviluppa con una simmetria interna per poi aprirsi su un tetto piatto, un palcoscenico al centro di tutti i palazzi che le svettano intorno. Un luogo che trasmette condivisione. Attorno a questi valori si sviluppa il nuovo capitolo di Casa Cicca Museum, sempre più determinata a investire su tutto quello che Milano si rifiuta sempre più di vedere e volere: una casa museo aperta e ospitale, dove le differenze diventano generative e dove poter davvero trovare quello di cui si ha bisogno, anche solo un angolo sicuro o un momento di sospensione dal mondo. Le sue stanze tornano a popolarsi di libri con cui studiare (su appuntamento) di opere d’arte lasciate dai vari momenti di scambio e la cura di incontri e pratiche, senza ansie da prestazione ma con tanta ricerca e qualità. E anche tanti errori: Casa Cicca Museum vuole essere il posto in cui si può sbagliare, privilegio ormai così raro ma meccanismo fondamentale per crescere e cambiare. Un luogo di cura insomma, dedicato ai molteplici linguaggi della sensibilità, del corpo e delle arti.
SPRINT ormai è un punto di riferimento in città per l’editoria indipendente e d’artista. Aspettiamo la fiera con trepidazione con la certezza di lasciarci occhi, cuore e portafoglio, perché la selezione di nuove generazioni di editori indipendenti e di ricerca è sempre di qualità. Ma SPRINT non è e non è mai stata solo una fiera, è un progetto che si dirama e evolve costantemente, capace di adattarsi al contesto senza tradire i suoi valori. Il nuovo spazio sarà l’head quarter di SPRINT e si chiamerà GALATTICA, come i suoi suggestivi pavimenti hanno suggerito alle fondatrici: mappe interstellari nelle quali perdersi, ognuna incorniciata in un possibile quadrante di multiverso ipnotico. Al suo interno man mano troveremo (stanno posando gli ultimi storici mattoni): parte dell’archivio e della nuova associazione non profit che parteciperà alla realizzazione di tutti i suoi progetti (nominata appunto GALATTICA), insieme alla storica associazione non profit O’ diretta da Sara Serighelli. In oltre sarà allestito il laboratorio di stampa eco-friendly The Riso Club – che promuove l’annuale workshop di Risogrpah (nei giorni dell’Art Book Fair) – con il quale attiveranno piccole residenze per produrre edizioni d’artista e altro. Lo spazio sarà il più versatile possibile per poter ospitare piccoli incontri, momenti informali di scambio e qualsiasi altro movimento si innesti nel percorso, nell’energetico e costante tentativo di aprire più dialoghi possibili con altri luoghi e universi.
Archive Books è una di quelle realtà che a Milano c’è sempre stata a saltelli. Saltellando prima tra Berlino e Milano, poi tra Berlino Milano e il Senegal. S’è insomma soffermata di tanto in tanto nella nostra città: la prima volta era in quel di Dergano, tanti anni fa, e proprio nei luoghi dove poi nacque Standards. Passò poi del tempo, e due anni fa si prese uno spazio in Tertulliano. Spazio che a dirla tutta ebbe durata breve – e che vide la prima organizzazione del Blackness Festival – ed eccoci a oggi in Arquà.
Occorrerebbe poi dire delle varie fiere dell’editoria indipendente a cui parteciparono, dei libri d’arte, d’artista e di critica politica, magari citare quello splendido volume che è Fight-Specific Isola. Arte Architettura, Attivismo e il Futuro della Città (del 2013), che già dal titolo mette in chiaro un’inclinazione espressiva e di ricerca nonché di quelle affezioni alla militanza e alla sovversione poetica, con tutte le sue discorsività contigue, che sono a tutti gli effetti l’animo di Archive. Si capirà dal nome che Archive ha una precisa idea di che cosa sia l’archivio, tra luoghi e territori fisici, istituzioni e dispositivi di raccolta dati (come i libri), ed è qui che l’idea d’essere un publisher (termine con accezioni molto diverse da editore) prende la sua valenza politica: mettere assieme persone, collettivi, comunità e scene capaci di costruire assieme modelli narrativi ed estetici – e quindi politici – per riassestare altrimenti i modelli egemonici, quelli insomma che son dati per scontati. Metodo e attitudine che si chiariscono guardando ai reticoli culturali e alle pratiche territoriali che Archive ha costruito e sostenuto negli anni, tra Berlino, Cairo, Dakar, Londra, Marrakech, Milano, New York, Tunisi… è in questo senso che va pensato l’Archive Site di via Arquà (il terzo dopo Berlino e Dakar): uno spazio deputato al confronto, con dialoghi, dibattiti, presentazioni e mostre. A tutti gli effetti una casa (lo spazio in questione era un appartamento) per accogliere una pluralità di voci e costruire quei libri, quei dispositivi di conoscenza e d’azione, con cui Archive ha costruito da più di una decade una riflessione e una postura poetica e politica.
200 metri che stanno provando a non mentire e a non ricoprirsi di una patina scintillante. Ma che in modo più o meno consapevole si sono fatti casa di realtà pronte a metterci cuore e pensiero, insieme a chi, lì accanto, sta lavorando da tempo: Parco Trotter e Mosso. Arrivare fin là è facile ma vi auguriamo di farlo per scelta, anche se scellerata, perché c’è molto di cui prendersi cura e non parlo del contesto ma di se stessi. Scegliere di partecipare alla vita che questi luoghi attivano e attiveranno, vuol dire scegliere, anche solo un pochino, di stare al mondo in modo diverso: ovvero rimescolando la propria scala di valori e di visioni. Buona lotta.