Nei film sofisticati, intellettuali e pretenziosi, questo argomento verrebbe declinato in maniera da far emergere l’alienazione individuale e la crisi dei valori dell’uomo moderno. Mi vengono in mente i film scandinavi, per esempio, dove all’inquadratura sulla tavola del Natale seguirebbe quella in bagno di una giovane figlia che vive segretamente qualche dramma, tra recriminazioni familiari, conflitti generazionali, complesse interazioni genitori-figli. Non sono di certo io a consacrare il momento del pranzo natalizio a Gran Gala del genere umano, colonne d’Ercole del teatrino familiare che il 25 dicembre ha la sua prima.
Tutti ben vestiti, inamidati e pettinati prendiamo posto – solitamente lo stesso da anni – a tavola. Mio fratello puntuale mi scrive: “Sei pronta a mettere a frutto i principi zen che stai acquisendo a yoga? Il Natale si avvicina”. Proprio a questa tavola arrivano le domande più inopportune: orientamento sessuale, dubbi sulle nostre scelte lavorative, si mette in crisi la nostra vita sentimentale, ci viene chiesto il perché si è single, atei, rastafariani, senza figli, anarchici, anacronistici. Ma quale film scandinavo, il nostro piano sequenza parla la lingua di Verdone e Pieraccioni, una specie di dramma comico in cui tutti siamo protagonisti.
Nessun dissidio, però, è talmente forte da far passare in secondo piano quello che realmente ci unisce in questa occasione, nel bene e nel male, nel dolore e nella malattia. La cosa più bella delle tavole del Natale è il cibo del Natale. Non c’è figlio prodigo che tenga di fronte a quintalate di tortellini, litrate di brodo, frutta secca, panettoni e spumante. Sulle tavole del Natale milanese la questione non cambia. Ho chiesto a tre famiglie – famiglie in maniera diversa – come organizzano la loro tavola, cosa mangiano, chi cucina e come.
Il suo pranzo prende forma: tortellini bolognesi che gli regalano i vicini e poi cappone lesso.
La mia vicina di casa si chiama Mariuccia, la sua famiglia è composta da lei e Camilla, un persiano di 14 anni. A 83 non riesce più a muoversi, non esce di casa, ma ai fornelli non smette di stare, soprattutto a Natale. Cucina solo per lei, e Camilla ovviamente. Non ha figli, nipoti, vedova, ogni tanto la viene a trovare una cognata. Ma non a Natale. Sembra non prestare peso alla cosa, sta bene, e non per questo rinuncia ai piaceri di questa giornata. Mette la tovaglia rossa, i piatti buoni, non beve vino, ma un po’ di Coca Cola. La sera prima fa il brodo, ma nonostante sia di origine piemontese usa solo il cappone. Il suo pranzo prende forma: tortellini bolognesi che gli regalano i vicini e poi cappone lesso. Il panettone non lo mangia, fa una torta di mele che ogni tanto regala anche a me.
Lucia e Marco hanno 37 anni, lei maestra lui ingegnere, crescono a Nolo Silvia, la loro bambina di 7 anni. Vivono qui prima della gentrificazione, prima dei baretti hipster, prima di tutto. Sono nati e cresciuti qui. Il loro pranzo di Natale segue alla lettera la tradizione e non salta una portata dall’antipasto al dolce. Lucia mi dice che non ha troppo tempo per cucinare, che la suocera (questo non lo scrivere, mi suggerisce) non l’aiuta più di tanto, quindi lei va in gastronomia, per lo più. Nervetti, insalata russa, salame e formaggi vari. Poi segue il brodo – non si discute – l’unica cosa che fa la suocera, con cui serve i ravioli di carne che compra al pastificio sotto casa. Si continua con pollo arrosto e patate, sempre in gastronomia. Sul vino Marco non transige: solo vini rossi lombardi, dal bonarda al Franciacorta per il brindisi. Si spende una fortuna per questo benedetto pranzo.
Nervetti, insalata russa, salame e formaggi vari. Poi segue il brodo, non si discute.
Luca e Matteo stanno insieme da una vita. Originari del sud, vivono a Milano da sempre. Il loro pranzo di Natale è insieme agli amici, non hanno molti contatti con i propri parenti. Di solito si riuniscono a casa di qualcuno, un anno da loro – in Porta Romana – un anno da altre coppie. Nessuno ha figli, meglio così mi dicono, almeno non c’è da preparare il tavolo a parte per loro o un menu diverso. Passano sempre le vacanze in Tunisia, a casa di Matteo, e questo influisce sulle scelte gastronomiche del Natale. Ah dimenticavo, sono anche vegetariani. Unica regola: ognuno porta qualcosa, quindi alla fine il 25 dicembre diventa più simile a una scampagnata che a un vero e proprio pranzo. Torte rustische, formaggi, tajine con verdure, falafel, qualche nota dissidente come lasagna vegetariana, sformato di patate, panettone mai pandoro. Mi raccontano ridendo che l’anno scorso qualcuno con grande coraggio si presentò con il sushi. Non sono più amici. Si mangia rigorosamente in piedi, sottofondo immancabile Mamma ho perso l’aereo. Li capisco. A parte il brindisi con spumante, gettonatissima è la sangria di Luca a cui segue mojito e cocktail a caso. Vorrei farmi invitare.
Per farla breve. Che sia scarna, rossa, oro, che voi usiate piatti di carta o di porcellana cinese, che siate single, con il vostro gatto, insieme da una vita o con figli al seguito poco importa: questo è il momento più importante dell’anno per abbuffate epiche, litigi clamorosi o pacificazioni incredibili. Ognuno con le proprie regole e tradizioni che non si discutono. Buon Natale bestie.
Per tutti gli altri ci vediamo qui.
Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2019-12-16