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APE

Vita storia e miracoli della festa al parco per antonomasia

Written by Aurora Ruggeri il 18 May 2023
Aggiornato il 24 May 2023

Photo ICTM, Marta Marinotti, Federico Floriani

Siamo a undici anni di attività. Se non l’avete mai sentita o vissuta non siete mai stati a Milano. Anche il nome è eminentemente milanese. Nata come un “ape” al parco e cresciuta come un festone che affronta indomito pioggia, fanghiglia e migliaia di partecipanti, che sia nelle fresche fronde di Parco Sempione o sotto al medio di Piazza Affari,  APE è ormai uno dei punti fermi della città. Ce l’hanno raccontato Orsola, Antonio e Giorgia – alcuni del gruppo – sotto le tende del Bar Canonica.

 

Chi sta a Milano sarà capitato almeno una volta alle vostre serate – magari per sbaglio, sospinto dagli echi di musica in lontananza; ma raccontateci meglio questa realtà: cos’è APE? Com’è nata? Quando?

Orsola: APE è un’associazione culturale nata da una festa al parco organizzata da un gruppo di amici circa 11 anni fa. Non avevamo grandi pretese, eppure quella sera si sono presentate 400 persone. L’evento aveva attirato l’attenzione del Municipio I che in quegli anni stava cercando di promuovere la decentralizzazione della cosiddetta “movida” dai Navigli ad alcune zone dell’ipercentro da valorizzare.
Antonio: Con il sostegno del Comune abbiamo esplorato una serie di altre location, e ci siamo confrontati spesso con format e contest, a volte ai limiti dell’assurdo. Ricordo per esempio in Piazza Gramsci, per un evento benefico dopo il terremoto del 2012, dove (nonostante l’occasione poco felice) c’era uno stand del Parmigiano Reggiano che svendeva i pezzi di formaggio danneggiati, che avevano ormai perso il valore originario. Dopo vari spostamenti, siamo approdati a Piazza Affari e Parco Sempione, a cui siamo ormai particolarmente affezionati.

Come si è evoluta APE nel tempo?

Antonio: Chiaramente al principio gli eventi erano organizzati in modo più amatoriale. Volevamo che le feste riuscissero bene, ma non ci ponevamo il problema di renderlo sostenibile nel lungo periodo. Anche adesso in realtà non è il nostro unico lavoro, eppure richiede inevitabilmente un impegno maggiore sia per il numero delle date che per le occasioni di collaborazione o coproduzione, oltre alla dimensione che ha raggiunto.
Orsola: Ci occupiamo ancora noi di ogni aspetto legato alla produzione, alla gestione e alla creazione dei contenuti e siamo sempre noi a servire gli APE ma siamo molto più strutturate internamente, tra consiglio direttivo, collaboratori e fornitori regolari – tra cui citiamo La Buttiga. Le persone coinvolte sono davvero tantissime, il giro di amici iniziale si è allargato velocemente perché ognuno ha tirato in mezzo un sacco di altra gente in una dimensione molto milanese.

Ciascuno di voi fa tante altre cose oltre a seguire l’associazione, come ha influito questo nella vostra collaborazione? Che sinergie si sono create?

Orsola: Sì, ciascuno di noi ha altri progetti oltre ad APE, ma tutto ciò che facciamo è comunque collaterale. Le nostre competenze sono le stesse che vengono messe in gioco in vari contesti. Sicuramente questo ha facilitato la divisione di ruoli tra di noi e ha permesso la creazione di una realtà che fosse sempre aperta a stimoli esterni e non chiusa su stessa, stagnante.

Come selezionate la musica che riempie l’atmosfera dei vostri eventi?

Antonio: Della direzione artistica ci occupiamo io e Nicolò. La programmazione è sempre stata molto varia, e questo grazie al pubblico, che è tanto affezionato al format che proponiamo da darci modo di proporre generi sempre diversi senza snaturare l’evento. Nel tempo comunque abbiamo capito cosa funziona e cosa meno: act particolarmente sperimentali, pensati per una dimensione di ascolto, non sono adatti da proporre in un contesto che è principalmente danzereccio (Piazza Affari e Parco Sempione hanno mood molto diversi). Inoltre, se agli esordi, sia per le possibilità che per il gusto, coinvolgevamo progetti emergenti e local, adesso cerchiamo di proporre cose non necessariamente famose ma quantomeno consolidate.
In ogni caso, ci è sempre piaciuto affiancare a proposte locali progetti internazionali così come combinare dj set con live show. È pazzesco pensare a quanti artisti e artiste si sono esibiti ad APE e quanti tra questi siamo riusciti ad intercettare prima che esplodessero. Mi viene in mente Frah Quintale che ha suonato da noi nel 2017, qualche mese prima del suo enorme successo con il disco “Regardez-Moi”. Di recente è capitato con Sethu, che era in gara a San Remo.

Alle vostre serate però non c’è solo musica, ma una serie di realtà collaterali con cui si crea aggregazione; chi vi piace coinvolgere di solito?

Orsola: Il processo graduale con cui si è affermata APE ci ha permesso di conoscere e coinvolgere tante realtà, intessendo a volte rapporti duraturi. Abbiamo sempre cercato di creare degli eventi che andassero oltre alla musica e al bar, assecondando gli interessi e le proposte di ciascuno di noi. Dalla piccola azienda che produceva cracker con farina di grilli – che erano anche buoni tra l’altro! – allo stand con il CBD. Dalla mostra con opere ricavate da materiali di recupero alla possibilità di sistemare la propria bicicletta alla postazione di Ciclofficina.
Giorgia: Ci è sempre piaciuto sperimentare, coinvolgendo progetti che promuovono ideali affini ai nostri e che portino contenuti in realtà estremamente trasversali. Per esempio, è capitato a tutti gli APE nel Parco 2022 ci fosse la Croce Rossa con la campagna di sensibilizzazione e prevenzione del virus Hiv, per cui tra l’altro si poteva fare il test direttamente lì.

Dal 2012 avete intercettato diverse generazioni, cosa vi sembra cambiato nelle folle che si accalcano sotto cassa?

Antonio: La gente che veniva agli APE all’inizio, i nostri amici, ora hanno dei figli. Noi ci ostiniamo a non averli [ndr. ridono] ma sicuramente la cosa che è cambiata è che ci rivolgiamo ad un pubblico, oltre che sempre più ampio, sempre più diverso da noi.
Giorgia: La folla maggiore resta quella degli universitari di cui c’è un costante riciclo. La sfida è quella di rinnovarsi periodicamente rimanendo comunque fedeli alla natura del format.

Durante le ultime edizioni avete scelto vari luoghi sparsi per la città, ma siete sempre tornati “a casa”; quale legame avete con il piazzale dell’Arena Civica, che diventa spesso il dancefloor delle vostre feste?

Giorgia: Il Parco rappresenta la dimensione più bucolica e rilassata di Milano, al contrario di Piazza Affari dove i ritmi sono diversi se non addirittura opposti. Spesso tra di noi discutiamo su quale preferiamo delle due. Quest’anno si aggiungerà anche il Cavalcavia Bussa che forse potrebbe rappresentare un ponte di incontro.
Orsola: Ci sono tante situazioni in cui veniamo identificati con Parco Sempione, per cui capita di frequente che altre associazioni o iniziative si rivolgano a noi per l’organizzazione di eventi qui sapendo della nostra esperienza. L’anno scorso, per esempio, FIDAL ci ha chiesto di gestire la parte festiva dei campionati di atletica leggera avvenuti a Milano. È stato interessante vedere un nuovo target: gli sportivi, totalmente avversi a qualsiasi tipo di servizio bar. [ndr. ridono]

Come lo avete visto cambiare nel tempo? E ciò che lo circonda?

Antonio: Più che il luogo in sé, ne è cambiata sicuramente la fruizione. Quando abbiamo realizzato i primi eventi qui, non esisteva nulla di simile che permettesse di godere gratuitamente di musica in una situazione informale. L’unica cosa che accadeva era forse il Milano Film Festival, che tra l’altro adesso si è spostato altrove. Negli anni più recenti, invece, il Parco ospita una serie di altre iniziative, come Piano City o la Design Week. In generale è una zona molto più viva, ci sono un sacco di locali nuovi estremamente frequentati.

Se doveste sceglierne uno, qual è stato il vostro APE preferito?

Orsola: Il mio preferito è stato quello del diluvio universale in Piazza Affari. Era finito il live e Tamati aveva appena attaccato con il suo set, quando ha iniziato a piovere fortissimo. Abbiamo spostato la consolle sotto ai portici, dove lui ha continuato a suonare, mentre noi cercavamo di coprire le strutture del bar prima che si allagasse tutto, compreso il quadro elettrico che giaceva ormai in una pozzanghera. Nel delirio, è stato bellissimo: un centinaio di persone sono rimaste a ballare con noi sotto il temporale, fradice ma felicissime.
Per come siamo strutturati adesso se è previsto brutto tempo cancelliamo l’evento, ma quando la produzione era più ridotta ce la rischiavamo, non senza interpellare amici velisti e esperti di meteo. Negli anni ci siamo presi parecchie secchiate d’acqua, tra cui una storica in Sempione la sera in cui l’Italia aveva anche perso la partita dei Mondiali. Eravamo circa in 3 a quella festa, e stavamo guardando la partita anche noi tra l’altro.
Antonio: Un APE al Parco che ricordo bene è quello in cui ha suonato DJ Boring: il primo artista che ha portato con sé un sacco di pubblico – che non aveva idea di cosa fosse APE –, e si è creata una situazione un po’ delirante (c’era addirittura gente con i fumogeni). È stato interessante osservare anche questo tipo di dinamica.
Giorgia: In verità ogni APE è speciale e, anche se io sto sempre dietro al bancone, la cosa più bella è “la caciara” che si crea tra di noi. Poi c’è il grande momento del panino post-smontaggio, di cui ormai siamo esperti: li conosciamo tutti, almeno tutti quelli che rimangono aperti fino a notte fonda. Andavamo sempre al Drago Verde fino a che uno di noi – non faremo nomi – gli ha spaccato una vetrina con una testata maldestra.