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Milano Musica: Cecilia Balestra

Ascoltare la contemporanea in modo nuovo e critico. Allontanarsi da abitudini e pregiudizi: la missione del Festival Milano Musica, ancora dopo 28 edizioni

Written by Chiara Colli il 30 September 2019
Aggiornato il 1 October 2019

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Milano

Attività

Direttore artistico

Un festival che incrocia visioni e pubblici diversi. E che alza l’asticella del rischio, puntando a coinvolgere i giovani, con una “missione” che è culturale ancor prima che musicale. Milano Musica torna per la ventottesima edizione con un ricco programma dedicato al compositore milanese – di nascita e formazione – Luca Francesconi; un’edizione che si estende per un periodo quasi doppio rispetto al solito, «perché ci sono tanti ospiti internazionali ma anche realtà cittadine, perché in questo modo consentiamo una partecipazione più continuativa al pubblico». Un festival diffuso in diverse location, quest’anno anche con Santeria Toscana 31 e il Teatro Franco Parenti «spazi che riflettono la libertà di Francesconi, influenzato da giovane dal suono del jazz, del pop e del rock». Della storia di Milano Musica, delle sue linee guida, delle novità di questa edizione, del pubblico della contemporanea a Milano ma anche delle connessioni tra Francesconi con il maestro Stockhausen ne parliamo con la sua direttrice e anima illuminata, Cecilia Balestra.

 

Ormai da anni sei direttrice del più importante e coraggioso festival di musica contemporanea a Milano e in Italia. Come è iniziata la tua passione per la musica, c'è stata una folgorazione o è stato un processo più lento? Ci racconti anche i momenti chiave della tua formazione?

Dalla prima elementare e, per molti anni, ho frequentato corsi di danza classica. Ero piuttosto goffa, ma mi piaceva terribilmente… Se ero malata sapevo che così avevo il tempo di ascoltare musica, quindi ho un buon ricordo delle normali malattie infantili. La prima volta a teatro è stata per l'”Otello” al Regio di Parma: avevo dodici anni e Pietro Barilla aveva invitato tra gli altri anche mio nonno. Una folgorazione. Decisive per la mia formazione sono state le estati passate alla scuola di vela dei Glénans, nell’omonimo splendido arcipelago bretone, prima a imparare e poi a insegnare, in particolare sulle derive. Cosa c’entra il mare con la musica? Molto… Avevo sognato di fare il guardiano del faro, così mi sarebbero bastati un pianoforte e uno stereo. Certamente mi stavo sopravvalutando! Mi sono laureata in Filosofia a Milano, con una tesi in Estetica con Elio Franzini su Jean-Philippe Rameau e negli anni di università, e anche successivamente, partecipavo al Seminario di Filosofia della musica di Giovanni Piana e frequentavo spesso anche il Festival Milano Musica. Poi ho frequentato il corso per operatori dello spettacolo della Scuola d’Arte Drammatica P. Grassi, sulla cui influenza basti dire che dal 2002 non ho smesso di insegnare in questa scuola.

Hai iniziato a lavorare per Milano Musica con Luciana Pestalozza, sorella di Claudio Abbado, fondatrice del Festival, ma soprattutto figura che ha lasciato una profonda eredità culturale “illuminata” a Milano. Quali insegnamenti ed esempio hai ricevuto da lei e quali senti sia il lascito più importante della sua esperienza?

Luciana Pestalozza mi aveva detto «Bisogna chiedersi per quale ragione si decide di organizzare un festival di musica contemporanea. La risposta più ovvia è che si ha fiducia». La sua personalità è un grande esempio di amore per la creazione e di volontà di far conoscere, con il coraggio di confrontarsi con il nuovo e anche l’entusiasmo di vivere il momento del concerto e quindi dell’ascolto in prima esecuzione con una curiosità inesauribile, estremamente vitale.

Milano Musica 2016 @ HangarBicocca © Margherita Busacca
Milano Musica 2016 © Margherita Busacca

Ci sono dei luoghi, delle esperienze legate a Milano che sono state d’ispirazione e formative per arrivare alla “missione” con Milano Musica?

Ho iniziato a lavorare alla Società del Quartetto. Il presidente era Antonio Magnocavallo, dal quale ho ricevuto grandi insegnamenti. Mi era stato affidato il coordinamento di Musica e Poesia a S. Maurizio, la storica rassegna di musica antica: che stupore aprire le porte del Coro ogni primavera e autunno, che racconti di libertà quelli di Sandro Boccardi. Negli stessi anni era in corso il progetto di esecuzione integrale delle Cantate di Bach, una programmazione decennale curata da Maria Majno… chi avrebbe oggi il coraggio di portare avanti un impegno così al futuro e ad un livello artistico così alto?

Milano Musica è un festival dedicato alla musica del Novecento, tendenzialmente la più trascurata in ambito “colto”. Ma al di là della scelta ogni anno di un compositore e delle specifiche chiavi di lettura dei repertori e delle varie edizioni, quale credi sia la missione, il senso “culturale” e non esclusivamente “musicale” del festival?

Sono felice che il senso culturale e il desiderio di rivolgerci a un pubblico diversificato appaiano con tanta evidenza. Ci interessa cogliere, del fatto culturale, ciò che riguarda direttamente le persone. Persone attente e disposte ad ascoltare il nuovo, l’inconsueto, non necessariamente gli specialisti. E dunque ci interessano gli autori che, in qualche modo, sanno raggiungere chi ascolta. A questo scopo, la proposta trasversale risulta molto efficace. Perché, ad esempio, accostare una musica di oggi a una del passato rivela valori dell’una e dell’altra che, senza un confronto così diretto, rimarrebbero nascosti. Ci sono autori e musiche che fanno ascoltare il mondo in modo totalmente nuovo e anche critico, che ci allontanano da abitudini e pregiudizi: è la società civile che si ritrova e si interroga in un festival. Le domande sono poste dalla musica. «Ma dove è il pericolo, cresce anche ciò che salva», disse il poeta tedesco Friedrich Hölderlin: crediamo che un certo rischio sia una necessità strutturale e il rischio è sottostimare il pubblico. Ci sono scelte che permettono di intercettare orecchie curiose – ovunque si trovino e con differenti esperienze e storie pregresse – che sappiano provare meraviglia. La musica nasce dal silenzio e chiede attenzione, tensione di ascolto: in questo mondo frenetico, l’attenzione rimane una sorta di “preghiera naturale”. La scelta delle sedi è cruciale: occorre “pensare” lo spazio all’interno del quale presentare un programma, mettendolo in relazione con la dimensione di ascolto e d’immaginario che quelle determinate musiche chiedono. La Sala delle Cariatidi di Palazzo Reale è stata perfetta, nei suoi infiniti riverberi, per l’integrale dell’opera per flauto solo di Salvatore Sciarrino… Così come l’Alcatraz per “An Index of Metals” di Fausto Romitelli e il Pirelli HangarBicocca per “Le Noir de l’Etoile” di Gérard Grisey. Non sempre si raggiunge l’ideale ma, senz’altro, le sedi rendono leggibili i programmi e portano il coinvolgimento di pubblici e diversi.

 

 

Che tipo di rapporto credi che Milano Musica abbia instaurato con la città?

Siamo molto grati al pubblico di Milano Musica, è la nostra forza. Gli artisti ospiti rimango stupiti per l’attenzione, per la partecipazione dei giovani, per la capacità di ascolto. Ma del resto la vitalità e il piacere del confronto e della discussione sul nuovo sono energie che non potrebbero esistere senza un’ampia programmazione e altri protagonisti del contemporaneo a Milano. Il Conservatorio, gli ensemble stabili con le proprie stagioni compongono un tessuto culturale e civile molto articolato che determina quindi la differenza tra un ascolto passivo/abitudinario e il desiderio di assistere o partecipare a qualcosa di diverso dal repertorio ormai consolidato. E ciò incide anche sull’ascolto e la conoscenza del grandissimo repertorio del passato, che mantiene la sua vitalità nel presente.

Quali sono le linee guida generali per la scelta del compositore e del programma da proporre ogni anno?

Insieme a Marco Mazzolini, consulente artistico di Milano Musica, e al Comitato artistico, amiamo dare spazio a compositori che abbiano radicalità e originalità di scrittura, artisti il cui immaginario sonoro presupponga e cerchi la dimensione percettiva, anche se con risultati molto diversi fra loro in termini stilistici. Sono compositori che sanno coniugare l’attenzione al dato percettivo con una grande ricchezza di pensiero, e che quindi risvegliano in chi ascolta un’attitudine attiva, un’empatia del corpo e dell’intelletto.

 

Luca Francesconi ©Matteo Zangrandi
Luca Francesconi ©Matteo Zangrandi

 

E quindi: perché la scelta di Luca Francesconi? Sicuramente è tra i più giovani compositori che sono stati protagonisti del festival negli ultimi anni, il più propriamente “contemporaneo”, peraltro con influenze nella formazione che escono decisamente dal seminato “classico” ...

Francesconi è un autore che tenta di costruire con l’ascoltatore la relazione di cui sopra. E la ripresa scaligera di “Quartett” è l’occasione perfetta per dedicare il festival a Luca Francesconi, compositore milanese da sempre vicino a Milano Musica. Nel 2011, in occasione della prima assoluta di “Quartett” di Luca Francesconi al Teatro alla Scala, con Luciana Pestalozza sognavamo di programmare, in alcuni concerti monografici, un saluto di benvenuto alla nuova opera. A Milano, una grande monografia è oggi possibile grazie alla forte alleanza con il Teatro alla Scala, già consolidata con le prime di “Ti vedo, ti sento, mi perdo” di Salvatore Sciarrino nel 2017 e con “Fin de partie” di György Kurtág lo scorso anno. “Quartett” è stato un caso abbastanza unico, perché è un’ opera che ha avuto un successo mondiale – settantasei rappresentazioni dal 2011 a oggi, sette diversi allestimenti, sarà poi a Berlino – ed è un luminoso esempio di come il sostegno alla creazione in pochi anni possa consolidare e rinnovare il repertorio.

 

 

Ci parli del claim di questa edizione, “Velocità del tempo”? Al di là dell'ovvia pertinenza del concetto di tempo in relazione alla musica, è anche una riflessione sull'epoca che stiamo vivendo? Ci sono delle connessioni che prescindono la musica e ampliano la visione della rassegna, andando oltre il puro suono e veicolando altre istanze socio-culturali?

«Esiste un tempo circolare, che torna su se stesso, e un tempo della freccia, della trasformazione di un oggetto da A a B. […] Queste idee di tempo convivono in ciascuno di noi… L’arte è reinvenzione continua della memoria collettiva», dice Luca Francesconi: la velocità del tempo è un nodo centrale della sua riflessione musicale. Costante è la sua ricerca di un orizzonte politico-culturale ampio in cui contestualizzare il fatto creativo, con consapevole spirito critico rispetto a ogni visione standardizzata o accademica. Abbiamo inaugurato il Festival 2015 intitolato “Bruno Maderna. L’umanesimo possibile” con “Fresco” di Francesconi, brano per cinque complessi bandistici itineranti che sono confluiti nella Galleria Vittorio Emanuele, immediatamente prima del concerto inaugurale con la Filarmonica al Teatro alla Scala. L’idea in quel caso era mostrare come non esista “un basso e un alto” ma come la vicinanza di ascolto, la meraviglia e la partecipazione civica possano convergere nell’eccellenza artistica. Ci interroghiamo sempre sui significati socio-culturali dei nostri programmi e con esiti diversi. La domanda troverà nuove risposte nel 2020, con il Festival Milano Musica dedicato a Luigi Nono, sulla scia delle sollecitazioni provenienti da “Intolleranza 1960”, azione scenica in due tempi in programma al Teatro alla Scala. Ci saranno forti riscontri nella società odierna e nella costruttiva necessità di apertura, perché per tutta una vita il compositore veneziano ha lavorato per un rinnovamento del linguaggio musicale, un tentativo politico di dare voce autentica a questa istanza etica fondamentale.

Altra novità di quest'anno: il festival dura quasi il doppio. Da cosa è stata mossa questa scelta?

La scelta è dettata dal programma: da una parte abbiamo invitato interpreti internazionali e dall’altra abbiamo coinvolto gruppi o realtà milanesi profondamente legati, da un punto di vista umano e artistico, a Luca Francesconi, come AGON e Sentieri Selvaggi, in appuntamenti di evidente rilevanza. Questa scelta guarda anche alle esigenze del pubblico cittadino, perché avere allungato l’arco del Festival consente una partecipazione più continuativa.

Quest'anno gli spazi “spiazzano”, Milano Musica è un festival sempre più “diffuso”. Con l'Hangar avevate già ampiamente collaborato, ma si aggiungono il Teatro Franco Parenti e Santeria Toscana 31, luoghi più “pop” e anche più giovani. Il senso, il rischio e la propositività di queste scelte?

La scelta dello spazio esecutivo è cruciale per due motivi. Anzitutto perché è il luogo della manifestazione fisica del suono: deve rispettare e aiutare le forme sonore e chi le ascolta. E poi anche perché uno spazio non è mai un contenitore neutro: è un crocevia di esperienze, già di per sé denso di significati. L’interazione fra queste due dimensioni, se opportunamente gestita, può moltiplicare enormemente le prospettive dell’ascolto: ed è appunto questo che ci interessa. Quest’anno, il Santeria Toscana 31 e il Teatro Franco Parenti riflettono in un certo senso anche la libertà di Francesconi, influenzato da giovane dal suono del jazz, del pop e del rock, da Miles Davis a Jimi Hendrix, da Frank Zappa a Jim Morrison.

 

 

Uno dei focus è su Stockhausen, pilastro (in)discusso della contemporanea e di tanta “altra” musica del Novecento. Che significato ha per Milano Musica questo compositore?

Una delle missioni di Milano Musica è presentare grandi opere del XX secolo e sostenerne la diffusione dal vivo. Stockhausen è uno dei compositori che maggiormente hanno indagato la dimensione del tempo musicale, anche su un piano teorico. E inoltre Francesconi ha studiato, fra gli altri, anche con lui. La “Terza Regione” di “Hymnen”, musica elettronica e concreta con orchestra, è un capolavoro che può coinvolgere tanti giovani nella necessaria esperienza di ascolto dal vivo. Secondo modalità di lavoro auspicate dallo stesso Stockhausen, i giovani musicisti del Conservatorio hanno intrapreso un percorso didattico con Pedro Amaral fin dall’inizio dell’anno. L’elettronica è centrale: con “Oktophonie” in coproduzione con San Fedele Musica, e con alcuni brani dal ciclo “Klang”, dedicato a ciascuna ora del giorno, al Civico Planetario Ulrico Hoepli.

Quali sono le realtà di Milano con cui il Festival collabora o con cui sente di avere un'affinità, una vocazione/obiettivo comune? E altri progetti in Italia?

Milano Musica collabora con numerosissime istituzioni culturali e musicali milanesi. La scelta ricade naturalmente sulle affinità di programmazione: per esempio nel 2016 la collaborazione al Pirelli HangarBicocca è nata con “Le Noir de L’Étoile” di Grisey e prosegue oggi con Les Percussions de Strasbourg che eseguono “Persephassa” di Xenakis. Ci sono relazioni istituzionali determinanti con il Teatro alla Scala, e legami consolidati e altrettanto forti come con laVerdi con cui inauguriamo il Festival con doppio concerto il 3 e il 6 ottobre, la Filarmonica della Scala con un concerto dedicato a Luciana Pestalozza e Claudio Abbado, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai, che ha debuttato al Teatro alla Scala su invito di Milano Musica nel 2017 e le istituzioni di formazione che sono fondamentali per la nostra politica di promozione culturale del contemporaneo. In Italia, nonostante le carenze nelle politiche culturali sul contemporaneo, c’è una grande vivacità di iniziative… Penso ad esempio alla rassegna di concerti fiorentina music@villaromana, che ha appena festeggiato il decennale.

 

 

Milano Musica ha dei rapporti/collaborazioni con altre realtà europee? Ci accenni anche al progetto Music Fund Italia, che magari non è troppo conosciuto?

Milano Musica è in effetti riconosciuto tra le principali manifestazioni di musica contemporanea a livello internazionale e abbiamo ottime relazioni con altre realtà europee. Il Festival faceva parte del Réseau Varese, rete europea per la creazione e la diffusione della nuova musica, sostenuto dalla Comunità Europea e purtroppo ora sciolto. Vorremmo trovare i mezzi economico-finanziari per co-produrre ma al momento riusciamo soprattutto a collaborare per la co-commissione di nuovi lavori. Inoltre, dal 2010 Milano Musica ha esteso la missione statutaria a progetti in cui la musica è strumento di sviluppo sociale e, in qualità di partner di Music Fund per l’Italia, promuove la formazione professionale nella manutenzione di strumenti musicali e nel sound engineering nei Paesi in via di sviluppo e in particolare in Mozambico. Dopo il successo di Costruire con la musica – la grande raccolta di strumenti musicali destinati alle Orchestre infantili e giovanili in Lombardia – e a Music Fund, abbiamo aperto una forte collaborazione con il Mozambico. Cosa cerchiamo di portare a Maputo? Il nostro meglio, ovvero liuteria cremonese e sound engineering. Formare tecnici del suono è un’attività che prescinde dal genere musicale e la liuteria cremonese significa offrire l’eccellenza delle competenze italiane. Lo scorso maggio, abbiamo donato a Maputo 250 strumenti di seconda mano e da riparare, a sostegno della nascente associazione di tecnici formati negli anni da Music Fund nella riparazione di pianoforti, strumenti ad arco, a fiato e a pizzico e sound-engineering, in loco e in Belgio, Francia e a Cremona. Gli strumenti saranno riparati in Mozambico e successivamente reinseriti nel nascente mercato locale, in un’ottica di economia circolare.

Contenuto pubblicato su ZeroMilano - 2019-10-01