Ad could not be loaded.

Alessandra Novaga

Chitarrista profondamente creativa, fuori dagli schemi, tra le più interessanti nel panorama italiano legato all'improvvisazione, Alessandra Novaga sarà il 13 ottobre al Piano Terra per presentare il suo ultimo album 'Movimenti Lunari' e dall'8 al 20 novembre in scena all'Elfo Puccini con 'Dove si o musa'. L'abbiamo intervistata.

Written by Corrado Beldì il 8 October 2016
Aggiornato il 23 January 2017

Alessandra-Novaga

Incontriamo Alessandra Novaga, chitarrista sperimentale, musicista militante e gran bevitrice di Martini. Ci offre un aperitivo, proprio nei giorni in cui sta per presentare al Piano Terra il suo disco Movimenti Lunari (Blume), e sta per uscire il suo nuovo disco in solo dedicato alle musiche dei film di Rainer Werner Fassbinder (Fassbinder Wunderkammer, Setola di Maiale). Dal dall’8 al 20 Novembre sarà in scena all’Elfo Puccini con Dove sei o Musa.

ZERO: Perché hai deciso di lavorare su Fassbinder?
ALESSANDRA NOVAGA: Avevo 17 anni quando ho visto il primo film, Veronika Voss, da allora ho cercato di vederli tutti. Sono sempre stata affascinata dalla sua produzione compulsiva. Pensare a quasi 40 film in trentasette anni di vita è davvero stupefacente, soprattutto se si considera che Fassbinder ha spesso lavorato con difficoltà produttive.

https://www.youtube.com/watch?v=l8sH6ztFkfE

Come nasce questo disco?
Mi ha sempre interessato la collaborazione tra Fassbinder e il compositore Peer Raben che è riuscito a costruire dei temi totalmente aderenti al linguaggio del regista, drammatico e pieno di pathos. Mi sono ritrovata a suonare di nuovo delle “melodie” ed è stato strano per me uscire dall’astrazione: mi sono resa conto che l’improvvisazione protegge mentre la musica scritta denuda…

Il cinema è un tuo punto di riferimento: quali altri registi ti appassionano?
Negli ultimi tempi mi sono molto appassionata al lavoro di Jonas Mekas, che ho avuto la fortuna di incontrare di persona – grazie a te per altro! Adoro il suo modo così personale di descrivere la realtà. Le sue immagini sono leggere e profonde al tempo stesso, e ci mostrano una quotidianità intrisa di poesia, ed è proprio questo che mi interessa, il suo filtro nell’osservare la realtà. Mi rendo conto di allontanarmi sempre più dai media che ci bombardano ogni giorno con notizie drammatiche e deprimenti, che tendono, a mio parere, a manipolare il sentire comune. Mekas in questo è un maestro: ha avuto una vita difficile, dagli anni in Lituania ai campi di lavoro all’approdo in America eppure, tra mille difficoltà, ha sempre cercato di fare arte raccontando la gioia di vivere.

Alessandra Novaga e Jonas Mekas
Alessandra Novaga e Jonas Mekas

Hai anche usato la sua voce dal vivo, vero?
In modo davvero semplicissimo, ho usato la sua voce registrata dal mio iPhone. Una frase che dice: «Gli artisti per me importanti sono quelli che hanno influenzato il mondo in modo positivo: Buckminster Fuller, John Cage, George Maciunas, Marcel Duchamp».

Come hai cominciato a suonare la chitarra?
Da bambina, come tanti. Avevo 10 anni ma ciò non ha niente a che vedere col perché oggi io sia una musicista. Per molti anni sono stata una chitarrista classica ma a un certo punto ho smesso di esserlo in modo esclusivo. Ho iniziato a rendermi conto che tutto ciò di cui mi nutrivo, letteratura, cinema, arte, non riusciva a confluire direttamente e coscientemente nella musica di cui mi occupavo. Ho avuto bisogno di un nuovo modo, di nuovi suoni e gesti. Ho iniziato a occuparmi di improvvisazione e di composizione. Il disco su Fassbinder non sarebbe mai nato altrimenti.

Come ti ha cambiato la musica improvvisata?
Ha rivitalizzato il mio rapporto con la musica ed ha cambiato la mia socialità, anche grazie all’interazione con altri artisti. Ho cominciato a fare mille cose, ad esempio a lavorare per il teatro.

Ci parli delle tue esperienze teatrali?
Collaboro spesso con Elena Russo Arman, insieme abbiamo fatto La mia vita era un fucile carico (being Emily Dickinson), La Palestra della Felicità e Dove sei, o Musa, tutti all’Elfo con me in scena come compositrice e performer. Ho fatto uno spettacolo su James Ballard: Note per un collasso mentale con Giuseppe Isgrò e poi ho lavorato con Elio De Capitani a La discesa di Orfeo di Tennessee Williams.

Perché hai deciso di venire a Milano?
Avevo finito i miei studi a Basilea e dovevo scegliere un posto in cui stare. Cercavo una città senza legami di tipo famigliare, dove mi piacesse vivere, che non fosse Roma. Una città viva, dove potermi anche isolare. In questo, Milano è perfetta: posso anche chiudermi per una settimana in casa, mi bastano libri e cibo per sopravvivere …

Che cosa mi dici di questo quartiere?
Mi piace molto la zona in cui vivo, tra la Stazione Centrale e Porta Venezia. Mi piace guardare i palazzi, l’architettura mi ha sempre appassionata. Qui c’è ancora la dimensione del quartiere, c’è una buona mescolanza, che m’interessa, ma c’è ancora una certa autenticità locale.

Dove vai la sera a divertirti?
Mi piace andare per concerti, spesso da O’, da Standards in via Maffucci, a Macao, al Piano Terra ma vado anche molto a teatro e al cinema.

Foto di Rebecca Salvadori
Foto di Rebecca Salvadori

Ti capita di andare al ristorante?
Certo, mi capita di andare in ristoranti tradizionali, tipo la Trattoria Meneghina in Corso Magenta o la Trattoria Milanese di via Santa Marta. Mangio poco, non sono fissata col cibo. Di questi posti mi piace soprattutto l’atmosfera. Certo, mi piace anche il risotto alla milanese! Finisco quasi sempre da Rosy e Gabriele, forse perché sono spesso con attori o musicisti, faccio tardi e dopo mezzanotte è il punto di approdo ideale.

Iononbevomolto?
Al contrario! Mi piace andare al Bar 35: è qui vicino! Bisogna sempre avere un bar vicino a casa, così non ti devi chiedere dove andare. Al 35 ci arrivo a piedi e c’è un bellissimo bancone. Quando posso, mi allungo e vado al Bar Basso.

Che cosa bevi?
Al 35 bevo Martini o Margarita. Al Bar Basso, a parte il solito amatissimo Martini, a volte prendo un bicchiere di champagne.

Quella del Martini si direbbe una vera ossessione.
Una passione ossessiva, nata grazie alla letteratura. Leggevo Hemingway e Fitzgerald già da bambina. In quelle pagine i Martini si consumano à gogo: ho avuto un’attrazione estetica. Bere poi mi piace: l’alterazione alcolica ma anche l’estetica del cocktail. Poi c’è il lato domestico: nella letteratura americana il cocktail si beve anche e soprattutto in casa. Così il Martini ho imparato a prepararmelo da sola. D’altra parte quando vedo un barman che prepara un pessimo Martini, mi sento davvero male.

Come prepari il tuo Martini?
Mi sono specializzata e credo di aver raggiunto la perfezione totale. Ho bicchieri da Martini piccoli, con una buona massa di vetro, li tengo al freddo, così come il gin. Niente ghiaccio, che annacqua, e nemmeno vermouth che rovina il gusto del gin.

Dove si beve il Martini perfetto?
A parte casa mia e i due posti che ho citato sopra, il miglior Martini al mondo lo fanno al Dukes di Londra, dove il ghiaccio è bandito e arriva il carrello con bottiglie di gin ghiacciato e stupendi limoni di Amalfi. Poi c’è il Bemelmans Bar di New York, un luogo unico al mondo, con barman molto competenti. Quando ho detto di volerlo molto secco, mi hanno risposto: “Il vermouth non lo mettiamo proprio, vero?”.

Martini

Allora: mi prepari un Martini?
Ho una confessione da farti: due settimane fa ho finito il vermouth e sapendo che arrivavi mi sono chiesta se comprarlo. Poi ho pensato di essere radicale e di fartelo come piace a me: bicchiere ghiacciato, Gin Monkey e twist di limone.

Fantastico, non potevo chiedere di meglio….
Vedi, il punto è arrivarci, come in un viaggio…

Quali sono i posti in cui ti piace andare?
Io amo le città e quella in cui vado ogni volta che posso è New York. Per restare più in zona direi Londra. Mi piace andare per teatri, gallerie e concerti, ma quello che preferisco fare è girare la città a piedi anche nelle zone più anonime. A New York passo sempre allo Stone (locale di John Zorn), ogni sera ci sono due concerti differenti, può andarti male ma può anche andarti mooolto bene.

Parliamo del futuro: quali collaborazioni hai in mente?
Intanto porterò in giro questo nuovo progetto su Fassbinder e Movimenti Lunari. I primi di Novembre sarò all’Elfo Puccini con Elena Russo Arman in Dove sei o Musa, in cui suono musiche di John Dowland, e scriverò le musiche del suo nuovo spettacolo The Juniper Tree. Sto per iniziare delle nuove collaborazioni e continuerò quelle con Massimo Falascone, Patrizia Oliva, la Tai, e Sandro Mussida, che rimane sempre una delle persone, musicalmente e non, che sento più vicine, e vedrò cosa porterà la nuova stagione.

Quali sono i musicisti che t’interessano?
Negli ultimi anni direi Derek Bailey, Fausto Romitelli, Marc Ribot, Loren Connors, Jim McAuley, Keiji Haino, Jandek. Mi interessa moltissimo il lavoro che fanno Alessandro Bosetti e Stefano Pilia.

Non hai citato musicisti classici…
Dovrei dirti Sergiu Celibidache, Julian Bream, Henryk Szeryng, il mio maestro Oscar Ghiglia, e poi Glenn Gould, lui è uno di quelli che ho ascoltato di più. Il suo Bach è quello in cui mi identifico completamente.

Qual è la tua versione preferita delle Goldberg?
L’ultima, quella lentissima.

movimenti-lunari-alessandra-novaga
In che formazione ti piace suonare?
Il duo, sempre. Mi piace il rapporto che si crea in due. Il duo è un dialogo vero, aperto, radicale. Poi ovviamente in solo, come nel disco precedente, Movimenti Lunari, un vinile con le musiche di Sandro Mussida e Francesco Gagliardi, pubblicato da Blume.

Chi sono i tuoi amici?
Considerando che sono nata a Latina e che ho studiato e vissuto in molte città, da Vicenza a Basilea, i miei amici sono dispersi in tutto il mondo. Non frequento molti musicisti, mi sento più attratta da chi fa cose diverse dalle mie, mi aiutano apensare per altre vie; tra i più cari ci sono persone che hanno a che fare con l’editoria, la letteratura, il teatro, l’arte e la fotografia. La mia grande amica di sempre è Cristiana Costanzo (solo per me Maska) che ora è il capo ufficio stampa di arte e architettura alla Biennale di Venezia, e non perdo occasione di andarla a trovare anche per fare un passaggio all’Harry’s Bar!

Che cosa cambieresti di Milano?
Non cambierei proprio niente: sono talmente felice di viverci… In Italia non vivrei altro che qui.

In questa casa ci sono molte fotografie e oggetti curiosi, ti appassionano le arti visive?
Certo, mi piacciono tutte le espressioni dell’arte contemporanea, ma è solo una passione. Milano dà molte opportunità: mi piace andare all’Hangar Bicocca e poi alla Fondazione Prada, un luogo davvero interessante, contenitore e contenuto.

Con Elena Russo Arman (foto di Fabio Mantegna)
Con Elena Russo Arman (foto di Fabio Mantegna)

Chi sono i sottovalutati a Milano?
Non saprei, a volte penso che ci siano tanti sopravvalutati, in tutti i campi, ma probabilmente c’è spazio per tutti. A volte certi artisti preferiscono lavorare da cani sciolti e questo forse li indebolisce un pò, ma è una scelta individuale. Però, secondo me Milano è una città che riconosce il valore delle persone: in Italia, è una delle città più meritocratiche che io conosca.

Come si avvicinano i giovani alla musica contemporanea?
Questa è sempre una domanda difficile perché rischia di diventare retorica. Potrei anche dirti: è proprio sicuro che i giovani debbano avvicinarsi alla musica contemporanea? Parliamo comunque di linguaggi complessi, difficili. Solo perché è scritta oggi non è detto che sia comprensibile o necessaria per i giovani. Comunque partirei dai luoghi e dai riti arcaici che ancora permeano un certo tipo di cultura. In certi teatri i giovani non entrano per pregiudizio e, se mi metto al loro posto, non li biasimo. Io preferisco suonare in luoghi dove il pubblico è aperto e disponibile, penso a O’, Macao, per esempio, dove nel pubblico si trovano anche giovanissimi. Ho assistito a due concerti di musica contemporanea di Enrico Gabrielli e Sebastiano De Gennaro; al Biko, che non è proprio il luogo in cui ti aspetti di ascoltare Reich o Andriessen con un gin tonic in mano e al Conchetta, alle tre del mattino, con musiche di John Cage. Ecco: questo è sicuramente un modo.

Qual è la cosa che ti fa godere di più?
Amo molto quello che faccio, suonare e progettare, però adoro anche il tempo in cui riesco a non fare niente e a non pensare a quello che farò. Leggere, studiare, stare con le persone che amo, dormire e guardare film.

Che cosa sogni per il futuro?
Non penso molto al futuro, neppure al passato in verità. Spero solo di essere sempre libera di fare sempre quello che desidero. In questo Jonas Mekas mi ha davvero impressionato: a 94 anni è ancora proiettato nel futuro.

Dove vai stasera?
Stasera resto a casa e ti preparo un secondo Martini: è uno dei migliori in città… serve altro?