Ad could not be loaded.

Filippo Aldovini

Dopo una brusca interruzione per motivi ''politici'', NODE è tornato. Abbiamo incontrato il suo curatore per farci raccontare a mente fredda cos'è successo, cosa succederà e molto altro.

Written by Salvatore Papa il 21 October 2015
Aggiornato il 23 January 2017

Il 27 maggio 2015 arriva un comunicato: l’ottava edizione di NODE non si farà. Il festival modenese di musica, performing arts e arti visive interrompe la sua corsa a causa delle divergenze con l’amministrazione comunale (rappresentata in questo caso dall’Assessore alla cultura) insediatasi un anno prima. Brutta storia. Si mobilitano in molti, arrivano le dichiarazioni di sostegno degli operatori di settore e si riaccende la discussione sull’allocazione delle risorse pubbliche legate alla cultura, ma ormai la frittata è fatta. Fennesz, Alva Noto, Murcof, Mount Kimbie, Kanding Ray, Demdike Stare, Baths, Tape, Forest Swords, Patten, Akkord, Atom TM, Shigeto, Vladislav Delay, Shlohmo, Laurel Halo, Holy Other e tutti gli altri ospiti internazionale passati di qui non rientrano, evidentemente, nella nuova linea culturale della città, di sicuro non quanto l’aceto balsamico.

A distanza di qualche mese e in occasione del primo evento dopo il fattaccio, il live di Ryoji Ikeda il 22 ottobre al Teatro Storchi di Modena in collaborazione col festival VIE, abbiamo incontrato a roBOt festival Filippo Aldovini, uno dei curatori di NODE, poco prima della performance dei fuse*, collettivo di cui fa parte e con il quale è in tour. Ci ha raccontato cos’è successo, cosa c’è dietro l’angolo (anche a Bologna), com’è messa Modena oggi e tanto altro.

''Foto scattata (da Marianna, mia sorella) nel febbraio 2012 all'Hamburger Bahnhof in occasione della mostra db di Ryoji Ikeda''
”Foto scattata (da Marianna, mia sorella) nel febbraio 2012 all’Hamburger Bahnhof in occasione della mostra db di Ryoji Ikeda”

 

Raccontaci un po’ di te: dove e quando sei nato, cosa hai studiato, dove vivi ecc.

Sono nato il 17 agosto del 1984 a Ponte dell’Olio in provincia di Piacenza. E sono nato lì per un motivo: perché c’era una clinica che permetteva un certo tipo di parto naturale durante il quale era consentito, tra le altre cose, ascoltare musica. Penso che questo abbia influito molto su quello che sono oggi, l’importanza che i miei genitori hanno attribuito alla musica e la passione che mi hanno trasmesso, nonostante non fossero musicisti ma semplici e grandi appassionati, come d’altronde lo sono anche io. Vivo da sempre a Modena, con una piccola parentesi a Ravenna e poi a Bologna dove ho fatto la triennale di Dams musica. Con NODE ho iniziato molto presto, nel 2008, quando avevo 23 anni e non ero ancora laureato. Durante gli studi ho anche messo in piedi un’etichetta discografica, Zymogen, una delle prime net label italiane, su cui pubblicavo robe di elettroacustica e da cui sono passati artisti come Nicolas Bernier, Marihiko Hara, Nicola Ratti, Simon Trottier (chitarrista dei Timber Timbre) e molti altri.

Da dove arriva la passione per quello che fai?

La famiglia è stata fondamentale. Sono il più piccolo di tre fratelli e grazie a loro ho visto da piccolo il vecchio Link o il Maffia di Reggio Emilia, a 15-16 anni. Quand’ero al liceo, poi, al Link ci sono tornato varie volte e tra le tante ho un ricordo indelebile della Rephlex Night con Aphex Twin nel 2002. Con NODE mi è in seguito capitato di relazionarmi con artisti che erano e sono tuttora dei punti di riferimento: l’incontro con Alva Noto alla prima edizione, ad esempio, è stata un’esperienza che mi ha segnato.

La palazzina Vigarani illuminata dal mapping architetturale durante l’edizione del 2013.
La palazzina Vigarani illuminata dal mapping architetturale durante l’edizione del 2013 (foto di Corrado Nuccini).

 

Come spiegheresti NODE a uno sconosciuto? Quali sono le sue origini e chi c’è dietro al progetto oltre a te?

È sicuramente un progetto nato dal basso. Quando abbiamo iniziato siamo partiti da zero, senza alcuna struttura alle nostre spalle, senza serate da club, e con un sacco di inesperienza, questo bisogna dirlo. All’inizio eravamo in tre: io, Fabio Bonetti e Anna Bartolacelli e successivamente il gruppo si è ulteriormente ridotto a me e Fabio. Se dovessi condensare in una riga NODE ti direi che è un festival che si occupa di contaminazione tra musica, arti performative e arti visive.

A mente fredda, quali sono le tue considerazioni su quello che è successo a NODE negli ultimi mesi?

È successo che le modalità e i compromessi accettati negli ultimi anni sono diventati insostenibili, soprattutto perché sono cambiate le nostre vite professionali e private e non ci è più possibile investire così tante energie e così tanto tempo in un progetto che dopo 7 anni (quest’anno sarebbe stata l’ottava edizione) non riesce ancora ad autosostenersi. La causa è in primis la mancanza di volontà politica, sebbene NODE sia un festival che ha sempre avuto un grande successo nonostante gli investimenti relativamente bassi: parliamo comunque di una manifestazione che mantiene un carattere nazionale, forse anche internazionale, e che si organizza con 20 mila euro lordi di finanziamenti. Da questo punto di vista è stato anche, e in un certo senso, liberatorio saltare quest’edizione: è stato difficile, perché NODE è ovviamente una parte molto importante di noi, ma è anche una sorta di “malattia”, e piuttosto che rinunciarci abbiamo sempre accettato dei sacrifici a volte non proprio salutari.

Possibile che non ci sia un modo per fare a meno dei finanziamenti pubblici?

Quando l’oggetto è la ricerca e la sperimentazione è ovvio che le logiche di mercato e, quindi, lo “sbigliettamento” sono più complicate. Allo stesso tempo penso anche che le amministrazioni pubbliche si debbano occupare di salvaguardare questo tipo di realtà. Strade da percorrere ce ne sono, ma si tratta comunque di trovare un compromesso pur mantenendo un’integrità che per noi è molto importante…direi fondamentale.

''Nel 2012 Node si è svolto due settimane dopo il terremoto che ha colpito Modena e grazie ad un enorme sforzo organizzativo siamo riusciti a spostare il festival ai Giardini Ducali evitando così l’annullamento in un momento in cui la città aveva bisogno di recuperare una condizione di normalità''.
”Nel 2012 NODE si è svolto due settimane dopo il terremoto che ha colpito Modena e grazie ad un enorme sforzo organizzativo siamo riusciti a spostare il festival ai Giardini Ducali evitando così l’annullamento in un momento in cui la città aveva bisogno di recuperare una condizione di normalità” (foto di Emmanuele Coltellacci)

 

E come responsabilizzare il pubblico?

Dipende dalle infrastrutture, dalle stesse persone all’interno della rete di professionisti di una città. Modena, da questo punto di vista (e fatte le dovute eccezioni) è una città molto arretrata: ci sono pochi spazi, pochi locali. Si fa molta fatica a trovare persone che condividano una prospettiva o uscire dalla solita serata universitaria, serata rock o banale riproposizione di formati già visti. È un circolo vizioso, perché la responsabilità è anche di chi ha gli spazi, ma non ha voglia di rischiare e proporre qualcosa di diverso. Manca quindi, la progettualità a lungo termine, grosso difetto anche e soprattutto delle amministrazioni pubbliche. Ma questo è un problema non solo modenese, ma italiano.

Com’è nata la collaborazione col festival VIE?

Negli anni abbiamo avuto la necessità di allargare, creare sinergie e creare rete. VIE ha da sempre le spalle abbastanza larghe, perché si appoggia ad Emilia Romagna Teatro, ed è una delle realtà più importanti che operano nell’ambito del contemporaneo a Modena. La collaborazione è nata quattro anni fa perché per noi era molto interessante sviluppare un lavoro sulle performing arts, ad esempio con musicisti che fanno sound design per compagnie teatrali, o progetti site specific. Ed è davvero una soddisfazione poter lavorare con persone che hanno familiarità con i temi del contemporaneo e hanno sensibilità verso le tematiche che mettiamo in campo.

Quali sono i tuoi criteri di scelta per gli artisti?

Non ci sono dei criteri rigidi. Anzi, c’è sempre stata una grande libertà di scelta. Ci siamo sì mossi nel campo della sperimentazione, ma abbracciando artisti anche distanti tra loro. Dalla scena elettroacustica italiana di Giuseppe Ielasi, Nicola Ratti e Andrea Belfi a quella di Los Angeles più legata alla sperimentazione hip-hop con Shlohmo o Shigeto. Abbiamo fatto i Mount Kimbie per primi in Italia nel 2010, ma anche Ikeda, Emptyset o i Tape. Mi è sempre quindi interessato mescolare, perché penso che la musica o l’arte debbano essere trasversali e oltrepassare i generi. L’unico criterio vero è la qualità. Gli italiani che abbiamo coinvolto sono stati, è vero, pochi, ma Modena credo abbia drammaticamente bisogno di un respiro internazionale.

Ljós - fuse*
Ljós – fuse*


E dei fuse* che ci dici?

fuse* è un collettivo di artisti e professionisti con cui collaboro dal 2008 e in cui sono entrato a far parte nel 2014. Il team è molto eterogeneo ed è formato da programmatori software, grafici, sound designer, direttori creativi con grande sensibilità sia artistica che imprenditoriale. Il rapporto tra fuse* e NODE è da sempre molto forte e si è consolidato nel 2010 quando fu progettata una proiezione architetturale sulla facciata del Palazzo di Santa Margherita, sede storica del festival. Lo studio ha anche una sezione dedicata alla progettazione di spazi architetturali (FUSE*ARCHITECTURE, per dirne una, ha curato il progetto di Cubo a Bologna), ma insieme ai progetti su commissione stiamo puntando molto sulla sezione dedicata alla ricerca artistica di cui attualmente sono il direttore di produzione. L’ultima produzione, la performance multimediale Ljós (che sarà presentata prima del concerto di Ryoji Ikeda), sta ricevendo grande interesse in tutto il mondo. Dopo aver girato festival come STRP, Digital Graffiti, Biela Noc, Lunchmeat e roBOt è di qualche giorno la conferma che parteciperemo al festival Sugar Mountain in Australia il prossimo Gennaio.

In mancanza del NODE dove potrei trovare qualcosa di simile? E quali sono i festival italiani che stimi di più?

All’estero sicuramente l’Unsound, quest’anno è la quarta volta che ci vado, ma anche STRP, Heart of Noise, Madeira Digital o Atonal. In Italia sicuramente Flussi, ma anche Terraforma, anche se il capitolo Milano è un po’ particolare…mi sembra ingrigisca anche la roba migliore.

''David Psutka aka Egyptrixx mi regala uno dei suoi strumenti per ringraziare del trattamento ricevuto durante il festival. Lo scatto è stato fatto subito dopo il suo concerto nel giugno del 2014 durante l’ultima edizione di Node''.
”David Psutka aka Egyptrixx mi regala uno dei suoi strumenti per ringraziare del trattamento ricevuto durante il festival. Lo scatto è stato fatto subito dopo il suo concerto nel giugno del 2014 durante l’ultima edizione di NODE” (foto di Matteo Torsani)

 

Secondo Mat Schulz dell’Unsound Festival un bravo “curatore di eventi” è oggi chi supporta nuovi artisti in cui crede e, soprattutto, chi riesce a creare un festival dove il senso di comunità e le relazioni siano più importanti della musica stessa. Che ne pensi?

Bè sì, più grande è un evento e più difficile è mantenere certi legami. E non necessariamente “il più grande” è meglio. Bisogna preservare quella fetta di pubblico esigente, preparata, e non è solo una questione di numeri. Ricordo alla prima edizione di NODE che Alva Noto, uno che di festival ne ha girati, mi raccontò che al Sonar il direttore artistico è talmente impegnato che non riesce nemmeno a stringere la mano alla maggior parte degli artisti o stabilire dei rapporti con loro. L’Unsound è un’eccezione e si vede! Gli artisti lì creano progetti ad hoc, ed è questa la cosa che manca drammaticamente ai grandi festival, manca l’aspetto umano. Per quanto mi riguarda, una cosa che mi piace fare, ad esempio, è andare a prendere gli artisti all’aeroporto: ho dei ricordi bellissimi di viaggi in macchina e conversazioni davvero sorprendenti. Credo, perciò, che l’aspetto relazionale sia da preservare assolutamente.

C’è mai stato qualche contatto o l’idea di trasferire il festival a Bologna?

Con Bologna il rapporto è sempre stato molto forte, anche perché gran parte del nostro pubblico viene da Bologna, più da Bologna che da Modena probabilmente. Abbiamo ottimi rapporti con i ragazzi di AliveLab, quindi con Habitat e il festival Imago. Abbiamo percorsi affini, ma apprezzo molto anche alcune cose di roBOt e Live Arts Week, quindi credo che ci siano delle possibilità di condivisione. Con Habitat il 12 dicembre faremo una serata insieme all’interno del Sì, ma vi diremo di più presto…

Foto scattata fuori da Palazzo Santa Margherita appena dopo la conclusione della prima edizione nel giugno 2008
Foto scattata fuori da Palazzo Santa Margherita appena dopo la conclusione della prima edizione nel giugno 2008 (foto di Erik Skodvin)

 

Com’è messa la “cultura” a Modena oggi?

Se parliamo di cultura non possiamo non parlare di politica. Penso ad esempio a quello che è successo a Bologna, con la cacciata di Ronchi, che ho sempre apprezzato soprattutto perché persona preparata, con una sensibilità sviluppata, con una visione del “nuovo”. A Modena è molto faticoso. Quand’abbiamo iniziato negli spazi della Galleria Civica c’era Angela Vettese, che diede fiducia a un progetto come il nostro che non esisteva. Ora mi sembra impensabile che qualcuno possa prendere rischi simili. Eppure a Modena ci sono sempre stati i diamanti, penso, ad esempio, a Icone, festival di street art. Ma oggi manca l’associazionismo, la cultura dal basso. Diverso è invece il discorso delle grandi “istituzioni”, ma è più facile quando hai le risorse per fare qualcosa, senza togliere valore. C’è un problema però di allocazione delle risorse, di sproporzione.

Immagino tu conosca abbastanza bene anche Bologna. Quali sono i luoghi che frequenti con più piacere quando vieni qui?

Un posto che ho conosciuto da poco e che mi piace molto è Cento3centoVeg. Ma anche l’Atelier Sì e la sua caffetteria. Sono affezionatissimo al Disco D’Oro, dove mangio musica. E poi Camera A Sud o Lestofante.

Un pezzo che ti gira spesso in testa in questo periodo?

Me ne girano alcuni a ritmi alterni: Illuminations dei Tape, My Story dei Main Attrakionz e Rushing to Paradise di Huerco S.