Non è uno storico, né un sociologo, ma se uno volesse capire com’è cambiata Bologna negli ultimi 30 anni potrebbe imparare molto ascoltando le storie di Pippo. Lui che la città l’ha quasi sempre vissuta nei club, scoprendone fin da bambino il volto più eccentrico, continua ancora oggi a seguirne il ritmo e a predirne la direzione, un po’ assecondandola un po’ accompagnandola. È un promoter di razza, un clubber nato.
Fra ricordi e aspettative eccovelo servito in occasione della nuova stagione del suo We Love Echoes.
ZERO – Chi sei? Cosa fai? Perché sei qui?
Pippo – Sinceramente ancora non l’ho capito, ci sto lavorando.
Cosa ti ha spinto a organizzare feste? Ci racconti come hai iniziato?
Sicuramente mamma, involontariamente, ci ha messo lo zampino: a dieci anni mi ritrovavo nei backstage dei CCCP, passando dal QBO’, fino ai primi concerti all’Isola nel Cantiere. Bologna era una città piena di vita, esplosiva, all’avanguardia: avevo come parco giochi le consolle dei locali alternativi degli anni ottanta, dalle quali non potevo scappare. Dj Pappa, improvvisato babysitter serale, era un guardiano strano, ma feroce; la consolle si trasformava così nel “mio posto sicuro”. Rosa, la mia babysitter ufficiale e punk indefessa, forse ha fatto il resto.
La passione per la musica e la possibilità di poter vivere una vita indipendente, senza nessun cartellino da timbrare, era troppo forte: così, contro tutto e tutti, iniziai ad organizzare feste. A 14 anni quelle della scuola, a 15 fu il momento del sabato pomeriggio dello Sporting; a 16 invece venne il grande momento della domenica pomeriggio del Living: duemila adolescenti impazziti resero la mie prime esperienze indimenticabili.
Dal Living un’ascesa continua: la scoperta della riviera romagnola con il Cellophane e l’Echoes, poi l’Ecu, il Kinki a Bologna, e tutta la scena house che stava esplodendo nei primi anni novanta. Tutto era nuovo ed estremamente affascinante, la mia voglia di crescere in fretta e passare ai locali per i “grandi”, mi spinse a mascherare la mia giovane età ad ogni costo, fino a raggiungere l’obiettivo. E da lì tutto è volato, e mi sembra solo ieri.
Cosa facevi prima di fare il promoter?
Lo studente: ho sempre lavorato con la musica.
Echoes non era solo un club, ma un movimento che ha aggregato, cresciuto, trasformato e accompagnato varie generazioni.
E We Love Echoes com’è nato? E perché amate l’Echoes?
We Love Echoes è nato quasi per gioco. Era il 2009, un anno molto triste: l’Echoes aveva appena chiuso, la crisi economica era cominciata e Bologna stava attraversando un periodo spento e noioso. Questo insieme di fattori fu determinante rispetto alla scelta di fare qualcosa di nuovo pur conservando le profonde radici delle nostre esperienze.
Echoes non era solo un club, ma un movimento che ha aggregato, cresciuto, trasformato e accompagnato varie generazioni. Prima con Ethos Mama Club e Vae Victis, poi con Echoes, è stato promotore di ricerca ed unicità in forma del tutto artigianale, portando più generazioni a un limbo privilegiato. Insomma, un precursore di tutto ciò che oggi, spesso, è routine preconfezionata.
Puoi raccontarci qualcosa sulle persone che hanno creato quel luogo magico?
Il mondo della notte era molto diverso e sarebbe difficile ora provare a raccontarlo in poche righe senza cadere nel banale e nelle riciclate esaltazioni alla libertà dell’individuo, al pubblico folle, elegante ed allo stesso tempo stravagante ecc ecc. Credo sia impossibile trasmettere sensazioni che per la nostra velocità attuale, purtroppo, non riusciremmo nemmeno a codificare…corriamo troppo.
Flavio Vecchi, Ricky Montanari e Ricci erano l’avanguardia: venivano emulati in tutto il mondo e la riviera romagnola stava attraversando uno dei momenti più caldi della scena house mondiale. La Liz (Maurizio Monti) e Valentina Cecchini erano matti, folli veri: in un mondo senza limiti né confini, tutto poteva e doveva essere scoperto, e loro avevano le chiavi della porta dell’infinito. Trovavi Leopoldo Mastelloni in pista e Jamiroquai scatenato sul cubo, mentre la Liz, nuda, giocava a nascondino intorno alla consolle: difficile da raccontare o immaginare nella giusta ottica.
Chi c’è dietro il progetto We Love Echoes oltre a te?
Certamente il socio per eccellenza e compagno di avventure è Ricky Forni: compagno di una vita con il quale in una perfetta sincronia e alchimia, organizzo We Love Echoes e Private Eye, due dei nostri brand più amati.
Come mai avete deciso di “recuperare” il Matis? E cosa succedeva lì prima di voi?
Il Matis è un locale con uno storico invidiabile e pur essendo di misura medio grande ci fa respirare aria di club: la consolle è al centro di tutto, il nuovo sound system suona bene essendo in una planimetria rettangolare. Difficile a Bologna non pensare anche al Matis quando parliamo di club culture.
Prima di noi era stato caratterizzato e indirizzato a serate per i più giovani e di stampo commerciale, per questo forse un po’ dimenticato da un certo segmento di pubblico. Ma con i primi due appuntamenti spot del 2013, e tutta la stagione scorsa, il club ha ripreso a vivere nelle sue vesti originarie, ospitando anche date importanti oltre alle nostre, ma soprattutto riavvicinando il pubblico più grande. Spesso si dice che Bologna sia modaiola; io credo che la questione si possa risolvere offrendo serate differenti e di qualità: con questi presupposti il pubblico si educa velocemente.
Raccontaci il tuo pubblico
Faccio fatica a classificare in generale: amo la trasversalità e la libera scelta.
Il mio è certamente un pubblico che sceglie. In un momento in cui tutto ciò che viene propinato rientra appieno nei canoni della globalizzazione e omologazione, credo che la vera forza delle nostre feste sia un’offerta di brand molto differenti e diversificati, che danno a tutto il popolo della notte la possibilità di scegliere ciò che in quel momento possa apparire più vicino o più consono al proprio umore. Ed è proprio la scelta, anzi l’insieme di scelte simili e comuni, che rende l’ambiente e l’atmosfera sempre accattivanti, prescindendo dalle persone in quanto tali.
Cosa ci aspetta quest’anno?
L’apertura del party ufficiale di We Love Echoes al Matis Club – venerdì 25 settembre- che continuerà con appuntamenti mensili sempre al Matis Club.
Private Eye, in edizione limitatissima e privata, dosato con il contagocce, ovviamente di Chanel.
Non mancheranno le solite “bombette” insieme alle nostre ormai collaudate collaborazioni con il Link e Frame.
Ottobre, come di consueto ci porta roBOt Festival che, fra le sue tante e ottime proposte, contempla il nostro amato brand Oh Cristo.
Uno start esplosivo di questa stagione lo abbiamo visto sabato scorso al Link di Bologna con gli splendidi Ricardo Villalobos e Sonja Moonear grazie alla joint venture tra We Love Echoes e gli amici del Link.
C’è un club di Bologna (anche chiuso) al quale sei particolarmente legato? E perché?
Legato a moltissimi, in ognuno ho passato parecchio tempo della mia vita. Ma nel cuore sono solamente due: il Kinki e il Vertigo; quest’ultimo ormai chiuso da un po’ di anni. Il Kinki è stato il primo vero amore: quello che ho vissuto e che provavo scendendo quelle scale, resterà sempre una parte molto importante della mia vita, ma soprattuto per me il Kinki è stato la mia seconda casa, e tuttora lo considero tale.
Il Vertigo era meraviglioso: un locale sui colli, a poche centinaia di metri dalla chiesa di San Luca, posto su un dirupo in un strada con 30% di pendenza, architettonicamente unico al mondo. Sicuramente un evoluzione del clubbing di allora, prima con il New York Bar e dopo con Star’s Cake: feste memorabili che porterò sempre con me.
Quali invece i dj cittadini a cui vuoi particolarmente bene?
Sicuramente i Pastaboys con i quali sono cresciuto. Tra gli emergenti, che peraltro stanno portando il “tortellino” in Europa, sicuramente gAs della Cadenza Record e Bassa Clan. E parlavamo di cuore, ma Bologna, madre feconda di grandi artisti, ci fa parecchi altri regali: il leggendario Luca Trevisi, l’amico Gino Grasso, il nuovo arrivato in famiglia Monogram e la lista sarebbe molto lunga.
Se potessi organizzare un grande party all’aperto, in quale luogo di Bologna vorresti farlo? E chi inviteresti?
Sinceramente ci sarebbe l’imbarazzo della scelta: Bologna è una città bellissima, ricca di luoghi storici tenuti sotto chiave, chiostri, piazze, giardini segreti e cortili.
Da buon sognatore e amante del pensare in grande, mi piacerebbe immaginare un festival a cielo aperto, utilizzando le maggiori piazze di Bologna, ciascuna dedicata ad una proposta artistica differente e operanti in contemporanea. In ciascuna delle piazze potrebbero essere proposte sonorità consone alla struttura della piazza medesima. Insomma, una sorta di Carnevale di Rio a misura Bolognese. E perché no, proprio per la festa del Patrono.
Anche il cortile di Palazzo d’Accursio, per esempio, mi fa pensare da un po’ ad una possibile rassegna che coniughi insieme musica, installazioni artistiche e performance di videomapping…ho sparato troppo in alto?
Come ogni promoter, sarai pieno di stalker. Come riesci a gestirli?
La pazienza è la virtù dei forti, dicono.
Questo lavoro ti risucchia, il pubblico si confonde con il privato, i confini scompaiono: tu sei il tuo lavoro.
Quando non lavori, cosa fai? E dove vai a bere? E a mangiare?
Questo lavoro ti risucchia, il pubblico si confonde con il privato, i confini scompaiono: tu sei il tuo lavoro.
Sei costantemente fuori casa, oltre alle serate. Un buon compromesso è scegliere, quando sono fuori, locali che mi facciano mangiare bene, bere bene e stare bene compensando così la mia voglia di casa. Amo passare da ristoranti stellati come I Portici alla trattoria casereccia da Gianna o alla pizzeria La Stella.
Bere un aperitivo spesso si trasforma in una maratona: dal Mercato delle Erbe al MAMbo, magari con un passaggio all’Osteria del Sole e chiudendo al Jukebox Bar.
Ciò nonostante, amo cucinare, e appena posso, mi ritaglio una serata per farlo a casa mia con gli amici.
Hai altre passioni oltre al clubbing? E ci sono dei luoghi di Bologna che ti permettono di coltivarle?
Vivo di musica ovviamente, è la colonna sonora della mia vita e il Disco d’Oro di Bologna il mio rifugio segreto. Amo il cinema e sono affascinato da molti registi, amo leggere e da poco tempo ho riscoperto nella lettura una passione che mi sta divorando le notti. Non sono un gran sportivo, ma ci provo: gioco a tennis e scio; regolarmente mi faccio male: sono proprio come i guidatori della domenica. Stanno provando a sedurmi con lo yoga, ma…si potrà fare con gli auricolari?
Che musica ascolti in genere, a casa o in macchina?
Questa settimana ho una nuova dipendenza: “Real Blues” il nuovo album di St. Germain, uscirà i primi giorni di ottobre, ottimo, veramente completo.
In realtà ascolto di tutto, dipende dal momento. Passo dalla techno al reggae, dal jazz ai canti tibetani, adoro Fink e tutto quello che è Folk. Se devo rallentare il ritmo, meglio l’acustico; e se ho bisogno di ricaricare le pile, ascolto soul e hip hop come un adolescente. Sono musicalmente onnivoro: mi piace ascoltare, basta che sia “buono”.
Cos’è che ti tiene legato a Bologna oltre al tuo lavoro?
Amo Bologna e sono cresciuto in questa città fantastica, ma non mi pongo limiti: ho ancora tanto da scoprire. Sinceramente non so ancora cosa voglio fare da grande.
Se fossi Assessore alla Notte, quale sarebbe il primo provvedimento?
Domanda troppo complessa e difficile da articolare in maniera corretta ed esauriente in questa sede: potrei annoiare e cadere nell’autoreferenzialità o peggio ancora nella banalità. Sono certo che una seria rivalutazione e rilancio del nostro bistrattato settore (vedi Spagna, Germania e Inghilterra) sarebbe un ottimo punto di partenza.
Come vedi il futuro della notte?
Voglio pensare bene: si intravedono bagliori che potrebbero portare alla luce. Nuove energie stanno fermentando: festival e club seri stanno crescendo in tutta Italia. Questa maledetta crisi qualcosa di buono lo ha portato: ci ha obbligato a pensare, a inventare e a produrre nuove idee; con un cauto ottimismo forse possiamo ricominciare a celebrare la vita.