Dal 24 al 28 novembre torna al TPO Ce l’ho Corto Film Festival, l’evento bolognese dedicato al mondo dei cortometraggi di autori e autrici emergenti a cura di Kinodromo. Una delle sezioni più importanti si chiama Ce l’ho Porno ed è curata dal collettivo Inside Porn. Il progetto è nato nelle aule del DAMS di Bologna prima come ricerca sulla produzione pornograca in chiave etnosemiotica per poi uscire dall’ambiente accademico tra festival e vari contesti culturali. L’obiettivo è promuovere la visione di contenuti pornografici in modo da poter creare un libero dibattito collettivo sulla sessualità, di cui il porno non è che una rappresentazione.
Ne abbiamo parlato con Arianna Quagliotto, Maria Giulia Giulianelli e Giulia Moscatelli.
Partiamo dal principio: come nasce il progetto?
Siamo amiche da molti anni. Quando abbiamo deciso di fondare Inside Porn eravamo tutte iscritte al corso di laurea triennale al Dams di Bologna. Da sempre le nostre conversazioni tornavano spesso sui temi della sessualità: passavamo ore a dibattere sulla sua rappresentazione in campo artistico, tra cinema, arti visive e arti performative. Non eravamo all’epoca grandi consumatrici di pornografia. Fu quindi per curiosità che accettammo la proposta, da parte di un nostro conoscente, di intervistare quello che all’epoca era il suo coinquilino e che lavorava come pornoattore per numerose case di produzione mainstream. Così partimmo per la prima volta, tutte e tre insieme, con molte domande e un registratore in tasca.
Se l’intervista a Raul Costa nel 2016 può essere considerata la nostra nascita embrionale, l’effettiva realizzazione avvenne sicuramente nel 2017. Quando, dopo aver partecipato al Berlin Porn Film Festival, prendemmo coscienza dell’importanza che tali luoghi rivestono per la costruzione di un libero discorso sulla sessualità. Decidemmo quindi di trasformare Inside Porn da un progetto di studio ad un progetto culturale; costituito da proiezioni di prodotti pornografici, volte a creare un dibattito collettivo attorno a questi temi.
Quello di cui discutiamo sempre di più con il passaggio degli anni è la nostra voglia di creare uno spazio fisico sex positive. Un luogo in cui riunire tutte quelle persone che fanno parte della rete che negli anni ci siamo costruite, così che le diverse esperienze possano dare vita a tanti dialoghi, non omogenei ma complementari. Perché riteniamo che l’unico modo di opporsi alle restrizioni della società odierna sia quello di ampliare il discorso, renderlo sempre più sfaccettato e complesso, piuttosto che ridurlo, perché possa essere meglio fagocitato dall’opinione comune.
Siete contente di tornare in sala?
Sì. La sala è il nostro spazio preferito, anche se non prettamente cinematografica visto che questa edizione del Ce l’ho Corto Film Festival, per cui curiamo la Sezione OFF Ce l’ho Porno, è tornata a essere fisica grazie all’ospitalità del TPO. Dopo una preview molto partecipata, abbiamo molte aspettative e non vediamo l’ora di rincontrare il nostro pubblico nella serata del Festival a noi dedicata il 25 novembre.
Nonostante l’impellente necessità di tornare in presenza, l’epoca storica in cui viviamo ci ha insegnato l’importanza di sfruttare le potenzialità dei nuovi media. Siamo sempre più convinte che sia essenziale creare un alter ego virtuale del progetto, che ci permetterà di raggiungere più persone.
Un altro desiderio, che in parte stiamo cercando già di realizzare, è analizzare altri linguaggi oltre quello tipico dell’audiovisivo. Durante la scorsa edizione del CLCFF abbiamo collaborato con la realtà bolognese Fruit Exhibition, che si occupa di editoria indipendente, ciò ci ha permesso di approfondire la tematica della sessualità e delle sue rappresentazione attraverso una diversa prospettiva. Questo ci ha sicuramente stimolate molto e spinte a voler ampliare il nostro punto di vista.
Che cos’ha la produzione pornografica che in genere non va?
Difficile così su due piedi indicare i punti di debolezza della produzione pornografica, intanto perché si finirebbe per generalizzare troppo e per parlare unicamente dei problemi di una produzione specifica. Per esempio, se parlassimo di mainstream, sicuramente i problemi sarebbero di ordine strutturale. Si tratta infatti di un tipo di pornografia imprigionata da un lato in uno scheletro di messa in scena rigido e prestabilito – si pensi ad esempio alle ambientazioni, quasi tutte identiche e troneggiate dallo stesso divano, o alla composizione narrativa spesso improntata sui soliti tre momenti chiave preliminari – penetrazione – cum shot e condita dalle stesse ripetitive ipervisioni degli organi genitali – e dall’altro costretta ad un’operazione estrema di standardizzazione così da poter piacere ad un target sempre più ampio. Si potrebbe quindi dire che il porno mainstream subisce i problemi tipici di un’industria, ovvero un appiattimento nella sua offerta di rappresentazione, mentre probabilmente il porno alternativo soffre maggiormente i problemi tipici del campo artistico – ed esempio problemi di fondi, di collocamenti ma anche un’eccessiva sovrastrutturazione del mezzo espressivo.
Quali sono i cliché più comuni che andrebbero subito smontati?
Per noi è molto importante sdoganare – e smontare – il concetto di pornografia educativa. Occorre sottolineare l’ipocrisia espressa dalla società nel demonizzare il porno (come antieducativo), o al contrario nell’enfatizzare le doti pedagogiche (come se fosse l’unico depositario della responsabilità di insegnarci una corretta educazione sessuale). Crediamo che non sia compito della pornografia istruirci. Sicuramente vedere prodotti pornografici, e possibilmente vederne molti, può essere formativo. In questi sei anni di Inside Porn la pornografia ha sicuramente avuto una influenza positiva su di noi, ampliando il nostro modo di intendere la sessualità e liberandoci dalla maggior parte dei tabù ad essa collegati. Ma crediamo che questo sia avvenuto soprattutto perché la visione di queste opere è sempre stata accompagnata da un ragionamento, da una dialettica e da un dibattito, sia privati che collettivi. Allora pensiamo che sia corretto affermare l’inutilità del denigrare la pornografia, o al contrario esaltarla, come il problema, o come la soluzione, all’inadeguatezza della nostra educazione sessuale. Non è il porno a dover diventare più esplicitamente didascalico nelle sue descrizioni, è l’alfabetizzazione al linguaggio pornografico a dover essere insegnata.
E cos’è il post porno e quando questa definizione ha preso piede?
Il fenomeno non è così recente, i primi semi di questa corrente nascono già negli anni 80 con il lavoro di Annie Sprinkle (della quale consigliamo vivamente Post Porn Modernist) e Candida Royalle tra le più famose, ma i nomi sono tantissimi. Sicuramente negli ultimi anni grazie ai social e allo sviluppo di tecnologie sempre più alla portata di tutti c’è stato un allargarsi della produzione indipendente ma soprattutto della sua visibilità che prima invece era quasi un’esclusiva dei siti porno come li conosciamo. Il fenomeno della pornografia indipendente ha, come ogni controcultura, il pregio di dare un’alternativa ad una struttura egemone che risponde alle logiche di mercato. La volontà di produrre sganciata dall’idea di profitto porta ad un utilizzo del mezzo pornografico spesso diverso da quello per il quale è conosciuto ovvero l’eccitamento. Questo non significa ovviamente che il porno indipendente non voglia eccitare, ma il mezzo pornografico è portatore di nuovi discorsi come quello identitario, politico, etico, estetico. Non si tratta più di accontentare i gusti di un ipotetico “fruitore medio” o di inserire piccanti novità in catalogo per aprirsi a nuove fette di mercato ma si tratta spesso e volentieri di raccontare attraverso il porno il proprio punto di vista sulla sessualità. In questo modo le rappresentazioni diventano più varie e più inclusive attraverso la rappresentazione di sessualità differenti, di corpi difformi dai canoni del porno mainstream e la destrutturazione della narrazione classica.
Quali sono i punti di incontro e/o frattura tra sessualità e porno?
Una definizione puntuale di cosa sia il porno è tronca proprio per la sua natura mutevole legata al contesto specifico in cui si manifesta. Per noi è essenzialmente un prodotto culturale: è quell’insieme di immagini e immaginari (in costante crescita, mutamento, riscrittura) che cercano di rappresentare la nostra sessualità. Ogni porno, a suo modo, parla di sessualità, crea una narrazione di essa. Attraverso l’analisi di questi prodotti è possibile comprendere qual è l’immaginario egemone (messo in atto da produzioni mainstream che rispondono ad un principio di vendita massimizzata) e chi si oppone ad esso (tra cui il Post-Porno e il Porno Alternativo).
In un mondo in cui la sessualità viene sempre più costretta all’interno di una visione eteronormata e produttiva, propria della società capitalistica in cui viviamo, la pornografia assume un valore politico enorme. Nella categoria “porno” è pieno di artisti che sfruttano la ludicità del mezzo e il divertimento che ne si può trarre con le sue infinite possibilità; oggi sempre più, altri esplorano le possibilità della pornografia per ampliare la consapevolezza sul sesso, la corporeità, la consensualità e più in generale sulla diversità insita nell’essere umano. A nostro avviso, a prescindere dall’intento originario con cui è stato girato un determinato prodotto, la visione pubblica di contenuti pornografici ad oggi è l’unica ad aprire riflessioni calde/profonde sulle dinamiche che ci influenzano e circondano costantemente.
Come la sessualità potrebbe diventare un argomento di riflessione senza i soliti tabù?
Crediamo che il progetto stesso un po’ risponda a questa tua domanda: per noi la liberazione della sessualità dalla sovrastruttura di tabù di cui essa è permeata passa anche attraverso una de-oscenizzazione della pornorgafia. Per noi è vitale la divulgazione intorno alla vastità del concetto di pornografia per riuscire a normalizzarla e non concepirla più come qualcosa che non va mostrato in scena, nello spazio pubblico, sociale e politico. Lavorando a contatto con il cinema ci ha sempre infastidito l’idea che il porno venga considerato come non meritevole di essere prodotto. Si pensi banalmente agli aiuti di stato, ad esempio. La maggior parte dei prodotti cinematografici italiani è finanziata con contributi pubblici ai quali la pornografia non può accedere. Pornografia, prodotti razzisti e violenti. Crediamo che la pornografia non abbia nulla a che vedere con queste altre due categorie, anzi, molti prodotti pornografici sono molto più inclusivi e liberi da stereotipi di molti film che invece risultano legittimi per la società.
Solo attraverso la continua presenza di festival, rassegne e l’organizzazione di eventi culturali che presentino prodotti pornografici di qualità (intesa in generale e non solo per aspetti tecnici o estetici) si possono far conoscere realtà diverse da quelle dell’industria del porno. Riteniamo che il porno sia un genere alla pari di tutti gli altri e come tale vada giudicato con gli stessi parametri degli altri prodotti e non unicamente sulla base di quello morale. La liberazione della sessualità dai confini della morale, a nostro avviso, passa anche e soprattutto attraverso la liberazione del porno. D’altronde come si fa ad accettare un qualcosa, se già se ne teme la sua semplice rappresentazione?
Nel vostro discorso è molto importante l’elemento artistico. Chi sono le autrici e gli autori più interessanti in questo momento e perché?
Il panorama delle pornografie alternative ha moltissimi autori interessanti, non vorremmo fare un torto a nessuno non citandone alcuni quindi ci teniamo a chiarire che l’elenco che forniamo è assolutamente parziale.
In questi tre anni di Festival abbiamo avuto il piacere di proiettare molte opere e produzioni interessanti, la prima che ci viene in mente è sicuramente AORTA Film, di cui quest’anno abbiamo in selezione Pink Lemonade di Mahx Capacity. AORTA ci ha subito conquistate per la sua completa fluidità e per la volontà di scardinare tutti i dettami di una società eteronormata e capitalista. Lo fa in molteplici modi: attraverso la scelta dei performer, delle trame, ma soprattutto – ed è il motivo principale per cui è stata selezionata quest’anno – lo fa attraverso l’uso di un linguaggio sì politico ma non dogmatico, capace di prendersi sempre in giro pur prendendosi molto sul serio.
Allo stesso modo è da tenere d’occhio tutta la scena berlinese, di cui Baby di Evie Snax e Fremde Zone di Katy Bit sono prodotti esplicativi, perché rappresenta un miscuglio di istanze culturali e di genere che non può che essere favorevole alla creazione artistica. Tra gli artisti che gravitano attorno a questa realtà ricordiamo: Theo Meow, Lina Bembe, Kali Sudra, Bishop Black, Mikey Mod, Maria Brasura, Candy Flip, Manon Praline e molti altri.
E, invece, le pratiche più trasgressive e divertenti in voga in questo momento?
Dobbiamo qui evidenziare un problema di linguaggio e un cortocircuito legato alla percezione del singolo, contrapposta a quella intersoggettiva della massa. Nessuna pratica è di per sé trasgressiva, ma assume questa caratteristica solamente agli occhi di un’opinione pubblica che la ritiene tale. Ma cosa è realmente la trasgressività?
Vi raccontiamo un aneddoto: durante la prima edizione del Festival uno degli spettatori ci rivolse questa domanda “perché mostrate solamente sessualità così trasgressive?”. Questa domanda ci ha prima poste di fronte al problema di trovare una definizione comune di trasgressione, o quantomeno riuscire a definire cosa significasse per chi aveva rivolto la domanda. Dopo avergli posto, a nostra volta, dei quesiti abbiamo scoperto che per lui era trasgressivo tutto ciò che esulava dalla messa in scena di un rapporto eterosessuale canonico – sesso penetrativo con eiaculazione maschile a sancire la fine dell’amplesso. A quel punto è stato per noi fondamentale spiegargli che quel che lui riteneva universalmente trasgressivo era in realtà trasgressivo per lui, ma non necessariamente per gli altri, una volta stabilito questo assunto di base è stato possibile intraprendere una discussione che poi si è rivelata molto proficua, almeno per noi ma speriamo anche per lui. Per questo siamo contrarie a questo termine, perché qualsiasi cosa può essere trasgressiva per qualcuno. Ad esempio, il BDSM può essere considerato in questi termini? Sicuramente per chi non lo pratica, ma per qualcuno è solamente l’espressione della propria sessualità ed è assolutamente regolare, non certo eversivo.
Se parliamo di prodotti divertenti ci piace citare il vincitore della nostra prima edizione, Brunch on bikes di Ty Wardell e Ethan Folk, consigliamo al pubblico di cercarlo online e di guardarlo, per capire perché.
A Bologna cosa porterete?
A Bologna, per questa terza edizione di Ce l’ho Porno – Sezione OFF del Ce l’ho Corto Film Festival, porteremo una selezione di cortometraggi nazionali e internazionali. Chi verrà la sera del 25 novembre potrà assistere alla proiezione dei cortometraggi in selezione ma anche alla loro messa in discussione nel dibattito che seguirà la visione insieme agli ospiti Diego Tigrotto, regista del corto selezionato NatiAnal Pornography, Lucio Massa, produttore del corto in selezione Waiting di Morgana Mayer per la Aborsky Production e organizzatore dell’Hacker Porn di Roma, e con Alithia Maltese, giurata di quest’anno e insegnante di bondage giapponese.
Come ogni anno per scegliere le opere ci siamo basate su una tematica particolare: quest’anno era quella del gioco e di come esso, con piena coscienza dei suoi limiti, possa essere un particolare mezzo di espressione e di liberazione delle nostre sessualità.
Generalmente Bologna è considerata una città molto aperta, ma immagino ci sia da lavorare molto anche qui. Da questo punto di vista, quali dovrebbero essere le caratteristiche di una città post-porno?
Sicuramente Bologna è un luogo particolare da questo punto di vista, forse aperta e interessata alla sessualità più di ogni altra città di Italia. Il rischio però è sempre quello che ciò sia vero soltanto per la bolla in cui – per fortuna – siamo immerse, che sia vero solo per alcuni luoghi, alcuni momenti e alcune persone. Per essere veramente una città post-porno questi discorsi dovrebbero sfuggire i confini dell’antagonismo militante, dove da sempre trovano supporto e possibilità d’espressione, e invadere completamente tutti gli spazi cittadini, da quelli istituzionali a quelli pubblici. Immaginatevi quanto sarebbe bello, ad esempio, vedere un bel porno proiettato in Piazza Maggiore senza che si gridi allo scandalo ma bensì ritrovandoci felici di parlare insieme di sessualità in uno spazio condiviso? Noi stiamo lavorando proprio per questo, per trasformare questa utopia in una realtà, ma la strada è ancora lunga e, come per ogni causa, servono alleat*.