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Rä di Martino

Il 22 marzo a Milano la prima mostra alla Galleria Monica De Cardenas di Milano

Written by Lucia Tozzi il 22 March 2017
Aggiornato il 26 March 2017

Foto di Andrea Nelli

Place of birth

Roma

Place of residence

Torino

Attività

Artista

Tra gli appassionati al lavoro di Rä di Martino c’è chi associa il suo nome a paesaggi desertici e rovine moderne, e chi invece impazzisce soprattutto per i ventriloqui che popolano i suoi film e video, che interpretano in contesti stranianti spezzoni di dialoghi di antichi cult, o assurdi blateramenti di persone comuni. La sua è la storia fortunata di una persona che ha incontrato delle persone intelligenti al momento giusto: negli anni della formazione a Londra, dove era andata convinta di fare cinema, trovò qualcuno che la distolse da una passione che non le si attanagliava, dirottandola sull’arte. E così, invece di passare anni noioserrimi ad ammazzarsi di campi e controcampi, Rä ha usato il cinema come un punching ball, giocando sui resti dei set, sui frammenti di dialogo, sugli attrezzi costruiti dai tecnici delle luci, su tutti i dispositivi metafilmici su cui le è capitato di focalizzare l’attenzione. L’ultimo progetto è un remake, o meglio una reinterpretazione labirintica, del celebre film, The Swimmer, con un Burt Lancaster in costume che attraversava Los Angeles passando dalle piscine di amici e conoscenti. Da questa idea è scaturito un film ambientato a Marrakech con Filippo Timi e Valeria Golino, La controfigura, che uscirà in autunno, un libro Humboldt Books, e ora una mostra che inaugura un nuovo rapporto con la galleria Monica De Cardenas a Milano, The Day He Swims thru Marrakech.

The Swimmer #5, 2017 archival pigment print on barytha paper image cm 16 x 29,5, cm 21,5 x 34,5 framed
The Swimmer #5, 2017 archival pigment print on barytha paper image cm 16 x 29,5, cm 21,5 x 34,5 framed

ZERO: Rä, tu vivi sempre a Torino?
Rä di Martino: si, sto a Torino perché il mio fidanzato è di lì. Viviamo tra la città e la campagna. E poi sono sempre in giro per lavoro.

Ti piace vivere a Torino?
Abbastanza. È una città molto piccola, dove non avvengono molte cose, è tutto tranquillo. Non è come Milano che è sempre viva, o alcune città giganti a cui sono abituata.

No More Stars (Star Wars) #10, 2010 archival pigment print on barytha paper cm 30 x 30 ed. 2 of 5
No More Stars (Star Wars) #10, 2010 archival pigment print on barytha paper cm 30 x 30 ed. 2 of 5

Quando dici che sei sempre in viaggio intendi dire per mostre oppure parli della produzione dei film, quasi tutti girati in Nordafrica?
Per entrambi i motivi. I progetti sì, li faccio sempre fuori. Gli ultimi sono stati in Marocco, subito prima uno in Tunisia. E ora che ho fatto questo film lungo, le persone che hanno seguito la produzione sono tutte a Roma, quindi vado spesso lì. Insomma è un misto di luoghi. E col Marocco ora sono in pausa, l’ultima volta sono stata lo scorso giugno 2016.

Tra l’altro non è semplice girare un film in Marocco. Ti fanno storie per una macchina fotografica, quindi per te non sarà stato per niente semplice. Hai avuto bisogno di tanti permessi?
Non hai idea: ti fermano ogni minuto. Noi avevamo il permesso per girare, ma ci fermavano per farci domande, chiedere i permessi, cambiare angoli di strada. Allunga il processo e ti butta un po’ giù.

The Swimmer #1, 2017 archival pigment print on barytha paper image cm 16 x 29,5, cm 21,5 x 34,5 framed
The Swimmer #1, 2017 archival pigment print on barytha paper image cm 16 x 29,5, cm 21,5 x 34,5 framed

Quanto è durato il set di La controfigura?
Non tanto: il film è girato in due parti. Una parte in modo documentario, e quindi eravamo una troupe molto piccola di otto persone, in giro per le strade per circa due settimane e mezzo. La parte con gli attori, invece, ha richiesto una settimana di lavoro con una troupe di trenta persone.

La Camera (2006) still from video
La Camera (2006) still from video

Filippo Timi è un amico?
Si, Filippo l’ho conosciuto nel primissimo video, La camera, nel 2006. L’ho conosciuto apposta perché volevo lui per quel video. Poi siamo rimasti sempre amici. La sua agente adesso è anche la mia agente, siamo una piccola famiglia. Se non fosse così difficilmente sarei riuscita a trovare i mezzi per fare recitare lui in un film del genere. Rispetto ai metri del cinema è un film low budget, ma per i nostri canoni una produzione così affollata, con trenta persone, è un costo quasi inaccessibile.

Avevi mai lavorato con una troupe così ampia?
Dipende, anche altri film che ho fatto erano girati in pellicola, e in quel caso anche un cortissimo richiede venti persone. Però erano lavori da un giorno, non c’è paragone rispetto a La controfigura, anche se naturalmente rispetto allo standard è considerato un film breve, non è un film da due mesi di girato insomma. La durata invece è 75 minuti, quindi ufficialmente rientra nei lungometraggi.

The Sun or an Electric Light #1, 2017 archival pigment print image cm 66 x 100, cm 72,5 x 107 framed
The Sun or an Electric Light #1, 2017 archival pigment print image cm 66 x 100, cm 72,5 x 107 framed

Raccontaci la relazione tra la mostra in galleria, The Day He Swims Thru Marrakesch, e il film.
La mostra è in qualche modo legata al film assente, è tangenziale al film. Trae ispirazione dai congegni costruiti sul set. Il direttore della fotografia disseminava la scena di pannelli per creare riflessi e ombre: è su questo che gioca la mostra, su luci e ombre, sull’idea di finto e vero, che è poi quella del film. Quello è un lavoro di cinema nel cinema, c’è il finto remake, la finta troupe, il documentario che sembra vero, ma è finto. In mostra c’è la palma che sembra vera, ma in realtà è montata su un treppiedi ed è di legno: non è più dunque il device da utilizzare sul set, ma un oggetto a se stante
Poi ci sono le fotografie scattate mentre giravo il film: palme ancora, e il gioco di riflessi. In realtà è più un gioco sull’idea di film: un gioco di immaginazione, di finzione, di luci e ombre, senza entrare nel racconto.

The Sun or an Electric Light (2017) legno, gelatine, luci, dimensioni variabili
The Sun or an Electric Light (Eureka Palm) 2017 legno, gelatine, luci, dimensioni variabili

Il libro Humboldt Books come nasce invece?
Il libro è arrivato prima di tutti. Essendo una produzione di Amaci doveva esserci già prima di Artissima 2016. Prima di aver montato il film, prima di tutto, abbiamo fatto un diario di viaggio – Humboldt lavora molto su questo – usando molte immagini di cui due o tre saranno in mostra. È tra un diario di viaggio e un notebook.
È buffo perché il film è andato in realtà un po’ al contrario. Un anno fa mi hanno chiesto di fare un progetto a Brescia per la metropolitana. Si trattava di un progetto pubblico.

Metropolitana di Brescia, la locandina con Filippo Timi
Metropolitana di Brescia, la locandina con Filippo Timi

Si, c’era anche un progetto di Elisabetta Benassi
Esatto, quel progetto lì. A Brescia siamo stati chiamati da Luca Lo Pinto che sapeva che stavo preparando il film, e mi ha suggerito di fare una sorta di locandina finta del film. In effetti ho pensato di fare la locandina, ma come se il film fosse proprio The swimmer, con Filippo gigante – 12 metri di poster. Da lì tutto è andato al contrario: prima la locandina, la sceneggiatura non l’avevo scritta, poi il libro, uscito prima di iniziare il montaggio; stiamo finendo ora di finire il trailer del film, perché lo vorrei esporre in mostra.

E il film dove lo farete circolare? Ai festival?
Certo. Lo vogliamo far girare e vedere ai festival. Cercheremo di essere più creativi possibile per presentarlo, perché, per le opere prima, in Italia o altrove non è semplice: dunque qualche posto come il Beltrade, per esempio; festival, musei… insomma attiviamo tutti i canali.

The Sun or an Electric Light (2017) legno, gelatine, luci, dimensioni variabili
The Sun or an Electric Light (Washingtonia Palm) 2017 legno, gelatine, luci, dimensioni variabili

La mostra è interessante, parlando di “canali”. Perché è una tua peculiarità quella di muoverti su i due diversi livelli, quello dell’arte contemporanea e quello delle immagini in movimento. Quindi quando abbiamo letto che alla De Cardenas ci sarebbero stati oggetti scultorei eravamo molto incuriosite. Ricrei l’atmosfera dei tuoi set, ma in galleria.
Si, in fondo sono dei props un po’ da teatro. Queste palme in legno mi piacciono molto, e ricordano molto quelle che usavamo sui set. Mi distraevo dalla regia per guardare queste sculture, mi piaceva l’idea di farle poi diventare un oggetto unico.

The Sun or an Electric Light #6, 2017 archival pigment print image cm 100 x 70, cm 107 x 77 framed
The Sun or an Electric Light #6, 2017 archival pigment print image cm 100 x 70, cm 107 x 77 framed

Chi costruisce questi dispositivi per il set?
Lo fanno i macchinisti. C’erano i macchinisti, sia italiani che marocchini, che creavano questi alberelli strappando anche (non anche:, solo) rami di palme reali. Ce ne sono diverse tipologie in mostra, sistemate in modo da produrre ombre giganti.

E l’idea di lavorare sul remake di The Swimmer quando l’hai avuta?
L’idea l’ho avuta alla fine di due anni fa. Poi sono stata un po’ ferma e, alla fine, siamo partiti. Anche col progetto dei carri armati di due anni fa era successo così. Volevo sviluppare un progetto col carro armato a Bolzano, poi il progetto si è ingrandito con le maquettes, due video, le sculture, le foto (cfr. la mostra al Museion Authentic News of Invisible Things, ndr.).

The Sun or an Electric Light #9, 2017 archival pigment print cm 48,5 x 48,5, cm 51,5 x 51,5 framed
The Sun or an Electric Light #9, 2017 archival pigment print cm 48,5 x 48,5, cm 51,5 x 51,5 framed

Adesso il video è al MAXXI?
Il video si. Le sculture erano in Cina, a Nanchino, per un festival che cura Letizia Ragaglia, il Nanjing International Art Festival. Quando lavori molto col video, col film, hai bisogno di aprirti ad altro. Per alcuni anni ho fatto solo video, ma sentivo che avevo bisogno di uscire e realizzare qualcosa con una narrativa diversa, anche se poi è sempre destrutturata. Mi mancava un contatto con lo spazio, anche installativo.

The Portrait Of Ourselves, 2013 HD Video 3 minutes loop ed 2 of 3
The Portrait Of Ourselves, 2013 HD Video 3 minutes loop ed 2 of 3

Avevi incominciato facendo la scuola di cinema?
No, avevo iniziato pensando di fare la scuola di cinema, ma poi a Londra mi hanno lasciato intendere che la scuola di cinema non mi sarebbe piaciuta: «ti mettono in gruppo, fai cose noiose, tipo “campo e controcampo”, il dipartimento di arti visive è più interessante per una come te». Ho fatto il Chelsea College of Art per la laurea, e la Slade School of Art a Londra. In effetti già dal primo esame avevo capito che avevano ragione. Entrando nella scuola d’arte sono diventata artista in maniera naturale, alla fine diventi quella cosa lì. Il cinema l’ho ripreso più avanti, ma ho sempre lavorato con le immagini in movimento, sempre pensando che pian piano mi ci sarei avvicinata.

Uno dei primi video tuoi che ho visto, forse a Roma, o a Bologna tanti anni fa, aveva come protagonista già Filippo Timi, quindi il legame con gli attori e col cinema è di lunga data. Ora c’è appunto la Golino, in Mas c’era Iaia Forte e Maya Sansa
Si, il mio lavoro è sempre stato legato al cinema: non come linguaggio, ma come tema. Gli attori “veri” li ho sempre un po’ cercati

Ricordo ancora ad “Abitare”, quando sono arrivate in redazione le tue immagini dei set abbandonati in Turchia e Marocco, quelle di No more stars. Erano stupende.
Si, quel progetto sulle rovine cinematografiche era pazzesco. Solitamente non faccio progetti così fotografici e quelle immagini erano davvero belle.

No More Stars (Star Wars) #4, 2010 archival pigment print on barytha paper cm 30 x 30 ed. 2 of 5
No More Stars (Star Wars) #4, 2010 archival pigment print on barytha paper cm 30 x 30 ed. 2 of 5

Come hai trovato quei posti?
In una delle ricerche (che faccio spesso) su Google Earth mi sono imbattuta in una foto di un turista con una strana scritta: “Non c’è più il Paziente inglese” e mi sono chiesta cosa volesse dire. Quando ho capito ho notato che in realtà il turista si sbagliava: non erano le rovine del set del Paziente inglese, ma di Guerre Stellari. Allora ho pensato “sarebbe fantastico se ci fossero davvero le rovine”, e sono andata. In realtà c’è anche un paesino turistico famoso per le rovine di Guerre Stellari, però queste erano nel deserto. Ne ho trovate tre.

Che anno era? Erano già turistiche?
Quelle nel centro del paesino si, perché è piccolo e famoso per delle bellissime cave. E c’era il bar di Guerre Stellari. Sono andata per la prima volta nel 2010 e quando sono andata via è scoppiata la Primavera araba, proprio nel quartiere dove dormivo a Tunisi. Poi, grazie ad amici attori, ho scoperto che in Marocco era pieno di rovine da scovare. Luoghi con paesaggi incredibili, senza nulla.

E a Milano tra i progetti recenti?
Sono stata al PAC, alla mostra di Davide Giannella, Glitch, nel 2014.

Tornando alla produzione di La controfigura, come sei riuscita a mettere insieme i soldi?
Avevo provato il percorso “cinema” più di un anno fa, ma era difficilissimo.

The Swimmer #2, 2017 archival pigment print on barytha paper image cm 16 x 29,5, cm 21,5 x 34,5 framed
The Swimmer #2, 2017 archival pigment print on barytha paper image cm 16 x 29,5, cm 21,5 x 34,5 framed

Sbaglio, o avevi lavorato con Think Cattleya per MAS? Però loro sono più pubblicità e tv che cinema.
Think Cattleya mi aveva dato dei soldi per The Show MAS Go On. Erano in un periodo di apertura nei confronti di produzioni più artistiche. In cambio abbiamo fatto una piccola mostra. Ma alla fine il circuito del cinema è impossibile, ci sono pochi soldi del Ministero e hanno un modo di lavorare che per me non va bene: devi fare la sceneggiatura; con quella vai a “vendere” il progetto in giro. Invece la sceneggiatura non la faccio quasi mai, magari arriva dopo. E poi era troppo sperimentale come soggetto, quindi ho deciso di fare da sola, di mettere insieme la cifra tramite fondazioni e collezionisti, e poi, una volta finito il prodotto, ora proviamo a chiedere a Rai cinema perché a quel punto non rischiano più. Ho collaborato dall’inizio con Marco Alessi, Dugong Produzioni, con cui ho anche seguito la scrittura e la produzione esecutiva; sono entrati in coproduzione la Snaporazverein, fondazione svizzera, e la In Between Art and Film; ho anche ottenuto il sostegno da AMACI, l’associazione Musei Italiani, tramite il premio Museo chiama Artista quest’anno curato da Alberto Salvadori e Iolanda Ratti.

A che punto è il film? E dove lo stai montando?
L’audio non è finito. C’è quello temporaneo. Per la color ho vinto un premio e lo sto facendo qui. L’audio lo fa un ragazzo che vive a Firenze. La produzione è a Roma, il montaggio tra Napoli e Torino, dove sto io. Abbiamo fatto tutto Freccia Italia.

Le persone che lavorano nel cinema solitamente sono più elastiche quando si tratta di lavorare con l’arte, sanno che budget ci sono. E anche la Golino so che è molto disponibile
Il mondo dell’arte siamo abituati che tanto i soldi non ci sono. E si, anche Valeria è stata molto gentile.

Da quanto lavori con la Galleria Monica De Cardenas?
Da ora. Da quando ho chiuso con la galleria di Roma, Monitor, a parte la galleria in Sicilia e quella a Londra, pensavo che fosse giusto avere una galleria a Milano. Ero andata a parlare con Monica De Cardenas senza nessuna speranza, anche perché lei non ha video artisti. E invece lei aveva visto MAS e le era piaciuto.

Cosa vendi dei film solitamente?
Le foto principalmente. Fino al 2008 si vendevano molto i video, poi c’è stato un crollo del mercato anche in questo campo.

Hai altri progetti qui a Milano?
A ottobre faccio una mostra in Marsèlleria. Sarà un anno milanese. Ho già iniziato un nuovo progetto quindi: per la prima volta faccio una piccola animazione. E l’animazione ha dei tempi lunghissimi, 4 minuti di film animato equivalgono a 4 mesi e mezzo di lavoro. Per ora il video nasce così: con Jerry, il topo di Tom & Jerry, come protagonista. Ho girato la parte del paesaggio, che è reale, nel deserto di Lanzarote che è tutto vulcanico. Sembra Marte, è tutto nero.

Ah, ancora deserto, quindi?
Si, in effetti. Comunque c’è Jerry che è vecchio e gigante e sta in questo deserto nero, come una sorta di detrito ed è il “porta spazzatura” di tutti i dialoghi d’amore dei media del mondo. Quindi immaginatelo stanco, con le rughe, che si aggira per questo deserto sputando fuori pezzi di dialoghi. Ho fatto una sorta di patchwork di pezzi brevi, quindi una frase diventa un’altra, tanti “ti amo”. Sono i pezzi veri, velocizzati che creano un monologo unico. Ogni tanto è anche costretto a cantare.

A chi ti sei rivolta per l’animazione?
Sto facendo casting: ho parlato con animatori a Milano, a Roma e a Torino. A Milano ce ne sono, ma è tutto più caro. Essendo la città della moda e della pubblicità costa tutto il doppio.

E da MEGA non fai nulla?
Beh la mostra da Marsèlleria è curata da Davide, poi vedremo.

E riguardo al bellissimo “MAS”, l’hanno chiuso definitivamente.
Si: le mura erano di una banca, hanno quadruplicato l’affitto.

Il film l’hai proiettato anche dentro MAS?
L’avevamo proiettato in piazza Vittorio, lì fuori. Era estate, c’era tanta gente.

The Show MAS Go On foto di scena @Ra di martino
The Show MAS Go On foto di scena @Ra di martino

Se ti dovessi trasferire, dove sceglieresti di stare, qui a Milano o a Roma?
Domanda non semplice. Roma è la mia città e ho tanti legami, tutti i miei amici. Però in questo momento Milano è la città che funziona di più. Se dovessi scegliere a cuore freddo ti direi Milano, a caldo Roma. Anche se è una città difficile, forse da lontano la idealizzo.

Ci hai mai vissuto dopo Londra?
A Roma mai. Dopo Londra sono stata a New York 5 anni. Poi tornando ci siamo appoggiati su Torino.