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Zehainesh Kidane – RED

Del Red Cafè e della sua genesi: la straordinaria storia dietro ai suoi cocktail economici

quartiere Porta-Venezia

Written by Andrea Maffi il 14 June 2021
Aggiornato il 24 June 2021

Foto di Marta BLue

Per la maggior parte delle persone al Red, Zehainesh è semplicemente Za. Come Za sia arrivata a gestire uno dei locali di riferimento per la comunità LGBTQ è una storia che dall’Eritrea in guerra del 1980 l’ha portata a trasferirsi a Milano, fare l’operaia, la sarta, e infine buttarsi nell’aprire un locale senza alcuna esperienza. Se conosci il Red, sai che il posto scoppia di gente per i prezzi generosi sui drink, ma anche dietro a quello c’è una storia. Io e Za siamo partiti da lì.

Com’è che da te si beve spendendo così poco, Za?

Sai le voci girano e dicono che per dare cocktail ai miei prezzi nei drink ci metto la benzina, ma le bottiglie sono sotto gli occhi di tutti, mica ci mettiamo a travasare roba o fare cocktail di nascosto! Ti posso spiegare come sono arrivata qui. Io non avevo mai avuto un bar. Quando ho aperto non sapevo fare neanche caffetteria, così mentre imparavo a fare caffetteria durante il giorno, ho imparato a fare i drink per la sera. Così mi sono detta che non era giusto che io facessi pagare un drink quanto gli altri; non sapevo neanche farlo! Per questo i miei drink costano poco.  Quando ho cominciato, ho messo il prezzo del drink a 4€. E così è rimasto dal 2012. Adesso da una vetrina siamo passati ad averne tre; quindi tre affitti. Ma non ho mai aumentato i prezzi. Finora mi sento appagata e così non ho mai avuto la necessità di alzare i prezzi, andare oltre. Anche perché il locale è da sempre in crescita. E amo questo lavoro, la mia gente; non so come spiegarti… ci soffro a non esserci. Non per i soldi, ma per il contatto con le persone.

E ad aprire il Red come ci sei arrivata?

Io sono sempre stata una persona indipendente.  Se voglio fare una cosa, ci credo e mi rendo capace di fare tutto, almeno manualmente. Per anni ho fatto l’operaia e poi ho rilevato un negozio di abbigliamento. Dal negozio di abbigliamento mi sono messa a fare i maglioni, facendo la sarta artigiana per dieci anni. Lavoravo per conto terzi, ed ero sempre chiusa in questo laboratorio che per me, dopo tanti anni, era diventato una gabbia. Così ho lasciato il lavoro e con mia sorella ho cominciato a pensare cosa fare. A me piace cucinare e pensavo di aprire un piccolo ristorante. Poi ho trovato questo posto piccolino, che era un bar e pian piano mi sono allargata e ho preso un altro negozio, una  lavanderia che ho trasformato completamente. Compravo mobili dell’Ikea per disfarli e rimontarli per farli stare nel locale, un casino….

Come mai hai aperto proprio qui?

È stato un caso. Avevo chiesto a mio fratello se poteva cercare un ristorantino; lui ha trovato questo posto a un prezzo accessibile. Io sono eritrea, la zona è eritrea, ma mi ci davvero sono trovata per caso. Non ho rilevato l’attività pensando di voler essere all’interno del quartiere eritreo. Io sono amica di tutti. I miei amici possono italiani, egiziani, marocchini, eritrei… non mi interessano le nazionalità, ma le persone.

Perché tu sei qui da prima del Rainbow District, vero? Però so che sei un punto di riferimento per la comunità; com’è nato questo rapporto speciale?

Quando ho aperto, Via Lecco era completamente diversa: c’ero io e basta, faceva paura; era tutto buio, un pisciatoio. C’era già il Mono, però il locale dava su Panfilo Castaldi, quindi, quando chiudevo la clair da sola e faceva buio, a volte avevo paura. A un certo punto d’estate ho conosciuto una quindicina di ragazzi gay. Io ero da sola nel bar e li ho visti fuori dal locale che tentennavano a entrare. Alla fine sono entrati ed io ero molto sollevata, perché non sarei stata da sola alla chiusura. Così mi hanno chiesto da bere, ci siamo messi a chiacchierare, simpaticissimi. Loro si erano incontrati quel giorno per salutarsi prima delle ferie, e mi hanno promesso di tornare a trovarmi a settembre, al rientro.

Io gli ho detto di venire il venerdì perché facevo l’aperitivo, che negli altri giorni non c’era perché non ne valeva la pena, non c’era molto giro di gente. Ma all’aperitivo del venerdì ci tenevo tantissimo, lo facevo molto ricco, per me era una specie di pubblicità a pagamento.

E a settembre sono tornati, ma in tanti! In quel momento mi sembravano tanti, ma saranno stati una ventina (ride). Loro abitavano tutti vicino e venivano tutti i giorni. Da lì il locale è stata una sorta di calamita che funzionava a passaparola, e le realtà gay, sono diventatate una componente fissa del mio locale. Sia venerdì che sabato c’era pienone e da lì il quartiere ha cominciato a cambiare volto, fino a quando è arrivato Paolo Sassi con il LeccoMilano e via Lecco è cambiata completamente

C’è qualcosa di particolare che ti lega alla comunità?

Io sono eritrea e la discriminazione l’ho subita. Sono arrivata a Milano nel 1980 che avevo 21 anni e per me Milano è stata un colpo di fulmine. Mia sorella invece era a Roma. Per un anno e mezza ho pianto e cercato di convincere mia sorella a trasferirsi, perché Roma era una città che mi piaceva visitare ma non volevo viverci. L’immigrazione è sofferenza per tutti, alla fine. Non conosci nessuno, non esci, non sai cosa fare, dove andare. Poi cominci e trovi la tua strada. Per questo forse mi sento molto vicina a questa comunità. Lo sento dentro. Forse perché qualche vissuto di sofferenza ce l’ho, e attraverso questo ho trovato un legame che mi porta a sentire i problemi di questa comunità come miei. Il mio locale non è un locale solo per gay, tutti sono benvenuti qua, ma per molti è difficile capirlo. Con i primi ragazzi che sono venuti ho ancora un rapporto incredibile. Sento che questo posto sia un dono loro. Mi commuove. Ma è il mio carattere che è così. Tante volte mi fermo e ci penso; non avrei mai immaginato io, Zainesh, di creare un posto così, cambiare e diventare la persona che sono. Ma è successo così, in maniera del tutto naturale. In questa situazione non c’è nulla di costruito. Il mio locale mi rispecchia. Mi sento mamma, amica, sorella. Mi prendo tutti i ruoli. Ho amicizie enormi. Non so come spiegarti. Il mio architetto l’ho conosciuto qua come cliente, ma per me è mio figlio. Lui ha due gemellini, io mi sento nonna. Loro vengono sempre e se non passano vado a trovarli. Io mi commuovo quando parlo del mio locale.

So che hai anche altri progetti in cantiere, vero?

Aprirà un via Lecco 10 una nuova cucina Pazzesk*. Ci siamo ispirati alle diversità che ci circondano, senza imporci una schema stabile e i sapori proposti sono in continua evoluzione. Per l’apertura proponiamo cibi che rappresentano tutt* noi.  Partiamo con una sola vetrina come per il Red Cafè e si mantiene qualche dettaglio rosso e giovane per far percepire quanto “amore” mettiamo per essere cosi pazzesk*.

Adesso sto pensando di aprire anche un altro locale in Via Padova, vicino alla rotonda. Sarà  sempre takeaway, ma non ho ancora deciso come chiamarlo.

Zero Hyperlocal – Porta Venezia

Pensi che Porta Venezia rimarrà quartiere eritreo?

Penso di sì. Anche perché se tu vedi, in Via Lazzaro Palazzi sono tutti eritrei. Però non so se continuerà, dipenderà dagli affitti. Adesso mi piacerebbe spostare qualcosa verso Nolo perché abito lì vicino. Ci guardo da tre anni, ma per i locali è un po’ così, ci vuole fortuna e anima. Sono dieci anni che non faccio ferie. Ma sono fatta così, ho dato l’anima a questo locale. Mi piace stare qua, tra la mia gente. Il mio futuro magari sarà essere una vecchietta che parla con tutti.

Zainesh, secondo me vecchietta non ci diventi.

Di età lo diventerò sicuro, ma dentro mai!