Tra i live letteralmente più ipnotici visti quest’anno c’è senza dubbio quello guidato dal sax e dalla maestria di Ben Vince.
Un nome che circola da qualche anno nel sottobosco avantgarde londinese, un ideale anello di congiunzione tra la reiterazione circolare di Terry Riley e le esplorazioni techno-abissali di Joy Orbison (con cui ha collaborato recentemente).
Un set, visto in primavera all’olandese Rewire, che ai soundscape trascendentali prodotti dai campionamenti e dagli intervalli tra suono e silenzio, unisce una gestualità fluida e – appunto – ipnotica.
Non un uragano come Colin Stetson, più una sovrapposizione fluttuante di strati sonori che stravolgono la percezione del tempo, e che nell’ultimo “Assimilation” incrociano le voci, le percussioni e i synth di Valentina Magaletti, Rupert Clervaux, Micachu e Merlin Nova.
Stasera Vince sarà solo tra le mura bianche di Standards, ma avrete l’impressione che insieme a lui ci siano anche tutti gli altri. E per stavolta non sarà colpa della droga.
Scritto da Chiara Colli