Chiunque ci abbia avuto a che fare è legato spesso solo a un tipo particolare di Bob Dylan: il cantautore folk, il rocker, il poeta, la star, il rivoluzionario, l’umorista, ecc. A Todd Haynes sono serviti sei attori diversi per raccontarlo (“I’m not there”), a Martin Scorsese più di tre ore (“No direction Home”), e, poi, miliardi di parole fra interviste, inchieste, reportage (significativo il “Dont Look Back” di D. A. Pennebaker) e biografie che, tuttavia, lasciano ancora spazio a domande, interpretazioni e gusti. Non è un enigma, ma una vera fissa, ricominciata con la recente uscita di The Bootleg Series Vol. 11: The Basement Tapes Complete: 139 tracce incise durante un’improvvisa assenza dalle scene e dopo il misterioso incidente in moto del luglio 1966. C’era già stata la famosa “svolta elettrica” dell’album Bringing It All Back Home (1965) e lo strappo col movimento giovanile americano. E c’erano già stati Highway 61 Revisited e il singolo Like A Rolling Stone, che avevano trasformato il simbolo folk dei diritti civili (ruolo impostogli che rifiutava) in una pop star, lanciandolo al secondo posto della Billboard Hot 100. Chi lo ha visto dal vivo e continua a seguirlo ancora oggi, fra alti e bassi, sa che non ci sono picchi emotivi durante i suoi concerti, eppure si torna sempre a casa con un gran senso di soddisfazione.
Scritto da La Redazione