Calexico esiste davvero. È una città di confine divisa in due, con due nomi speculari che riflettono i lati della frontiera: Mexicali in Messico, Calexico in California. Poca fantasia, ma quando i confini stimolano la fantasia di solito non vengono fuori cose buone. Il confine tra Messico e Stati Uniti ad esempio è diventato ambientazione delle più strampalate idee sovraniste, di muri e deserti divenuti fortezza. Ed è ogni giorno il luogo dove la fantasia si mischia alla disperazione nel tentativo di valicare quella linea, che oggi appare come una solida barriera, ma che la storia ha spostato qua e là in continuazione.
Meno di 200 anni fa il Messico comprendeva ancora buona parte degli USA meridionali. Ci sono volute guerre ma soprattutto affari per dare alle terre del Rio Grande i confini di oggi. L’ultimo acquisto è stata Tucson, terra natale di una band che alle polverose atmosfere della frontiera ha dedicato la sua musica. La prima cosa che si prova ascoltando i Calexico è il caldo. Bastano due note e di colpo l’aria si fa soffocante, tanto che sarà una prova supplementare ascoltarli nell’afa di luglio.
Già, l’estate. La stagione del sudore, delle zanzare, della musica latinoamericana. Non le hit da spiaggia, però, ma la torrida solitudine del deserto, le decadenti sagre dove il tasso alcoolico supera le possibilità umane e l’unica speranza è affidata alla lotta dei galli. Una speranza che si fa sempre più distante col rafforzarsi della fortezza di confine, la cui cupa ombra ha avvolto ormai anche la musica dei Calexico, fino all’incontro con Iron & Wine, folksinger agnostico che li affianca nell’ultimo disco e in questo tour. La sagra è finita.
Scritto da Filip J Cauz