Galleria Raffaella Cortese presenta la quarta personale della fotografa ceca Jitka Hanzlová, che segue l’ampia mostra antologica alla National Gallery di Praga dello scorso anno curata da Adam Budak. Negli ultimi 30 anni Hanzlová ha ritratto, serie dopo serie, immagine dopo immagine, un mondo che affiora, in cui i soggetti coesistono in una composizione non gerarchica: persone, natura, animali, architettura costituiscono un’unità di senso e, allo stesso tempo, emergono in tutta la loro specificità. “Un solo pero non fa una foresta – oppure si?”, domanda Urs Stahel: un’unità, un solo ritratto, un solo paesaggio, è in grado di raccontare della totalità e della percezione della realtà? Lo sguardo di Hanzlová si compone in sequenze nelle sue serie, rendendo visibile la costellazione di relazioni che disegnano le strutture dell’esistenza: la mostra Architectures of Life le rende ancora una volta evidenti, in una nuova composizione che raccoglie immagini da una varietà di serie che attraversano gli anni. Realizzati dall’inizio degli anni ‘90, i ritratti registrano impressioni di luoghi, degli sguardi dei loro abitanti e di dettagli istantanei, come in Bewohner (1990 — 1994), Tonga (1993), Here (1998, 2005 — 2010), Brixton (2002), Cotton Rose (2004 — 2006): la città, la natura, gli animali si fondono in atmosfere precise e con vite che siamo quasi in grado di immaginare. In serie come Forest (2000 — 2005), Vanitas (2008 — 2012), Horse (2007 — 2014), presenti in mostra, lo sguardo di Hanzlová al “profondo inconscio della natura”, come lo definisce Stahel nell’ultima monografia Silences (2019), esprime la stessa curiosità riservata all’uomo: insieme compongono una ricerca della “quintessenza della vita, di cose che perdurano”. La recente serie WATER (2013 — 2019) espande ancora lo sguardo trasversale degli ultimi trent’anni ed è dedicata a un elemento onnipresente, su cui si basa la nostra esistenza: l’acqua, nei suoi vari stati.
Le fotografie di Hanzlová si materializzano come apparizioni, legate l’una all’altra da una linea di ricerca che si è sviluppata, accidentalmente e costantemente, nell’inconscio. Le architetture sottese alla nostra vita appartengono al regno della Natura, che non è mai intesa come un opposto polare a ciò che è umano: è semplicemente una condizione della nostra esistenza e Hanzlová ci invita, silenziosamente e ripetutamente, a questa sostanziale realizzazione. I suoi ritratti, quindi, non solo trascendono una gerarchia di soggetti, ma suggeriscono un ordine di esistenza primordiale ed essenziale. Per questa personale, Hanzlová si allontana dai confini delle sue serie, a cui sono state dedicate preziose pubblicazioni, e li attraversa. Le architetture che attraversano la vita si compongono di organico e inorganico, contraddizioni e complementi, e diventano evidenti a chi osserva. Hanzlová ha dedicato la sua pratica all’atto del guardare, in tutti i suoi significati possibili: guarda, è guardata, ci invita a guardare, ricerca manifestazioni che sono frammenti del nostro vivere e che, attraverso i suoi occhi, potrebbero parlarci della totalità a cui apparteniamo.
Scritto da Giada Biaggi