Johnny Mox sarebbe dovuto nascere ad Harlem: col suo nome tra un romanzo di fantascienza e il Nuovo Testamento non avrebbe certo sfigurato. Sarebbe dovuto nascere in qualche sobborgo americano per crescere nel coro della chiesa fino a diventare un predicatore. Invece è nato a Trento e, per declamare i suoi sermoni da quel solenne pulpito che è ogni grancassa, ha dovuto mettere assieme i loop delle montagne, attaccandoli l’uno all’altro con quell’ostinazione che oggi va in giro a lodare. Che sia solo o accompagnato, Mox riesce a trasformare un concerto in una cerimonia solenne. Arrivate pronti all’espiazione, “Clap your hands, peccatori”.
Scritto da Filip J. Cauz